Parafrasando una famosa canzone si può dire senza ombra di dubbio che son tutte belle le farfalle del mondo. Senza però far torto a nessuna, si può dire anche che alcune sono indubbiamente più belle e alcune hanno anche bellissime storie da raccontare. Belle e tristi. Se dovessi scegliere tra tutte le farfalle italiane la specie che più di tutte incarna questi due aspetti, non avrei dubbi a indicare la Zerynthia cassandra. Questa specie non è solo tra le più belle e delicate della fauna europea, ma sembra trascinarsi dietro la maledizione legata al suo nome. Zerynthia cassandra fu descritta nel 1828 grazie a individui raccolti nei dintorni di Firenze non già da un entomologo, ma da un pittore; Carl Geyer infatti affiancava il grande entomologo Jacobs Hübner nella pubblicazione delle sue opere e, alla sua morte, decise di proseguirne il lavoro da solo. Firenze città dell’arte, Carl Geyer un pittore, la Zerynthia una farfalla tanto finemente damascata da sembrare uscita da un ricamo e infine un nome ancora legato all’arte e soprattutto alla tragedia. E come accadeva alla sfortunata figlia di Priamo della quale la farfalla porta il nome, fino a tre anni fa nessuno ha creduto alla scoperta di Geyer. Il mio incontro con questa specie è stato del tutto casuale e guidato dal Fato nella persona di Ornella Casnati, l’attivista di Legambiente scomparsa pochi anni fa. Raccontare la storia di questa farfalla non è facile. Gli avvenimenti si avviluppano tra il passato e il presente in dei cerchi che richiedono una serie di flashback e flashforward fino a un futuro da dover immaginare e che, sinceramente, appare ben poco sereno. E la storia della cassandra dell’Isola d’Elba somiglia veramente a una tragedia greca. Come scriveva Jean Anouilh nella sua Antigone novecentesca, la tragedia è un meccanismo a orologeria ben architettato da sempre, e il finale lo si sa già, e non sarà certo lieto. Il protagonista stesso sa che non c’è via di fuga e così non deve arrabattarsi per salvarsi; in questo modo può permettersi di urlare al mondo intero tutto quello che ha da dire, senza preoccuparsi di cambiare un esito già scritto. Così saranno queste pagine. Comincerò a raccontare la storia della Zerynthia cassandra proprio dalla fine.
Ornella mi spedì la fotografia di una strana larva ripresa dal botanico Angelino Carta su un’Aristolochia dell’isola d’Elba. Non c’erano dubbi, si trattava di una larva stranamente scura di Zerynthia polyxena, al tempo la Cassandra si chiamava ancora così. Studiavo le farfalle dell’Elba da quasi dieci anni, ma mai avevo incontrato questa specie. Nonostante ciò, avevo vecchie notizie della sua presenza sull’isola. Infatti nel 1932 Felix Bryk, uno studioso svedese, aveva descritto per l’Elba Zerynthia polyxena linnea in onore del padre della sistematica moderna Carl Linnaeus. Nessuno però l’aveva più incontrata nei decenni successivi finché nelle revisioni più recenti si era pensato che in realtà la specie non esistesse sull’isola e che Bryk si fosse sbagliato. E’ stata solo una delle tante volte in cui non si è creduto a Cassandra. Ornella Casnati di Legambiente e Franca Zanichelli, la direttrice del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, organizzano per il 20 aprile 2008 una gita per riscoprire le Zerynthia dell’isola dell’Elba. Io ero assolutamente scettico di poterla incontrare quel giorno, ripentendo ancora una volta l’incredulità verso questa farfalla; e invece la Zerynthia comparve quasi subito!
Fatta questa riscoperta cercai quindi di capire se la Zerynthia elbana fosse davvero un po’ diversa dalle altre tanto da giustificare l’esistenza della sottospecie linnea. Confrontando gli individui elbani con quelli italiani, mi accorsi che le differenze che giustificassero l’esistenza di una sottospecie elbana c’erano, ma erano minime; la cosa che più mi colpì però era la grandissima differenza tra gli individui raccolti nelle aree appenniniche rispetto a tutte le altre Zerynthia polyxena del resto d’Europa. Le differenze negli apparati genitali, fondamentali per riconoscere le specie di lepidotteri erano talmente grandi da indicare la presenza di due specie diverse; dati di studi precedenti sul DNA di queste specie confermavano questa idea. Adesso che era chiaro che in Italia c’era una diversa Zerynthia e bisognava capire quale fosse il nome da darle. Le popolazioni italiane e francesi erano da sempre state indicate con due nomi: creusa e cassandra. Uno dei due era quello buono, ma quale? Per capirlo si doveva capire quale fosse stato dato per primo e da dove venivano gli esemplari raccolti. Qui l’entomologo deve trasformarsi in filologo, immergersi nelle biblioteche, cercare i lavori originali e ricostruire la storia dei nomi. Al tempo in cui Johann Wilhelm Meigen e Carl Geyer descrivevano nei loro libri Zerynthia creusa e cassandra rispettivamente, non era in uso riportare la data di pubblicazione sulle opere. L’opera di Hübner e Geyer però usciva in fascicoli successivi che venivano offerti in vendita e pubblicizzati su appositi volantini che, quelli si, portavano la loro data di stampa. Arthur Francis Hemming si occupò del caso polyxena, cassandra e creusa proprio negli stessi anni in cui Bryk pubblicava la scoperta della linnea dell’isola d’Elba. Ma anche Hemming nel 1934 non credette all’esistenza di Zerynthia cassandra e in un suo primo lavoro indicò che cassandra e creusa non indicassero una specie a sé stante, ma fossero da considerarsi una sottospecie di Zerynthia polyxena. Inoltre, in base ai documenti in suo possesso, Hemming concluse che il libro di Meigen fosse precedente a quello di Geyer e che, se anche vi fosse un’altra specie di Zerynthia, essa dovrebbe chiamarsi creusa.
Relegata al rango di sinonimo di una sottospecie, il destino della Cassandra sembrava segnato. Ma pochi anni dopo lo stesso Hemming trovò un vecchio volantino in cui Carl Geyer pubblicizzava la stampa del volume in cui era raffigurata la Cassandra, e la data su questo volantino era indubbiamente precedente alla data di pubblicazione supposta per creusa. Cassandra aveva quindi riacquistato la priorità su creusa!
A questo punto non c’erano dubbi, la nuova specie trovata all’Elba e lungo la catena appenninica era sicuramente la stessa che Geyer aveva raccolto a Firenze e il suo nome era Zerynthia cassandra!
Le vie che il Fato ho intrapreso per Cassandra però sono da sempre dolorose. Ornella aveva riscoperta la Zerynthia all’isola d’Elba, ma non ha mai saputo che la sua farfalla avesse questo nome e questa storia bellissimi, perché Ornella se n’è andata prima che lo si potesse scoprire. All’isola d’Elba inoltre la Cassandra di Ornella sta tentando di resistere all’estinzione, relegata per quanto ne sappiamo, a un fazzoletto di terra di non più di due chilometri quadrati posto al di fuori dei confini del Parco. Minacciata dalla brama dei raccoglitori che venderebbero la sua bellezza a la storia a caro prezzo, dal rischio di incendi, dal rischio che gli ignari proprietari del terreno su cui vive ne cambino la destinazione d’uso, la Cassandra dell’Elba è oggi appesa a un filo e vive, senza alcun aiuto, quello che sembra il finale già scritto della sua tragedia.
Se però dopo quasi duecento anni, la comunità scientifica ha creduto a Cassandra, se oggi i libri di farfalle Europee la riconoscono come una specie a sé stante, endemica dell’Italia, se altri testi riconoscono la Cassandra linnea dell’Elba come sottospecie endemica dell’isola,forse c’è modo di sfuggire agli ingranaggi del Fato. Forse c’è ancora un ultimo minuto di rappresentazione in cui l’Antigone di Anouilh si farà capire da Creonte ed egli deciderà di cambiarne il destino. Dobbiamo arrenderci però a credere che il nostro Creonte siano gli enti che dispensano denaro per la protezione della natura. Scendendo dalle imperscrutabili volontà dell’Olimpo alla terrena battaglia di ogni giorno per decidere come allocare le limitate risorse a difesa della natura, servono soldi per proteggere questa farfalla.
Servirebbe di comprare l’ultimo pezzo di terreno elbano dove essa vive, servirebbe di facilitare la presenza della sua pianta ospite, servirebbe di creare un piccolo centro in cui questa sottospecie possa essere allevata in gran numero e quindi conservata in vita per poter ricreare le popolazioni originali nel caso che esse vadano perdute.
Qui lo diciamo, Cassandra sta per morire, ma bisogna passare dallo scrivere le trame di tragedie a scrivere progetti, da usare la penna a comprare la terra e impugnare la zappa.
Stavolta ci crederanno?
Leonardo Dapporto