Legambiente ha presentato a “Terra Futura”, in corso a Firenze, un dossier sulla biodiversità che si conclude con una scheda dedicata all’Arcipelago Toscano indicato sia come “emergenza” che come grande e delicato scrigno di una diversità ambientale unica che corre molti rischi a causa degli errori umani. Ecco cosa si legge nel dossier “Biodiversità a rischio”:
L’Arcipelago Toscano è un concentrato di biodiversità con endemismi vegetali ed animali nelle 7 isole maggiori (Elba, Giglio, Capraia, Pianosa, Montecristo, Gorgona, Giannutri) e negli isolotti e presenze di uccelli rarissimi come il gabbiano corso e le Berte. All’Elba si concentra la più alta quantità di specie di piante vascolari della Toscana e di specie di farfalle dell’intera Europa, valorizzate dal Santuario delle Farfalle “Ornella Casnati” realizzato da Legambiente con il sostegno di Enel e del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano sul massiccio del Monte Capanne.
L’Arcipelago ed il suo mare sono protetti, seppure in maniera frammentata ed incompleta dal Parco nazionale; Zone di Protezione speciale (Zps – Direttiva Uccelli), Siti di interesse comunitario (Sic – Direttiva Habitat); Siti di importanza regionale (Sir – L.R. 56/2000); una riserva integrale a terra e a Mare (Montecristo) e un’area di tutela biologica a mare (Le Ghiaie-Scoglietto-Capo Bianco a Portoferraio). Inoltre l’Intero Arcipelago Toscano è International bird area (IBA) e fa parte di Rete Natura 2000 mentre il Parco Nazionale è sito Man and the Biosphere (Mab) dell’Unesco. Tutto il mare dell’Arcipelago Toscano è inoltre compreso nel Santuario Internazionale dei mammiferi marini Pelagos, teoricamente la più grande area di mare protetta d’Europa, istituito da un accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco.
Eppure questo scrigno di biodiversità difeso da innumerevoli vincoli che ne sottolineano l’eccellenza è forse il territorio della Toscana dove la biodiversità ha subito e subisce il più pesante attacco a causa di precedenti
scelte disastrose che le istituzioni non sembrano voler correggere, ma anzi perpetuare, innescando anche pericolosi fraintendimenti di carattere culturale che rischiano di aggravare ulteriormente la situazione.
Vediamo succintamente alcuni casi:
Cinghiale
I cinghiali sono stati reintrodotti all’Elba negli anni ’60 – ’70 (l’ultimo cinghiale maremmano era stato abbattuto sull’isola nel 1802) a scopo venatorio. Gli esemplari introdotti provengono dall’Europa centrale (sottospecie Sus scrofa attila) e risultano avere una elevata variabilità genetica ed essere incrociati con i maiali domestici. Sull’isola i cinghiali nordici hanno trovato un paradiso: abbondanza di cibo (ghiande e castagne, frutti di bosco), mancanza di nemici naturali, rapido abbandono dei coltivi, scarsa tradizione venatoria… fino a diventare presto l’animale al vertice della catena alimentare terrestre e tutto questo con un tasso di riproduzione altissimo (femmine che partoriscono anche 2 volte l’anno 24 cuccioli) che ha fatto esplodere la popolazione fino a portarla ad oltre 4.000 esemplari in un territorio di 220 km2. L’impatto sulla flora e sulla fauna è pesantissimo, soprattutto su inverterbrati, rettili, anfibi, piccoli mammiferi e uccelli che nidificano al suolo. Inoltre i cinghiali stanno mettendo a forte rischio lo Zafferano dell’Elba (Crocus ilvensis) scoperto solo di recente da un botanico elbano, Angelino Carta, e dai suoi colleghi dell’Università di Pisa, che ha un areale limitatissimo sul massiccio del Capanne. La gestione venatoria del cinghiale, voluta dalla Provincia di Livorno, è stata ed è disastrosa ma viene riproposta come soluzione nonostante i cinghiali abbiano messo in ginocchio la piccola agricoltura elbana. Il tentativo di scaricare sul Parco Nazionale la colpa della proliferazione dei cinghiali oltre ad essere storicamente assurdo è contraddetto dall’enorme tasso di cattura ed abbattimento selettivo all’interno dell’area protetta (oltre 1.200 capi all’anno, due volte e mezzo
di quel che abbattono i 300 cacciatori all’esterno del Parco). E’ chiaro che chi ha diffuso la malattia non può essere anche la medicina, eppure le istituzioni, a cominciare dalla Provincia di Livorno e da alcuni comuni, continuano a proporre la soluzione venatoria, la libera caccia all’interno del Parco e la creazione di riserve recintate dove collocare i cinghiali catturati dal Parco per farli abbattere dai cacciatori. Legambiente, altre associazioni ambientaliste, Coldiretti e un comitato di cittadini elbani chiedono l’eradicazione del cinghiale dall’Elba, ma anche la semplice e concreta applicazione della legge regionale sulla caccia ed il rispetto della densità di capi che produrrebbe, secondo i nostri calcoli, una diminuzione della popolazione di cinghiali a meno di 500 capi. Certo è che la pressione venatoria e la complicità delle istituzioni hanno prodotto un disastro ambientale e dimostrato l’incapacità di gestire una specie problematica.
Muflone
I mufloni sono stati introdotti all’Elba negli anni ’80 su richiesta dei cacciatori appoggiata dal Comune di Marciana, dalla Comunità Montana dell’Elba e della Provincia di Livorno e come valorizzazione del Parco naturale del Monte Capanne che non ha mai visto la luce. Successivamente questi ungulati sono stati introdotti anche a Capraia ed al Giglio, dove però la piccola popolazione esistente è frutto della fuga da un
recinto privato. La popolazione di mufloni all’Elba risulta localizzata sul massiccio del Capanne ed è oggetto di un (costoso) piano di contenimento da parte del Parco Nazionale attraverso catture ed abbattimenti selettivi. La popolazione di ovini selvatici ha superato i livelli di guardia e le capacità di carico in un territorio già pesantemente provato dall’abbondanza di cinghiali e l’impatto dei mufloni sulla flora e sull’agricoltura diventa ogni giorno più pesante. Anche in questo caso chiediamo l’eradicazione, che sarà sperimentata al Giglio da Provincia di Grosseto e Parco Nazionale.
Pernice Rossa
All’Elba fino agli anni ’70 – ’80 esisteva la più folta popolazione pura di pernice rossa (Alectoris rufa), ma la gestione venatoria della specie, l’impatto dei cinghiali su uova e nidiacei e probabilmente il cambiamento nell’utilizzo dei suoli, hanno dato un fortissimo colpo alla presenza di questo uccello. Inoltre, recenti studi genetici hanno dimostrato che ormai non si può più parlare di pernice rossa perche gli esemplari elbani risultano ibridati con la Coturnice orientale o Ciukar (Alectoris chukar) introdotta dai cacciatori. Lo stesso vale per la folta popolazione di pernici introdotte a Pianosa che sono risultate non pure.
Lepre
Un altro esempio di scellerata gestione venatoria è quello della lepre: all’Elba, probabilmente fino ai primi anni ’80, esisteva una sottospecie endemica di Lepre italica (Lepus corsicanus) che è stata cancellata dall’introduzione a scopo esclusivamente venatorio della più grande, forte e prolifica Lepre europea (Lepus europaeus). La scomparsa di questo animale unico e prezioso è avvenuta nell’indifferenza totale ed addirittura attraverso i contributi pubblici per il “lancio” delle lepri europee.
I ratti di Montecristo
Se si pensa a questo vero e proprio disastro ecologico creato da scriteriati interventi umani, appare più che sconcertante la polemica scatenata da alcune associazioni animaliste ed anti-parco contro il progetto di eradicazione dei ratti (Rattus norvegicus) a Montecristo, un progetto Life+ (Montecristo 2010 - eradicazione di componenti floro-faunistiche aliene invasive). Questo progetto è sostenuto da Regione Toscana, Parco Nazionale e governo dopo il successo dell’eradicazione già avvenuta in altre isole e isolotti dell’Arcipelago Toscano ed in atto anche a Pianosa per quanto riguarda sia i ratti che le piante invasive Fico degli Ottentotti (Carpobrotus), ailanto (Ailanthus altissima) e l’acacia (Acacia pycnacantha). L’opposizione a questo progetto si è, in modo preoccupante, espressa attraverso la falsificazione dei dati sulla quantità di rodenticida (solo pochi etti di principio attivo fatti passare per le tonnellate totali di esche) e con una critica ai ricercatori che hanno effettuato l’eradicazione (seguendo principi scientifici e protocolli IUCN adottati in tutto il mondo) che ha spesso rasentato la calunnia e che si è sempre mantenuta all’interno della completa ignoranza della questione. Si è inoltre sorvolato sul fatto che l’eradicazione dei ratti si era resa necessaria per tutelare la nidificazione della berta minore (Puffinus yelkouan) a Montecristo che ospita dal 3 al 10% della popolazione globale di questa specie, che negli ultimi anni ha subito, a causa della predazione di uova e pulli da parte dei ratti un successo riproduttivo prossimo allo zero. Inoltre i ratti avevano un impatto insostenibile su specie endemiche minacciate di invertebrati. E’ chiaro che non si può permettere che una specie invasiva importata dall’uomo possa distruggere specie endemiche e rarissime che negli altri Paesi le associazioni ambientaliste e animaliste tutelano anche raccogliendo fondi per campagne di eradicazione di ratti, topi, gatti ed altri predatori e competitori introdotti dagli uomini nelle isole. Ed è anche chiaro che da qui passa uno dei discrimini tra ambientalismo scientifico e animalismo di tipo disneyano che finisce per sposare le campagne politiche degli ultimi anti-parco.
Le occasioni mancate: Santuario dei Cetacei ed Area Marina protetta
Questi esempi possono far solo capire i rischi ai quali è sottoposta la biodiversità unica e preziosa dell’Arcipelago Toscano che sta sperimentando anche a mare l’arrivo di specie aliene (pesci ed invertebrati) spinte a nord dal riscaldamento globale e che vede alcuni fondali occupati da alghe invasive come la caulerpa taxilfolia e la caulerpa racemosa, rischi che aumentano per la mancanza di un vero governo del Santuario internazionale dei mammiferi, rimasto praticamente sulla carta (salvo le volenterose iniziative della Regione Toscana) e soprattutto per l’indecente vicenda dell’istituzione dell’Area marina protetta dell’Arcipelago toscano, prevista addirittura dalla legge 979 sulla protezione del mare del 1982 e confermata
dalla legge 394/91 sui Parchi e dalle sue successive modifiche ed integrazioni. Uno stallo che dura da 30 anni e che ha consegnato al Parco nazionale vincoli a mare intorno a Gorgona, Capraia, Pianosa e Montecristo senza la possibilità di trasformali in gestione attiva e in occasioni di conoscenza e sviluppo sostenibile. Ma il mare e le isole dell’Arcipelago Toscano, sballottate nel mare in tempesta di una politica miope e troppo spesso indifferente alla magnifica bellezza della biodiversità, resistono agli errori umani e sono ancora in grado di mostrare meravigliose sorprese, come le foche monache avvistate al Giglio ed all’Elba, le rare farfalle del Capanne, il recupero dello Stagnone di Capraia, la nidificazione dei rarissimi gabbiani corsi a Pianosa e delle Berte a Montecristo, le pinne nobilis di Giannutri o le balenottere che sfiorano Gorgona.
Legambiente Circolo dell'Arcipelago Toscano