Ci siamo quasi. Martedì, nel Parco regionale della Maremma, si apre il settimo congresso nazionale di Federparchi, il primo che mi trovo ad organizzare e condurre da presidente. Si tratta di una partita importante, di un passaggio dirimente per l'associazione, per le aree protette del nostro Paese. E mi sembra quasi inutile sottolineare quanto mi faccia piacere giocare in casa, ad Alberese. Come ho già detto il congresso rappresenta un momento cruciale. L'intero sistema nazionale delle aree protette ha bisogno di nuovi contributi di idee e proposte. Attendiamo, per questo, centinaia di amministratori, tecnici e studiosi, operatori e volontari. Alla fine dei lavori getteremo insieme le basi per il futuro di Federparchi.
Ma andiamo per ordine. Il periodo che stiamo vivendo è delicato e complesso. Siamo nel mezzo di una grave crisi economica e finanziaria che ha riflessi evidenti anche sulla gestione dell' ambiente, in una spirale che non promette nulla di buono.
Negli ultimi anni sono stati messi a punto dei modelli molto precisi capaci di
contabilizzare i valori economici dei servizi resi dalla natura e i danni (finanziari) che la loro perdita, o la diminuzione della loro efficienza, induce sui sistemi sociali.
Ergo: la natura - lo ribadiremo in modo chiaro al congresso - è anche un "capitale" economico e le aree protette in questo contesto rappresentano gli strumenti più importanti per una gestione oculata dei servizi ecosistemici forniti dalle risorse ambientali; servizi di cui va garantita riproducibilità. Sì, perché nell'immediato futuro, come mai prima nella storia dell'uomo, la capacità di competizione nel mercato globale tra stati e territori si giocherà anche sulla dotazione quantitativa e sull'integrità delle risorse naturali.
L'Italia, dopo l'approvazione della Legge 394 (20 anni fa), si è portato dagli ultimi ai primi posti in Europa in termini di superficie tutelata (a terra e a mare) attraverso le aree protette, che oggi sono 827 e rappresentano l'11% del territorio nazionale. Progetti di reintroduzioni ben realizzati, e portati avanti su una solida base scientifica, hanno consentito la ricomparsa in molti territori di specie localmente estinte nel secolo scorso. In definitiva, le aree protette in molti casi hanno fornito risposte per frenare la perdita della biodiversità e del paesaggio, e oggi essi rappresentano dei presidi sicuri di conservazione attiva della natura e sono concordemente riconosciuti come degli strumenti di valorizzazione sostenibile del territorio e delle sue risorse. Da qui si riparte e si rilancia.
Sul versante economico le aree protette, negli ultimi anni, sono riuscite a catalizzare crescenti flussi di turisti italiani e stranieri, come testimoniano i dati in incremento che vedono il
turismo naturalistico in positiva e netta controtendenza rispetto alla flessione progressiva del turismo tradizionale. Io credo che la spiegazione di questo successo risieda nel fatto che la natura, i parchi, nel nostro Paese, hanno fatto davvero decisivi passi in avanti e che oggi collocano l'Italia, in tema di politiche di conservazione della natura, ai primi posti nel panorama mondiale.
Un campo di attività fatto anche di investimenti che attraverso la tutela della natura hanno creato posti di lavoro duraturi, hanno migliorato il rapporto di rispetto verso di essa da parte di larghe fasce di cittadini e hanno prodotto economie turistiche e culturali.
In sostanza abbiamo generato una crescita di civismo e fornito occasioni di sviluppo e di lavoro. Ecco perché mi ostino a ripete che le aree protette sono uno degli elementi centrali della green economy a cui bisogna guardare sia per uscire dalla crisi sia per creare le condizioni di un futuro solido.
Eppure, se vogliamo guardare il bicchiere mezzo vuoto, anche in Italia continua l'erosione della biodiversità dovuta essenzialmente a cause antropiche quali la frammentazione degli habitat, il peggioramento della qualità delle acque, l'incremento delle specie alloctone, la diminuzione dei suoli coltivati e di quelli ancora naturali, a seguito della progressiva urbanizzazione e dei cambiamenti climatici in atto. Per queste ragioni e in forza dei risultati ottenuti, al nostro Paese e a chi gestisce le aree protette, è richiesto un nuovo sforzo e un rinnovato impegno per andare oltre i successi conseguiti. E attenzione non è pensabile un'Italia scollegata, distinta, delle aree protette.
La nostra missione futura si esalterà e sarà riconosciuta come positiva ed utile al Paese, se saprà sapientemente e coraggiosamente intrecciarsi con lo sforzo corale che il grave momento che stiamo attraversando richiede.
Di certe considerazioni e di molte altre il congresso dovrà ovviamente fare sintesi. Parleremo molto anche di aree marine protette, della nuova 394, della carenza di finanziamenti. Sarà delineato un percorso politico, istituzionale e culturale per l'associazione, non perdendo mai di vista la necessità di contabilizzare il valore della natura in nome di un nuovo benessere collettivo di cui il PIL non può essere più l'unico, o il principale, indicatore di riferimento.
In questa operazione culturale i Parchi debbono essere in prima fila perché saranno loro i primi a trarre beneficio dai risultati che possono essere ottenuti attraverso una battaglia che non è solo di principio ma che deve produrre effetti pratici a cominciare, ad esempio, dal valore da dare all'acqua che nei parchi è immagazzinata e riuscire, così, ad impegnare le agenzie d'ambito per la gestione delle risorse idriche a finanziare investimenti di manutenzione territoriale e forestale, o per dare un valore alla CO2 trattenuta dalle foreste presenti nelle aree protette per riceverne un adeguato ritorno economico da utilizzare per la loro gestione sostenibile.