Possiamo immaginare passaggi veloci, una striscia scura nella luce inondata di verde.
E una lingua aspra, lontana dal latino più di una galassia. Era il tempo dei primi uomini che fuggivano dalla luce, di quei nuovi mistici che cercavano il buio delle grotte per arrivare all'azzurra divinità. Come per Cerbone, il vescovo tunisino di Populonia che aveva scelto come «turpis latebra» la piccola cavità - ancora oggi chiamata «Grotta del Santo» - aperta sulla vallata cristallina di castagni tra i paesi di Poggio e Marciana. Un microcosmo si evolveva sulle terre dell'isola, suoni latini che si adattavano, si compenetravano con quelli nuovi portati dai Longobardi.
È facile pensare a ciò che ancora oggi ci testimoniano i nomi di molte località poste in un triangolo ideale che unisce Marciana, Poggio e Marciana Marina; quei nomi, se analizzati attentamente, parlano chiaro. Sono attestati da documenti (atti notarili, estimi delle proprietà) che vanno dal Trecento al Seicento. E se leggiamo un passo del notaio pisano Andrea Pupi (1343), conservato allArchivio di Stato di Pisa, abbiamo davanti a noi una nitida fotografia del tempo: «...unius petii terre vineate cum ficis et aliis arboribus et capanna super se positi infra confines Comunis Iovis in loco dicto In del Piano di Marciana...», che si lascia tradurre tanto facilmente con «un pezzo di terra con vigne e fichi ed altri alberi e una capanna che si trovano entro i confini del Comune di Giove (Poggio) nel luogo detto In del Piano di Marciana». Si parla di «capanne» e, in altri documenti, di «case»; la loro entità era molto probabilmente quella di semplici magazzini di campagna, dove si potevano riporre gli attrezzi e, soprattutto, dove si produceva il vino tramite la grossa vasca murata del «palmento». A tale proposito, nello stesso atto il notaio scrisse di un altro terreno con vigne, ulivi e meli «...cum capanna et cum palmento in dicta capanna...».
Molte di quelle capanne e case esistevano già dai tempi longobardi, nel VI secolo. A dircelo sono un gruppo di toponimi della zona, tutti caratterizzati dalla radice «ca-» che sta per «casa» più il nome del suo proprietario: «Cabòtoli» («casa di Bòttoli»), «Cadonno» («casa di Donno»), «Calandolfello» («casa di Landulf»), «Calegrone» («casa di Alegrone»), «Camarzucco» («casa di Marzucco»), «Caparùtoli» («casa di Barùttuli»), «Casardello» («casa di Sardello»), «Casarotto» («casa di Sarotto») e «Castormo» («casa di Sturmi»). Stesso concetto per la località di «Casciumballi», ovvero «case in valle». Un mondo tutto proiettato verso sé stesso, verso i suoi ritmi e la sua sacralità; lo troviamo sempre in nomi di località dell'Elba occidentale come «Gualdo» («wald», «bosco»), «Catro» («kater», «cancello»), «Cafaio» e «Gaggioli» («gahagi», «recinto»), Passo di Bergo («berg», «monte») e Castaldinco («kastald», «amministratore terriero»).
Silvestre Ferruzzi