«L’elbano appartiene al gruppo dei dialetti côrsi (...) e fra questi è, come appare naturale, il più toscanizzato.» In questi lapidari termini si esprimeva Romualdo Cardarelli nel 1934. Se in alcune aree dell’Elba, come ad esempio Portoferraio, esiste una spiccata «toscanizzazione» linguistica (caratterizzata dalle classiche «c» e «t» aspirate) derivante con buona probabilità dai massicci apporti continentali avuti in epoca medicea, il vero dialetto elbano è presente nelle zone più marginali dell’isola, specie nella parte orientale e occidentale; quest'ultima, in particolare, è da considerarsi come un vero e proprio «ponte linguistico» tra Toscana e Corsica. Anche dal punto di vista storico si possono ricordare gli indubbi legami tra le culture megalitiche côrso-sarde e quella dei siti elbani della Piana alla Sughera e dei Sassi Ritti. È lecito pensare che in tempi remoti all’Elba venisse usata la terminazione latina in «u»; sola traccia di quest’arcaica lingua sembra essere l’antico toponimo elbano «Pradupino», che deriverebbe da «Pra’ d’u pinu» («prato del pino»). E ancora, esistono nomi di località elbane che presentano ben poche differenze con quelli della Corsica; per citarne alcuni, «Bóllero» (côrso «bóllaru», «polla d’acqua»), «Caracuto al Nibbio» (côrso «caracutu» e «nebbiu», «agrifoglio» e «nebbia»), «Pastorecce» (côrso «pasturìcciule», «quartieri pastorali»), «Pinzaloni» (in Corsica, «massi appuntiti»), «Poiòlo» (côrso «pughjólu», «poggio») e «Tole» (côrso «tola», dal latino «tabula», «tavola»). Numerosi modi di dire dell'Elba occidentale, oggi scomparsi, tradiscono ulteriormente un’origine più côrsa che toscana: «‘un c’è nimo ‘n dógo» («non c’è nessuno in giro», dal latino popolare «nemo in loco»), «‘l sole ciutta» («il sole tramonta», in côrso «u sole ciótta»), «affacca la luna» («spunta la luna», in Corsica «affacca ‘a luna»). E quasi côrso fu l’amaro commento d’un «pomontinco» al ritorno da Portoferraio dopo aver cercato di vendere dei presunti «pezzi d’oro» rinvenuti nella vallata di Pomonte ed avendo ricevuto in cambio oggetti di scarso valore: «Che bellezza, ‘n chidd’e Feraje: sacchi di fusi e chirumelle!» («Che bellezza, in quel di Portoferraio: sacchi di fusi e bottoni!»).
Silvestre Ferruzzi