Tempo fa un vecchio viveva in un tempietto sulla cima dell'Himalaya; passava intere giornate a pregare e si riposava solo per un paio d'ore. Un giorno uno yeti, ovvero una strana creatura delle nevi che viveva da quelle parti, andò a vedere cosa stesse facendo. Confuso da quello strano modo di vivere, da tutti sacrifici e da tutti gli strani canti, pensò di lasciar perdere e di tornare il giorno seguente. Passarono circa ventiquattr'ore e lo yeti decise di tornare.
Triste per la vita monotona che il vecchio conduceva diventò suo amico; lo convinse a smettere di meditare e cominciarono a giocare a “La tana dei Goblin” un gioco di carte famoso in quei luoghi. Passarono giorni, settimane e mesi finché non si arrivò alla stagione delle piogge, i due si trattavano come fratelli, l'unica differenza era che uno rideva con uno strano tono di gola e l'altro emetteva degli strani grugniti.
Una sera lo yeti si allontanò per tornare alla sua caverna buia e fredda, per fortuna ciò non lo infastidiva es-sendo uno yeti e si coricò tranquillo e spensierato. Ad un certo punto però un fulmine si abbatté proprio fuori dalla caverna con tale violenza da farlo svegliare; di corsa si avviò verso l'uscita del suo rifugio e vide la più grande tormenta mai scatenatesi sull'Himalaya. In fretta e furia si avviò al piccolo tempio del saggio, ma durante il cammino venne travolto da una valanga.
Dopo che la tempesta finì riprese i sensi e ricominciò ad avviarsi verso il tempio che lui ormai giudicava come una seconda casa; passò una mezz'oretta e giunse a destinazione. Si catapultò dentro quello che prima poteva considerare come un luogo di incontro con il suo unico e migliore amico. Lì realizzò la cosa che l'avrebbe reso più triste al mondo: al posto del vecchio, dentro il cerchio di meditazione, trovò solo un cumulo di cenere.
Affranto e con le lacrime sui suoi strutti occhi gialli tornò a casa. Passò un anno e mezzo circa in cui lui visse in depressione.
Un giorno decise di tornare al tempio per prendere l'acqua dal pozzo collocato all'interno; lì notò che al posto della cenere c'era una mappa, la seguì e arrivò fino alla cima dell'Everest. Lassù era presente soltanto una porta dorata che sembrava non conducesse a niente. Decise di aprirla e si ritrovò nello Shangri-La. Ed è proprio lì che rincontrò il saggio che per tutto questo tempo aveva meditato per raggiungere questo luogo e non solo. Era anche riuscito a tramutarsi nella mitologica fenice, anzi diventò la più bella delle fenici, dotata di ali dorate e dotata del becco più splendente di tutto lo Shangri-La. Tutto ora aveva una risposta: la vita passata a meditare,la tranquillità e la cenere nel tem-pio. Tutto era rivolto ad avere una seconda vita. Ora potevano divertirsi, giocare, parlare e anche mangiare insieme, per sempre.
Giacomo Mione