Nel marzo 2004, il 10 febbraio è stato riconosciuto per Legge quale “Giorno del Ricordo”, in memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.
Quando si avvicina la commemorazione, mentre durante l’anno quasi nessuno ne parla, i negazionisti e giustificazionisti liberano la loro cattiveria. Ancora nel 2021, noi giuliano dalmati dobbiamo subire razzismo nel silenzio connivente dell’italiano medio.
Eppure i miei hanno pagato il debito di guerra di tutta l’Italia alla Jugoslavia, con la nazionalizzazione dei propri averi. Lo hanno fatto anche per queste persone. Ancora prima di un indennizzo, mai ricevuto, almeno rispetto.
Io discendente non ho vissuto quanto Tito ha fatto alla mia famiglia, ho dovuto convivere però con le conseguenze che ha lasciato nelle loro vite. E soprattutto ho vissuto il silenzio tutto italiano, ho vissuto la discriminazione tutta italiana. Questa è la mia memoria, questo è il mio presente, da quando con mia madre all’età di 3anni abbiamo raggiunto mio padre fuggito anni prima.
Sono nato a Rovigno, cittadina della costa istriana, per il suo mare, per le sue spiagge, potrebbe benissimo inserirsi nei meravigliosi panorami dell'Isola d'Elba, dove vivo e lavoro da tempo. Prima della guerra, gli abitanti di Rovigno erano quasi tutti italiani. Poi la sconfitta. E le conseguenze umane e territoriali furono pagate sul confine orientale. Trecentomila italiani abbandonano le loro case, la loro terra, i loro morti per andare verso l'ignoto, in Italia ed in tanti altri paesi del mondo.
Le terre perse sono finite sotto la Jugoslavia, si viveva un clima di terrore, di stato di polizia, chi non parlava slavo era un diverso, la polizia segreta jugoslava spiava i non allineati al nuovo regime, li chiamava “nemici del popolo”, solo per aver detto una parola di troppo o aver espresso una minima perplessità in pubblico; chi andava in chiesa, si sposava o battezzava i suoi figli era segnato peggio di un assassino. Sparizioni continue specie di notte, bastonature a chi si dimostrava insofferente al nuovo regime, confische dei beni, pressioni psicologiche di ogni tipo.
A Trieste l'occupazione slava dura 40 giorni. Periodo di lutti e terrore. La Foiba di Basovizza, divenuto monumento nazionale, era usata dai partigiani di Tito per infoibare i triestini nel periodo di occupazione jugoslava.
In Istria e Dalmazia l’esodo dura anni ed anni, la gente è spaventata piena di dubbi, sente parlare di continue sparizioni di conoscenti, amici, vicini di casa, parenti colpevoli di essere italiani. Finivano nelle foibe, legati l’un l’altro con filo di ferro ai polsi un colpo di pistola in testa al primo che cadendo trascinava gli altri ancora vivi.
Perché tanto odio? In Istria e nella Dalmazia ai tempi della Repubblica di Venezia i rapporti tra italiani e slavi erano più che corretti. Poi arriva l’impero austroungarico, con una politica repressiva nei confronti degli italiani dopo la sconfitta nella Terza guerra d’indipendenza (1866) con la perdita di Venezia e del Veneto. Ma rimanevano all’Austria-Ungheria: il Trentino, il Friuli orientale, l’Istria, le città di Trento, Trieste, Pola, Fiume e Zara. Da Vienna parte l'ordine alle autorità periferiche di ostacolare in ogni modo le comunità italiane (considerate irredentiste) e di agevolare lo sviluppo dei tedeschi e degli slavi.
Alla fine della Prima guerra mondiale, l’Istria diventa italiana, con Trento, Trieste, Fiume e Zara. Si era in regime fascista, si commisero gravi errori verso la popolazione slava con la chiusura delle scuole croate e slovene, fu imposto l’italiano nei luoghi pubblici, furono allontanati i sacerdoti slavi.
Poi la Seconda guerra mondiale e l'espansionismo slavo mostra il lato peggiore con la pulizia etnica, infoibando gli italiani di maggior spicco tra cui gli esponenti del CLN istriano, che avevano combattuto contro i nazisti e fascisti, rei di volere che la terra istriana resti italiana. In Istria gli italiani sono autoctoni (gli unici fuori dai confini nazionali) da secoli e secoli per lingua, cultura, religione e storia, un legame inscindibile di civiltà.
Istriani e dalmati verso l'ignoto, pur di restare italiani. Anche se talora in Patria furono accolti non da una madre, ma da una indegna matrigna, che addirittura buttava a terra il latte preparato nelle stazioni ferroviarie per i poveri figli di gente onesta e laboriosa.
Rimasero semideserte città come Pola, Fiume ed i centri minori sembravano attraversati da un gas venefico. In Dalmazia, Zara, faro italiano, subì un centinaio di bombardamenti da parte degli angloamericani ed i titini, in mancanza di foibe, annegavano gli italiani più in vista lanciandoli in mare con pietre al collo.
Chi poteva "restare" in presenza di tali fatti? Gli anni successivi sono stati durissimi, sopportati dalle genti giuliane e dalmate con educata dignità. Nei campi allestiti per loro (vecchie caserme o strutture fatiscenti) vivevano ammassati al limite della condizione umana. Poi, piano piano, laboriosità ed impegno hanno permesso di superare la fase più angosciante. Istruzione, lavoro, serietà è stata la strada per il recupero di una condizione normale.
In tutti è rimasto indelebile il ricordo per la casa, la chiesa, i campi, il mare, le terre perse. I vecchi hanno trasmesso l'amore per la piccola patria lontana con la speranza che i loro discendenti un giorno… ritorneranno.
Enzo Sossi