Dovendo trattare del turismo come fenomeno di massa, la sua storia si riduce pressoché agli ultimi 70 anni, dalla metà del Novecento. I precedenti sono marginali, quindi li citerò solo en passant.
Una forma di prototurismo l'Elba e l'arcipelago la conoscono già in epoca romana: i ricchi patrizi che edificarono le ville, al netto dell'eventualità che avessero interessi economici in loco, lo fecero anche e forse soprattutto come luoghi di otium, ben evidenziati dal lusso delle suddette dimore e dagli splendidi posti in cui sorsero.
Nei secoli XVII e XVIII si sviluppa quella forma di turismo aristocratico e colto improntata sui Grand tour. Privilegiando le città d'arte e le grandi aree monumentali e archeologiche, l'Elba ne rimane esclusa. C'è sì qualche viaggiatore che giunge all'isola, ma più che altro si tratta di, per così dire, “specialisti”, ovvero soprattutto studiosi di geologia, attratti dalle famose miniere. Cambia tutto nell'Ottocento: l'isola diventa famosa ovunque per l'esilio napoleonico, e il mito Bonaparte diventa l'attrattore per molti visitatori. Ma stiamo parlando ancora di un fenomeno aristocratico e colto, ininfluente dal punto di vista economico.
È nella prima metà del Novecento che si sentono i primi vagiti di turismo, soprattutto il periodo tra le due guerre. Ma le vacanze sono ancora un lusso che pochi si possono permettere: già per la media e piccola borghesia sono un sacrificio economico impensabile.
È tuttavia interessante la prima forma pionieristica di turismo che viene avviata all'Elba, soprattutto su impulso di Sandro Foresi, che nel 1930 fonderà l'associazione “Amici dell'Elba” e darà alle stampe la prima guida turistica della storia elbana, “L'Elba illustrata” (Portoferraio, 1923). L'associazione raccolse 339 adesioni per invito, di personalità di estrazione eterogenea: si andava da pezzi grossi del regime fascista (Costanzo Ciano e Giuseppe Bottai), a grandi artisti (Llewellyn Lloyd e Plinio Nomellini), a scrittori (Orio Vergani), a rappresentanti delle istituzioni, militari e della cultura del tempo.
Per le rare locande e le poche trattorie elbane questi isolati e importanti visitatori (che molto probabilmente portavano anche amici e conoscenti all'isola, in ogni periodo dell'anno) sono certamente una fortuna. Ma non tanto da costituire un volano occupazionale e un ingente introito economico.
La seconda guerra mondiale rappresenta uno spartiacque storico. Il 1945 costringe tutto il continente europeo a ripensarsi, non solo dal punto di vista geopolitico. L'Elba non fa eccezione. È interessante il dibattito che nasce sulla stampa isolana per delineare il futuro della nostra terra (una rassegna degli interventi si può leggere in GIANFRANCO VANAGOLLI “Cronache elbane 1940-1945”, Pisa, 1991, pagg. 210-217).
L'economia elbana è di fronte a un futuro grigio. Nonostante da più parti si invochi un ritorno all'ordine passato, le speranze che gli altiforni riaprano sono nulle: il governo non ha alcuna intenzione di riavviare un impianto che già alla nascita aveva mostrato grossi limiti. Dopo neanche mezzo secolo si chiude l'era industriale elbana. Le miniere invece ripartono, inizialmente con fatica e, con gli anni, a pieno regime. L'agricoltura rappresenta ancora un settore forte, soprattutto la vitivinicoltura, sebbene sia in grossa contrazione da almeno mezzo secolo, e il conflitto non le abbia certo giovato. Il ritorno nei campi degli elbani quale sviluppo economico futuro, sebbene pochi lo descrivano in termini aulici come una sorta di Arcadia ritrovata, è impensabile per i costumi e le esigenze di una società in cerca di altre e più attrattive aspirazioni.
Si apre quindi una sola altra strada praticabile: il turismo. L'Elba deve vendere se stessa. Ma non è per niente facile, data la paurosa carenza di infrastrutture di base. Un aiuto arriverà dall'inserimento dell'isola nella Cassa per il Mezzogiorno, che finanzierà la realizzazione delle stesse. Ma c'è anche un problema culturale: manca una generale preparazione professionale all'accoglienza. Per questo le voci che prefigurano un futuro turistico per l'isola sono pochissime, e talvolta considerate quasi visionarie.
Tra queste, la più forte è quella di Giuseppe Cacciò, eclettico tycoon portoferraiese, uno dei protagonisti del Novecento elbano. Che non si limitò solo a teorizzare, ma anche a relizzare. Per prima cosa fondò l'Ape, l'Associazione progresso elbano. Nel 1946 aveva aperto un cantiere navale a Bagnaia e l'impianto di imbottigliamento e commercio dell'acqua di Poggio, ancora oggi solida realtà economica. Nel 1947 entrò di prepotenza nel campo turistico. Innanzitutto trasformando la villa del Buono, sempre a Poggio, nel Palace hotel Fonte Napoleone, che attirò i primi facoltosi visitatori da tutta Europa all'isola. A Portoferraio invece mise mano al progetto dell'hotel Darsena, affacciato sulla bella calata, al posto delle rovine del Palazzo dei merli, anch'esso ex possedimento di del Buono. L'hotel Darsena fu inaugurato dopo un anno di lavori, alla fine di giugno del 1952.
Ovvero negli anni in cui il turismo non sarà più una scommessa, ma l'inizio di una nuova era. Con luci e ombre, come vedremo nel prossimo capitolo.
Andrea Galassi