Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. Il capoliverese e il longonese sono tra gli indiziati. Ma non sono i soli.
All'anagrafe il suo nome sarebbe portoferraiese, ma in famiglia preferisce farsi chiamare col nome di ferajese. E fra poco vedremo perché.
Insieme al longonese, è l'unico della famiglia ad avere un periodo di nascita preciso: aprile 1548. Ma, a differenza del longonese, il ferajese con suo padre, il fiorentino, è sempre andato d'accordo. Tanto che la sua parlata risente ancora in buona parte delle influenze avite. L'unico dissidio, appianato quasi subito, è stato sul nome. Il genitore voleva chiamarlo cosmopolitano, ma al figlio quel nome suonava troppo pomposo, e quindi fasullo, per il suo carattere. L'unico della sua schiatta a farsi chiamare cosmopolitano è stato Sebastiano Lambardi. Ma, diciamoci la verità: solo per fare il fighetto nei circoli culturali.
Perché allora ha scelto il nome di ferajese? Perché ha avuto due vite precedenti. E qui occorre soffermarsi. Il padre nobile è stato il romano. Ma c'è un problemino. Il romano veniva in vacanza all'Elba soprattutto per il vino buono, pubblicizzato abilmente da un marpione di agente turistico quale Plinio il Vecchio (effigiato a corredo dell'articolo). E, si sa, nelle notti di bagordi può avvenire il guaio. Così il romano concepisce un figlio elbano. Ma è talmente sbronzo che leva le tende scordandosi di dargli un nome. Il ferajese se ne inventa uno ex post, Fabricia. Ma qualcuno lo sgama per quello che è: la fola di un falsario. Meglio quindi rifarsi al nome che gli diede il secondo padre, il pisano, almeno lì c'era, nero su bianco, il certificato di nascita. Ed ecco spiegato il nome di ferajese.
Appena nato, il ferajese ha voluto essere il cocco di famiglia. Spalleggiato dall'amorevole padre, che gli regalava tutto quello che chiedeva, ha voluto porsi al centro dell'attenzione, con capricci da bimbo viziato. Nonostante fosse l'ultimo arrivato si è subito atteggiato a capofamiglia. Ha voluto la casa fortificata più bella: ottenuta. Il porto più importante: ottenuto. Servizi di primo piano, come ospedale e tribunale: ottenuti. Montecristo e un pezzo del giardino marcianese (Enfola e Biodola) per allargare la sua tenuta: ottenuti.
E a un certo punto, essendo oltremodo vanesio, ha voluto anche il titolo di città per casa sua. Gli altri cugini gli hanno fatto notare che il suo pollaio... pardon... la sua magione era all'epoca grande all'incirca come le loro. Ma il bimbo pesta i piedi, strilla, e babbo fiorentino gli deve regalare anche il titolo di città. Con Napoleone la famiglia elbana diventa principesca? Lui vuole essere il principe imperiale e atteggiarsi a parigino.
Così il ferajese è venuto su balzano. Non solo accontentandosi di prendersi le cose che gli garbano, ma pure strappandole di mano ai cuginetti. Un esempio significativo. La famiglia vuole un'industria? Lui fa i capricci, e strappa gli altiforni al piaggese (malgrado il grande sponsor Napoleone) e al longonese. Non è che poi ci abbia fatto un grande affare, impestando casa sua di fumi. Ma è fatto così, è permaloso, e ci rimane malissimo se un cugino lo surclassa in qualunque campo.
Inoltre il ferajese non solo ha voluto che la sua casa fosse separata da quella degli altri con un fossato, ma ha declinato all'elbana un famoso detto inglese: nebbia sul Ponticello, Elba isolata. Infatti, tutto il mondo fuori dalla portata della sua vista, è come la terra del Prete Gianni per gli europei medievali: incognita e dai bizzarri abitatori.
I parenti per un po' sono stati al gioco, ma col tempo è cresciuta l'antipatia. A questo proposito va detto che a coltivare il risentimento dei cugini ci ha pensato non poco lui stesso. Dallo studio dei documenti si scopre che, alla nascita, il ferajese riunisce in sé il dna del fiorentino, il più inviso dei toscani; del capoliverese, il più inviso degli elbani; e del riese, anche questo con una nomea che te la raccomando. Insomma, diciamolo con franchezza: se con questa genetica poi stai antipatico, un po' te la sei andata a cercare.
Ama, certo, fare lo spocchioso, ma è un grosso errore pensare che ci sia dietro la cattiveria. La sua, anzi, è una gioconda bricconaggine. È vero che ci prova gusto particolare a zimbellare i parenti elbani trattandoli da trogloditi, ma se nessuno di loro è presente, si accontenta anche di se stesso. Anzi, forse ci prova più gusto. Se un ferajese di città incontra un ferajese di Carpani o, peggio ancora, del contado, si piglia gabbo di lui con ancora più sollazzo, perché si bea di vederlo guastarsi la giornata, sganasciandosi dalle risate, direttamente dalla finestra di casa.
Altro esempio che conferma il suo carattere vanesio. Quando Napoleone è ospite a casa sua, il ferajese gli dice senza mezzi termini: “Sor Napoleo', lasciate perde' i vostri progetti militari ed ehonomici. Pensate a 'ostruimmi un teatro, che c'ho voglia di divertimmi!” E pur di divertirsi è disposto a distruggere una chiesa, tanto che pure Napoleone non ci rimane tanto bene.
Perché pur di vivere bene, divertirsi e coltivare la sua vanità è disposto a interpretare a modo suo la religione. Anzi si può dire che il ferajese è talmente vanitoso che, a differenza del capoliverese, crede in Dio proprio perché è sicuro che Dio è ferajese.
In una sorta di sdoppiamento della personalità coltiva due anime: una misericordiosa e l'altra sacramentale. Potremmo quasi dire un'anima nera e una bianca, ma entrambe religiose. Eppure, la sua simpatica furfanteria lo spinge a sollazzarsi di metterle in tale blasfema competizione che arrivano in alcuni casi a darsi mazzate da orbi. E lui, come al solito, a ridersela con poca cristiana carità.
Ma l'episodio più significativo per descrivere la sua vanità è il fatto che a un certo punto vuole un santo protettore su misura, come un abito. Aulo Gasparri scopre che all'inizio il suo santo protettore è Rocco. Ma per il ferajese è un santo troppo dozzinale e a buon mercato. Così dice al romano di trovargliene uno nuovo di zecca. Il romano scende nelle catacombe di Priscilla, prende un teschio e due ossa, li mette in una teca, e ci attacca con lo sputo un'etichetta: “San Cristino, martire”. Al momento della consegna, il ferajese vorrebbe giustamente qualche informazione in più su colui che dovrà patrocinarlo. Ma il romano lo gela: “A feraje', o' volevi un santo su misura? E allora pijate 'st'osse e nun fa' troppe domanne!”
Il ferajese ha un'enorme considerazione per casa sua. E ne ha ben donde, essendo una delle più belle ville del Mediterraneo. La sua magione, tra l'altro, fu definita da Giordano Bruno (non proprio l'ultimo rango, dunque) talmente perfetta da parlarvi il latino. E poiché Giordano Bruno è morto, il latino è una lingua morta, il ferajese non ci trova nulla di strano a lasciar morire pure casa sua. Infatti mostra un enorme disinteresse per la sua cura, tanto che è riuscito nell'incredibile impresa di farsi superare da alcuni cugini nella promozione turistica. Anche in questo caso a causa del suo carattere vanesio: si sente un principino, non un uomo di fatica. Così lascia che il suo gioiello architettonico vada in malora, guardandosi immancabilmente intorno e chiedendosi: “O perché 'un viene una donna di servizio a fammi le pulizie di 'asa?”
Eppure il ferajese è onusto di titoli nobiliari veri, non quelli che passano in eredità da un perdigiorno all'altro, come appunto principastri vari. Per esempio, il nostro eroe annovera quelli di contadino, operaio metallurgico, tonnarotto, marinaio e quant'altri. Perché tra i suoi pregi, anche lui come i parenti, si adatta alle circostanze e dimostra di saper fare ogni mestiere con sublime perizia.
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, il ferajese è un altro dei massimi indiziati. Ci sarebbe un valido movente: detiene infatti circa un terzo delle 30mila azioni dell'azienda di famiglia, e solo l'elbano quindi potrebbe avere l'ultima parola su ogni affare. Eliminato lui, si assicurerebbe il controllo totale dell'azienda. Va anche detto però che proprio il fatto di rappresentare una fetta così consistente del patrimonio familiare, l'eliminazione dell'elbano potrebbe essere per lui quasi un suicidio. Da tenere comunque sotto controllo.
Andrea Galassi