Ieri mercoledì 11 dicembre nella Sala della Gran Guardia a Portoferraio il Centro Nazionale di Studi Napoleonici e di Storia dell'Elba ha organizzato la presentazione del volume:
“Devozione popolare nell’Arcipelago Toscano Nelle immagini dei tabernacoli e delle chiese” di Paolo Casini con il contributo di Mario Forti e la Presentazione di Michelangelo Zecchini.
Sono intervenuti oltre all’autore Giuseppe M. Battaglini e Gianfranco Vanagolli che hanno sottolineato l’importanza per il territorio e per la comunità del lavoro svolto da Paolo Casini che ha raccolto preziose testimonianze di patrimonio culturale, in alcuni casi vere e proprie emergenze storiche ed architettoniche. Questo lavoro di raccolta durato molti anni ha prodotto una scoperta: il gruppo marmoreo della Pietà del SS Sacramento di Portoferraio è una vera opera d’arte e finalmente né è stato trovato l’autore. Ecco la Storia:
Sotto i bombardamenti di Portoferraio durante la Seconda Guerra Mondiale, fu distrutto anche il Cimitero della Confraternita del SS Sacramento (detto dei “Bianchi”) costruito a partire dal 1861 ed inaugurato il 30 aprile 1882 quando fu dotato del proprio sepolcreto e della chiesa. Delle molte cappelle gentilizie e lapidi con ornamenti artistici è giunto fino a noi ben poco.
Fortunatamente la ricostruita chiesa accoglie dietro l’altare una vera e propria opera d’arte salvata dagli eventi bellici che, col tempo, è diventata immagine devozionale di riferimento per i fedeli che giornalmente si recano al Campo Santo. Si tratta di una Pietà scolpita nel marmo.
Di questa opera per molti anni se ne sapeva ben poco, compresa la sua originaria collocazione,la committenza e l’autore.
Durante gli studi e le indagini che Paolo Casini ha condotto per la stesura del suo libro e grazie alla collaborazione dell’Archivio del SS Sacramento, è finalmente riemerso il documento, il contratto di committenza, che chiarisce l’origine del gruppo marmoreo.
L’opera si trovava nella cappella della famiglia di Archimede ed Eleonora Magnani che la vollero erigere in memoria del figlio Diogene scomparso prematuramente. Opera di maniera del 1892 di Giusto Giusti, la Vergine è inginocchiata e sorregge con la gamba ed il braccio destro il corpo del Figlio giacente a terra cingendogli la testa con la mano. Con la sinistra tiene sollevato un braccio del Cristo che evidenzia tutta la sofferenza di quel corpo attraverso la mano abbandonata ormai senza forza. Del gruppo marmoreo colpisce immediatamente il volto della Vergine. Quest’ultima, avvolta da vesti artisticamente drappeggiate, ha la fronte quasi aggrottata e lo sguardo che sembra esprimere allo stesso tempo, severità, sorpresa e rassegnazione per la sorte del Figlio. Dello scultore sappiamo ben poco. Forse di origine senese, al tempo della lavorazione della statua era sicuramente attivo a Portoferraio come risulta dal contratto di committenza tra la famiglia Magnani e l’artista firmato il 27 marzo del 1892 e dal trafiletto apparso sul Corriere dell’Elba del 31 dicembre 1891 dove l’artista si propone per “commissioni per lavori di scultura in marmo e terra cotta. Ritratti, bassorilievi, monumenti commemorativi o per camposanto, statue d’ornamento per giardini chiese, etc.”. Certamente il Giusti frequentava spesso Portoferraio e doveva essere conosciuto visto che, nel medesimo trafiletto cita le sue opere già eseguite come il monumento a Jacopo Foresi e a Giorgia Bigeschi. Il primo, firmato, è tutt’ora visibile nel Duomo di Portoferraio, il secondo è andato probabilmente disperso sotto il bombardamento del Cimitero dei Bianchi.
Il Giusti, almeno a cavallo degli anni Settanta-Ottanta dell’Ottocento, risulta attivo a Torino da dove, nel 1880 scrive una serie di lettere, pubblicate in un volumetto, indirizzate a colui che cita come “Maestro e amico”: Tito Sarocchi (Siena 1824-1901), scultore di grande fama che ha lasciato notevoli opere a Firenze, Siena e Massa Marittima. Da Torino il Giusti invia al Maestro commenti sulle opere esposte alla “IV Esposizione Nazionale di Belle Arti” dove partecipa con la scultura Margherita Gautier (opera in catalogo col numero 173 ed esposta per conto del Regio Museo Industriale). In precedenza aveva partecipato, sempre a Torino, alla “Promotrice delle Belle Arti” del 1878 e 1879 con Una vittima d’amore, Al veglione, L’adultera di Cuma e Ritratto di donna.
Forse il nome del Giusti fu suggerito ai Magnani dallo stesso Sarocchi, presso il quale, con accordo firmato il 12 agosto 1890, lasciarono in deposito la somma necessaria per l’esecuzione della scultura che sarebbe andata ad arricchire la cappella.
La committenza era molto precisa sia per i tempi di consegna che per le caratteristiche del monumento:
(…) dovrà avere un’altezza totale di 3 metri, il piano per terra avere metri uno e centimetri sessantacinque di lunghezza e sessanta centimetri di larghezza. Il gruppo rappresentante la Pietà dovrà essere di grandezza naturale, in marmo statuario bianco, la base sarà di un blocco massiccio di marmo così detto ravaccione con iscrizione in lettere dorate su marmo nero pulimentato e la base porterà inoltre in evidenza lo stemma della famiglia Magnani. Lo zoccolo dovrà essere di bardiglio (tipo di marmo con venature grigie, n.d.r.). Il monumento (…) dovrà essere consegnato ed eretto al posto convenuto nel Sepolcreto della Confraternita del SS Sacramento nel Cimitero Comunale entri il 19 ottobre 1892.
Dobbiamo alla premura della famiglia Burelli di Portoferraio se oggigiorno possiamo ammirare questa opera d’arte, che si fece carico, una volta estintosi quel ramo dei Magnani già nel secondo dopoguerra, di conservare il gruppo marmoreo e di donarlo alla ripristinata Chiesa del Cimitero del Santissimo Sacramento dove è attualmente esposta.
Aurora Ciardelli