Ebbene sì cari lettori, oggi vogliamo fare anche noi del nepotismo, anzi del pro-nepotismo, visto il grado del rapporto di parentela che ci lega ai protagonisti di una storia di piccolissima imprenditoria che vogliamo promuovere.
Intendiamoci la notizia c’è, possiamo rispondere alle classiche 5 W imposte agli inglesi gazzettieri (chi, come, quando, dove e perché) e se proprio non è “uomo che morde cane”, la vicenda ha, visti i tempi che corrono, la giusta dose di non consuetudine per renderla degna di nota.
Un giovane commerciante – Bruno Bellini, ferajese di ritorno - ha aperto nel cuore antico di Portoferraio un negozio.
E qui pensiamo che vi siate immaginati, condendo con un “Beh e che c’è di strano?”, ad una jeanseria, una ciabattoteca, una sushieria, una tshirteria, una troiaioteca o simili, un’attività insomma compatibile con l’andamento sempre più effimero-turistico-stagionale della nostra economia.
Nulla di tutto ciò: Bruno, come dice l'insegna, è rampollo di una famiglia che per 35 anni ha tenuto un banco di ambulanti, e nel “nuovo” negozio all’angolo di Piazza della Repubblica a un passo dal Duomo, proprio di fronte all’ingresso del parcheggio di quella che fu (ahinoi!) la Piazza dei Giardinetti, si vendono frutta e generi alimentari; una “bottega” vera insomma, come quelle che si aprivano a decine, anzi a centinaia nelle piazze e nelle strade tra le mura della “Città di Cosimo” e, vendendo ogni merce, riempivano di gente Portoferraio per dodici mesi l’anno, quando saremo stati pure più poveri, ma eravamo urbanisticamente più belli, prima che il cancro di uno “sviluppismo” ignorante e pacchiano, divorasse, cementificandole buona parte delle campagne circumferajesi, impestandole di abitazioni e nuovi quartieri-dormitorio ben oltre le reali necessità abitative, di supermarket ben oltre le reali necessità distributive e provocando (con la benedizione di amministratori ed associazioni di categoria lungimiranti come talpe) il collasso residenziale del Centro Storico e la devastazione della rete del piccolo commercio cittadino.
Eh sì cari lettori ,ora “il morto(ferraio) è sulla bara” e il decesso lo testimoniano le decine e decine di annunci con su scritto “vendesi” e “affittasi” che campeggiano (inutilmente) sulle vetrine spente e sui portoni ferajesi.
E credete cari lettori, che di fronte a questo spappolamento, non dà alcuna soddisfazione l’aver avuto ragione, l’aver previsto con un terzo di secolo abbondante, che quel modello di gestione territoriale sarebbe stato a galla quanto un colabrodo, non consola l’aver predicato inutilmente, insieme a qualche associazione come Legambiente e Italia Nostra, tra i risolini di compassione dei grandi reggitori (urbanisticamente rivelatisi grandi, sì, ma grandi fave) delle classi dirigenti cittadine, che le parole d’ordine dovevano essere riqualificazione, risanamento, manutenzione, riuso dell’esistente, pena quello che abbiamo davanti agli occhi e quello che dovrà ancora venire., Pena la trasformazione di un gioiello monumentale la “città di fondazione” cinquecentesca in un gigantesco “residence turistico diffuso”, in uno scatolone vuoto per 9 mesi l’anno, pieno di scatoloni architettonici (alcuni strutturalmente recuperati alcuni che se ne stanno allegramente andando a puttane) comunque inutilizzati e/o sottoutilizzati (Arsenale delle Galeazze, Vecchio Ospedale, ex-Sede delle Poste tanto per citarne qualcuno).
Per non tediarvi ulteriormente, cari lettori vi facciamo notare solo un’ultima cosa: alla fine degli anni ’80 del secolo scorso ci trovammo (tanto per cambiare, in minoranza) a sostenere che lo spostamento del mercato settimanale dal centro storico ferajese era una (ulteriore) scelta desertificatrice e demenziale, e che se la domanda di spazio degli ambulanti aumentava, sarebbe stato sufficiente allargare l’area (dentro o a ridosso delle mura) destinata al mercato, anche pedonalizzando temporaneamente alcune zone della città. E’ perfino comico rilevare oggi che tra le rare (riuscite) manifestazioni di rilancio anche dell’immagine cittadina, si debba annoverare l’organizzazione di “mercati” (speciali ed una tantum) in una parte della città rapinata del suo mercato settimanale.
Basta, abbiamo detto pure troppo, torniamo a Bruno ed al suo nuovo negozio di frutta “controcorrente”, ai suoi pomodori rivoluzionari, per affermare che è un piccolo ma importante segno di speranza, così come un filo di luce lo costituiscono il ritorno “tra le mura” di alcune giovani coppie, che hanno resistito al fascino della villetta condominiale ammazza-verde in stile brianzolo, e con loro il ritorno di alcuni bambini (perché solo le voci dei più piccoli sono la colonna sonora di una città viva).
Portoferraio ha nuovi amministratori, non li abbiamo votati, ma garantiamo loro l'usuale trattamento, la stessa critica (ove occorra feroce) attenzione che abbiamo riservato ai loro predecessori (che avevamo votato). Misureremo la capacità della nuova compagine anche e soprattutto sulla gestione del territorio che gli elettori le hanno affidato, sulla sua capacità di invertire la tendenza, perché sulle lastre di granito grigio delle strade e delle piazze, e sulle scalinate di calcare rosa, tornino a risuonare passi di vita vera.