Mi sveglio con in testa la voce leggera e intonata di Rosina che mi canta divertita “Il contrasto tra il fiorentino e il contadino”, una lunga nenia in classica ottava rima di endecasillabi ABABABCC (non pretendo che l’Assessore capisca, è già in barchetta con la cultura in generale, figuriamoci con l’etnomusicologia). La scena è ambientata in una antichissima trattoria.
Disse: "come tu puzzi" il fiorentino
al campagnolo poi la testa inchina
mi fai risortir fuori il pane e il vino
il pollo la bistecca e la tacchina.
O porco sudicion d'un contadino
tu sei più lercio te d'una latrina
e pure l'acqua a casa ce l'avrai
villan fottuto tu ‘un ti lavi mai.
Rosina sbriga le faccende di un tempo più faticoso, sventola il fornello per attizzare la brace di carbonella, in quella cucina, prodigio della tecnica, c’è anche un fornello a gas di ferro smaltato di bianco, ma i grossi lacerti, pesci (allora) a buon mercato, puliti e col buzzo riempito di aglio e ramerino (rosmarino suona foresto) li arrostisce sul ferro del fornello in muratura, che continua ad adempiere alle sue funzioni a Portoferraio anni 50.
E te con tutto il tuo lavar che fai
con quell'acqua di crusca e saponetta
con tutti quegl'odori che ti dai
dai fondamenti perfino alla vetta
presto la vita tua terminerai
non sei capace a regger la giannetta
ti resta solo il fiato per parlare
dimmi a cosa conta il tu’ lavare.
I lacerti sfrigolano mandano già appetitosi odori per tutta la casa, e anche oltre, perché da sotto, in chiostra la signora Sdricca (buffo nome celebrativo di imprese di Arditi nella Grande Guerra) chiosa:
“Rosi’ arostite?”
“Quattro lacerti – risponde Rosina interrompendo il canto e lo sventolio – l’ho presi al mercato, ereno belli freschi…”
In realtà, io che non vado ancora a scuola, ma so’ contare bene, di lacerti ne vedo il doppio, otto, uno appoggiato su ogni lato del rovente fornello e quattro, già pillottati in un piatto, pronti per dare il cambio a quelli già cotti. Ma solo ora capisco il senso di quel minimizzare educato; in quel mondo (se non indigente), a dignitosa povertà diffusa, anche ostentare il minimo “lusso” del disporre di cibo in abbondanza, è di cattivo gusto. E la nenia riprende
S'io fossi la giustizia vorrei fare
di tutti i contadini una brancata
ed a Livorno li vorrei portare
al porto dove giunge ogni fregata
e tutti in mare li vorrei gettare
per levarla 'sta setta tribolata
buttalli giù finché no il mare è pieno
senza pietà senza rimorso in seno.
Ma l’interlocutore, resuscitato dalla prodigiosa memoria di quella donnina che il contrasto lo ha imparato decine di anni ancora prima, da un cantastorie che girava per le campagne marcianesi e forse vendeva – a chi sapeva leggere – fogli volanti, ribatte:
Per pietà o fiorentino parla meno
lo vedo bene che hai perso il cervello
il contadino lavora il terreno
costodisce la pecora e l'agnello
lo raccoglie il frumento biada e fieno
lo costodisce il bue ed il vitello
l'opra del contadino l'è un talento
servono a prepararti il nutrimento.
Siamo tornati a parlare di cibo e là finiremo ancora per approdare. Dopo che nello sfottò incrociato saranno citati “Giotto ch’era un pecoraio”, e i due avranno continueranno a punzecchiarsi sino all’epilogo:
Villan fottuto e contadin balordo
s'avrò il permesso d'altri fiorentini
mi metterò alla porta con la spada
e proibirò l'ingresso ai contadini
a qualsivoglia vada come vada
sian di monti d’e campi e d’appennini
siano di colli e di colline o valle
ti consegno a tu’ campi prati e stalle.
Ma alla minaccia di ostracismo il contadino “non scote” e rende la stilettata finale
Que’ salami e i presciutti e quelle spalle
tra noi villani mangeremo insieme
tacchin piccioni, galletti e pollastre
e te in Firenze mangerai le lastre.
E i lacerti fumanti arrivavano in tavola, una nota d’allegria e insieme di speranza davanti alla finestra che si apriva sul luogo indicato come “le macerie” di via di Porta a Terra, parti della città ferita dalle bombe e non ancora sanata.
Sessanta abbondanti anni dopo non siamo certo a quei punti, e le uniche vere macerie con cui dobbiamo fare i conti sono quelle di un modello economico che puntando sulla chimera dello sviluppo infinito, e sulla crescita consumistica (prima di tutto del territorio) ha “figliato” una crisi elbana con caratteristiche del tutto nuove per l’isola.
Il liberismo, tradotto in loco con la forma “libertà di fare quel che cazzo ti pare fottendosene dei bisogni della comunità”, applicato da classi dirigenti e governanti mediamente mediocri, avide, miopi e incolte, come il sonno della ragione ha prodotto mostri. Mostri come (falsi) piani di edilizia economica e popolare, demenziali per dimensioni e collocazione territoriale, mostri come l’aver realizzato probabilmente già più del doppio delle “tane di Homo sapiens” necessarie per dare riparo a tutti gli elbani ed al numero massimo di ospiti possibili in decenza e dignità, per le dimensioni dell’Elba e per i servizi che ragionevolmente può offrire.
Ma qui ci si ricollega al lungo gioco introduttivo del contrasto bucolico-urbano; un altro dei danni indotti dall’inutile consumo territoriale ai fini insediativo-speculativi, è la sottrazione di potenzialità per quella che dopo il turismo può essere la sola seria fonte di ricchezza per l’Elba: una “nuova” agricoltura che punti alle produzioni di qualità ed al soddisfacimento del mercato interno, creando occupazione, migliorando l’immagine dell’Elba e consentendo una manutenzione territoriale (a partire dalla cura e dal ripristino dei micro-reticoli idrogeologici che i recenti ripetuti disastri alluvionali hanno dimostrato quanto utili sarebbero se facessero il loro lavoro).
E allora si potrebbe pensare ad una versione aggiornata del contrasto tra il cittadino e il contadino nella quale l’agricoltore trovi come antagonista, un cementificatore più o meno abusivo, un amministratore permissivo, un tecnico cialtrone (ce ne sono di corretti e no), un utilizzatore finale egoista.
Ci fa difetto la fantasia necessaria a parafrasare tutto il contrasto, possiamo ipotizzare però che gli ultimi due versi dedicati agli inseminatori di deturpanti muraglie potrebbero essere:
“col portafoglio gonfio andrai contento
ma mangerai l’asfalto ed il cemento”