Recuperando una vecchia tradizione elbana, particolarmente radicata nel borgo ferajese, lo "spacciatore di polpo lesso en plein air" riapparirà sabato, e la mirabile epifania si ripeterà ogni sabato, dalle 18 alle 20, nel centro storico di Portoferraio, più precisamente in Piazzetta Gramsci, di fronte al Teatro dei Vigilanti e a due passi due dal Teatro Bistro & Wine Bar, che promuove il rilancio dell'aperi-merenda più elbana che c'è; d'obbligo accompagnare la "granfia" (ma anche un pezzo di "borsa" per i veri intenditori) infiocinata nella classica forchetta, un buon bicchiere di vino indigeno.
La foto tratta da "Mucchio Selvaggio" ritrae un antico mastro polpaio Piero Signorini, ma siamo certi che ai meno giovani lettori evocherà (con una riconoscente lacrima) tutta una generazione di distributori quella povera celenterata delizia che, da postazione fissa all'angolo di Via del Mercato vecchio "rumando" nell'"aveggio", come il tenace Bacocco, o itenerando con il fumante secchio come Elio (Pirulè) Cioni, o come Carmelo (siculo che pronunciava il suo stesso nome "Cammelo") - che stava di casa Sotto i Zizzoli, toponomasticamente corretta in "Via dei Giuggioli", che però sa poco di ferajese, che se da ragazzini avessimo chiamato "giuggiole" le "zizzole" ci avrebbero tolto al volo - seduta istante, disse Bob - la cittadinanza e forse pure tirato una ghiaiata.
Orbene lettori, quella del polpo lesso è stata un'epopea, un mondo, fatto di discussioni infinite tra la qualità del polpo vero e proprio e quella della meno apprezzata "polpessa", sui luoghi marini dove i medesimi polpai qualche ora prima (dietro la Torre, sotto Punta della Madonnina, tra le Viste e il Gronchetto) erano andati a "polpare", sulla reale efficacia del pestare il polpo crudo ai fini di un suo ammorbidimento, sulla opportunità di aggiungere "zenzero" (così erroneamente gli ilvati definiscono il peperoncino) all'acqua di cottura, sulle "tre tuffate" (rituali come il pestaggio), e negli ultimi anni quando "le competenti autorità sanitarie", urtate da quel tribale passaggio della forchetta di bocca in bocca, previa sciacquata "pro forma" in vaso si vetro d'acqua non corrente, imposero la scritta "steridrolo" che apparve sul vaso stesso. Che minchia lo steridrolo fosse, i selvaggi elbanesi polpofaghi non lo sapevano proprio, ma dopo i primi momenti di naturale diffidenza, atteso che il sapore della granfia non cambiava, senza preoccuparsi se quella cosa col nome da ospedale ci fosse o meno là dentro, ripresero a masticare sereni.
Ma ci piace terminare con una memoria adolescenziale-scolastica, ricordando una discussione in classe con una giovanissima pallida professoressa arrivata da noi dalle brume padane. Si parlava delle diverse abitudini alimentari dei popoli. La signorina rese edotta tutta una classe di torzoli delle medie farcita di pluriripententi (c'era già chi si faceva la barba ogni mattina e a ricreazione faceva merenda con un fiasco di vino nascosto nella stufa mai accesa), sulle abitudini alimentari dei cinesi che comprendevano nibi di rondine, serpenti e cavallette.
Vedendo disegnarsi il disgusto sui giovani volti, la prof. tentando forse di apparire spiritosa disse. "Beh.. e allora voi che mangiate i polipi?"
Un fremito di sdegno percorse l'aula, il diciassettenne decano di noi frugoli (faceva per la seconda volta la terza, dopo aver ripetuto la prima e la seconda) per tutti noi orgoglioso parlò:
"Deh, ma voi mette il polpo con quei troiai .. ma se la mangi lei una frittata di piattole!"
L'ardire e la risata compatta gli costarono una nota per "espressioni irriguardose verso l'insegnante", ma l'onore della classe fu salvo, e con esso anche quello del polpo lesso.