Scherzi dell'archeologia... e non ci riferiamo agli apocrifi "scalpellamenti delle cote" dello pseudo-etrusco Pino Fabbri (della serie: "Abboccano? - Sì!"), parliamo di studiosi veri e seri, quelli che partono con uno scavo ad un tiro di schioppo dalla monumentale villa romana delle Grotte - che resta incredibilmente preclusa alla fruizione da parte di cittadini ed ospiti - convinti di trovare testimonianze dell'attività siderurgica e, sì, trovano tracce dell'arte del fondere, impressasi perfino nei toponimi (assessore non pensi male) ferajesi, ma soprattutto scovano e scavano una totalmente inaspettata grande cantina romana e tracce di un una serie di costruzioni, che paiono collegate e sostanziate dalla fastosa sovrastante villa di età imperiale. Apparentemente insediamenti di proto-ferajesi che dedicavano il loro esistere e il loro lavoro a produrre quanto si mangiava (e soprattutto si beveva) una ventina di metri più in alto, tra le massicce mura della Villa.
Scava-scava e studia-studia si scopre che così esattamente non è, e dalle trincee dell'estremo lembo ad est del piano di San Giovanni emerge un racconto diverso: la "cantina" era solo una parte del fabbricato in realtà anch'esso una villa più rustica, ma con una sua lineare eleganza, dotata anche di un porticato retto da colonne, abitata ai piani superiori verosimilmente dai "padroni", realizzata, dalla stessa famiglia dei Valeri, con un paio di generazioni di anticipo rispetto a quella delle Grotte, nel "secondo avanti" come dicono gli infaticabili sterratori culturali, che usano omettere "Cristo" per brevità, dunque in tarda età repubblicana.
Finita la campagna del 2015, dopo averci regalato un altro pezzo della nostra storia, Franco Cambi e la sua banda hanno ricoperto il tutto, lasciandoci però intendere che il gioco non è finito e che quell'area potrebbe riservare altre ed importanti sorprese, perfino si potrebbe ipotizzare che gli attuali "Valeri", i Gasparri che continuano generosamente ad ospitare scavi e scavatori possano vedere una parte delle loro proprietà mutarsi in un piccolo ma importantissimo parco archeologico.
Ma si deve pur dire, per dovere di cronaca, che tutto quel che là accade sta fortemente preoccupando qualcuno: si tratta di un magnifico esemplare di Pinus pinea che ha visto le trincee quasi circondarlo...
Non potendo vantare alcun quarto di campesità, siamo del tutto immuni dalla pinofobia che pare affliggere i campesi in genere ed i loro amministratori in particolare, anzi tendiamo pure ad incazzarci quando vediamo l'opera motosegaiola che distrugge in pochi minuti quello che la natura ha prodotto in decine di anni, per questo speriamo che il pino tra gli scavi resista.
Però però, se così non fosse, si potrebbe leggere nella vicenda una specie di compensativa nemesi: un Pino (come dicevamo, Fabbri) si fece beffe dell'archeologia (diamogliela per buona, va!) un Pino (domestico) sarebbe a fini archeologici sacrificato.
Amen
Le foto di Roberto Borra che seguono documentano la Festa sugli Scavi con cui si è conclusa la campagna 2015