CIUMEI GRANDE SINDACO E GRANDE ATTORE
Nei prossimi giorni mi occuperò del pippogeo. E della via del ferro: una via fantomatica, degna della sconfinata immaginazione di Indiana Jones.. Ma con risvolti molto concreti: camminando camminando, qualcuno lungo la via del ferro ha trovato le pepite d'oro.
Oggi, invece, vorrei dialogare con Rhino, che su un blog mi invita a chiudere una polemica, che gli sembra dettata da risentimenti personali.
Rhino è una persona intelligente. Per il rispetto che ho della sua'intelligenza, proverò a esporre le origini di questa polemica che si trascina da tre mesi e che ormai ha annoiato anche me.
ZECCHINI VANEGGIA DI CALUNNIE
Rivolgendosi a Rhino, Zecchini parla confusamente di calunnie. Da tempo Zecchini tira fuori la parola "calunnia". La calunnia è un reato previsto dal Codice penale. Quindi addebitare a qualcuno una calunnia significa minacciare una denuncia.
Zecchini e Ciumei mi hanno già minacciato di denuncia almeno sette o otto volte, con la fatidica frase: "e non finisce qui…"
La "calunnia" è un delitto commesso quando si incolpa di un reato una persona innocente. Non ricordo di avergli addebitato alcun reato.
In realtà Zecchini vuole rimediare alla figuraccia sul plurale dei nomi in cia e gia: e perciò cerca di riaprire la polemica sulla "i" di fenicie. Ecco allora che allude a una lettera che la curatrice del Museo archeologico gli avrebbe scritto nel 2000, e tenta di ricominciare da capo tirando in ballo l'autorità del prof. Ambrosini.
Ma la questione è chiusa: ora basta. Sulla "i" di fenicie ho scritto anche troppo.
Se non è convinto delle mie argomentazioni, si compri una grammatica e se la studi. Se poi il professor Ambrosini non era d'accordo col professor Migliorini, tanto peggio per Ambrosini: le grammatiche hanno seguìto Migliorini.
E poi Zecchini sa fin troppo bene che il vero problema non è la parola "fenicie", di cui, in verità, non gli importa proprio nulla: il vero problema è che lui non si è mai rassegnato al fatto che il Museo archeologico di Portoferraio sia stato organizzato dalla dott. Ducci e dalla professoressa Pancrazzi.
Gli sembra inconcepibile che abbiano fatto a meno di lui..
Extra Zecchini nulla salus: pensa che senza di lui non c'è salvezza, ma soltanto asinerie e castronerie.
Zecchini ha sofferto questa vicenda come un atroce smacco personale, un affronto.
Per questo motivo non ha messo piede nel museo per più di venti anni.
E per questo motivo pretendeva che il sindaco Peria denunciasse pubblicamente la Ducci e la Pancrazzi come responsabili della mancanza di quella storica "i".
Zecchini cercava una forma di rivalsa contro le due archeologhe in quella sentenza di "asini", che ha esteso anche a me, rivolgendomi queste parole: "Rifletta prof. Berti, rifletta. Si rassegni e si dia una ripassatina alle regoline grammaticali di scuola media. Alla nostra età quasi veneranda… diventa una necessità".
È vero: lui era rimasto agli anni '40. Ma non è mai troppo tardi per imparare.
NESSUN RISENTIMENTO PERSONALE
Ritornando al dialogo con Rhino, voglio precisare che, per parte mia, non esistono retroscena con oscuri motivi di risentimento personale verso Zecchini. Come lui stesso ha ricordato, io non lo incontro da poco meno di mezzo secolo, da quando venne a trovarmi nella mia stanza, nel municipio di Portoferraio, accompagnando due professoresse di Pisa.
Mi fu proposta una collaborazione fra l'Università di Pisa e il comune di Portoferraio. L'Università nel periodo estivo avrebbe portato per qualche settimana un gruppo di studenti a fare scavi archeologici nel Castiglione di San Martino. L'Amministrazione comunale avrebbe dato il suo sostegno logistico, alloggiando gli studenti negli edifici scolastici e procurando operai per lo sterro.
L'intesa fu sùbito raggiunta, Gli scavi, diretti dalla professoressa Orlanda Pancrazzi, proseguirono poi per una decina di anni. Ricordo che andai anche a Firenze, insieme col Presidente dell'EVE, per superare le ultime difficoltà formali e ottenere finalmente l'assenso del Soprintendente e del dott. Maggiani, che era il funzionario delegato per questa parte della Toscana e che mi mise in guardia nei confronti dei tombaroli e della loro deontologia.
Da allora Zecchini è vissuto a Lucca, io a Portoferraio, senza avere occasione di incontri o scontri fra noi.
La polemica con Zecchini non è nata per una mia iniziativa. Ho già raccontato che ho aperto il suo libro quasi per caso, scoprendo con sorpresa le sue pesanti critiche all'Amministrazione comunale di Giovanni Fratini, della quale anch'io facevo parte.
È vero che − tranne tre o quattro masochisti − nessuno è riuscito a leggere quel libro. Mi è stato però riferito (e se ne trova conferma nel blog dove sono apparsi gli scritti di Rhino) che quel dialoghetto tra Zecchini e Cosimo dei Medici, in cui si prendono in giro tutte le Amministrazioni di sinistra di Portoferraio, fu recitato in piazza a Marciana Marina, in occasione di una festa estiva in onore di Zecchini.
Per recitare quella brillante pièce teatrale, salì sul palco anche il sindaco Ciumei in persona, che si divertì molto a suscitare le risate del pubblico alle spalle dei sindaci Fratini e Peria, peraltro assenti e ignari di essere il bersaglio dei lazzi di Ciumei e dei cachinni (voce cara a Zecchini) dei suoi fedelissimi.
Non intendo aggiungere commenti sull'aplomb istituzionale del sindaco, che calcò la scena per prendere in giro altri sindaci.
DIRITTO DI DIFESA
Nel libro di Zecchini le critiche sul fornice di Porta a Terra erano molto feroci:
1) profonda ferita che è stata inferta alle mura di Cosmopoli con l’apertura del fornice di Porta a Terra
2) danno per sempre che deve servire da monito
3) manomissioni
4) Cosimo si dice “tremendamente offeso” e lamenta che “traforano le poderose mura per farci passare le macchine”.
Successivamente Zecchini ha aggiunto che il fornice
1) va incluso tra le “maggiori brutture subite dalla città”
2) è indifendibile
3) è un gravissimo problema
4) sfregia la cinta di Cosmopoli
5) è una scelta infelice e ingiustificata
6) merita le parole di fuoco con cui lo bollò il grande giornalista Mauro Mancini.
Mi sembra che a questi dieci giudizi sia difficile aggiungere altro.
Ovviamente non ho mai contestato il diritto di Zecchini di esprimere le sue critiche. Ma ho esercitato il mio diritto di difendermi da quelle accuse così strafottenti, scritte da Zecchini e recitate in piazza dal Ciumei.
A me quell'impegno nell'Amministrazione di Portoferraio era costato molto tempo e molta fatica: e perciò mi sono sentito offeso dal giudizio sbrigativo e liquidatorio di Zecchini e dall'istrionismo del Ciumei.
E questo, caro Rhino, è lo snodo decisivo della polemica. Chi è criticato ha il diritto di difendersi. Soprattutto se le critiche sono esposte col "metodo Zecchini".
IL "METODO ZECCHINI"
Questo "metodo Zecchini" consiste nel denigrare pesantemente le persone che non vanno a genio al Professore. Zecchini non esita a definire i suoi avversari come "asini": gentaglia troppo ignorante per meritare di essere presa in considerazione.
E spesso il criterio usato da Zecchini per vagliare le argomentazioni degli altri è il rispetto della grammatica italiana e latina. Ti domanderai, caro Rhino, che c'entra la grammatica col progetto del porto o con i lampioni tecnologici che non funzionano…
Ma se leggerai qualche pagina del libro di Zecchini, scoprirai che lo schema è sempre lo stesso: Zecchini attacca i suoi avversari e gli avversari di Ciumei senza entrare nel merito dei problemi: va alla ricerca di qualche errore di grammatica per screditare e liquidare l'interlocutore come asino.
Vediamo un esempio.
L'Azienda di promozione turistica e la Comunità montana hanno pubblicato degli opuscoli ad uso dei turisti. Una brevissima sintesi della storia antica dell'Elba è scritta dal dott. Marco Firmati, un archeologo che ha collaborato a lungo con le Università toscane e con la dott. Ducci.
Nella brevissima bibliografia i libri di Zecchini non sono mai citati, mentre invece sono citati i nomi della dott. Ducci e della professoressa Pancrazzi.
Due articoletti del libro di Zecchini sono dedicati a stroncare in modo feroce le pagine del dott. Firmati.
Assistiamo a un fatto unico nella storia della storiografia: il Grande Professorone − il più grande Etruscologo italiano, come si legge in una intervista rilasciata a un quotidiano − polemizza con un opuscolo che in sostanza è soltanto un dépliant.
Un dépliant di lusso: pieno di belle fotografie, ben fatto, gradevole. Ma pur sempre un dépliant turistico.
Non si era mai visto che un Grande Luminare attribuisse a un dépliant la capacità di attrarre strali sarcastici e cachinni da ogni punto cardinale, come scrive Zecchini, secondo il quale dopo quel dépliant l'Elba sarà chiamata l'isola degli ignoranti (sic).
Perché tanto scandalo?
A pagina 6 il dott. Firmati ha scritto che le fortezze d'altura costruite all'Elba dagli Etruschi furono distrutte dal fuoco intorno alla metà del secondo secolo a.C., all'epoca della seconda guerra punica. E prosegue immediatamente così: "Una volta allontanato in maniera definitiva il pericolo cartaginese alla fine del terzo secolo a.C…".
Se la prima parte del testo sembra confusa, il contesto non lascia dubbi: l'indicazione cronologica della fine del terzo secolo è esatta: Annibale fu sconfitto nell'ottobre del 202 a.C..
Però Zecchini finge di ignorare che Marco Firmati ha collocato esplicitamente la vittoria di Zama alla fine del terzo secolo. E si avventa sulla frase precedente, parlando di cachinni e isola degli ignoranti.
Però poi nel suo libro si fa confusione sulla guerra greco−gotica e sull'invasione dei Longobardi.
MEGLIO ASSECONDARLO?
Mi hanno detto che Zecchini è abituato a fare così, a stroncare senza ritegno i suoi "nemici". Mi hanno consigliato di lasciarlo fare: di assecondarlo. Però non mi è sembrato giusto cedere alla prepotenza.
Visto che tanti lo sopportano, Zecchini è rimasto sconcertato dalla mia reazione. E dalla fine di luglio si sta chiedendo perché io mi rifiuto di piegarmi. L'unica risposta che riesce a concepire è che io sono aggressivo, cattivo, calunniatore. E in ogni intervento mi rivolge un numero sterminato di insulti sguaiati.
La diagnosi di Ciumei è più analitica: io sono invecchiato male, cioè sono arteriosclerotico: patologicamente cattivo. Addirittura per qualche tempo Ciumei ha finto di non capire quello che scrivevo, cercando di farmi passare per un mezzo matto che vaneggia. Ma ora, dopo le mie risposte, ha smesso: si è reso conto che questa tattica non gli conviene.
Avrai notato, caro Rhino, che agli insulti e alle minacce di denuncia di Zecchini e Ciumei io ho sempre replicato ricorrendo all'ironia, ma senza mai contrapporre altri insulti, come loro avrebbero desiderato.
Questa dunque è la storia dell'origine di una lunga polemica.
TIRA IL SASSO, NASCONDE LA MANO, TORNA ALL'ATTACCO
Quando fu resa pubblica la mia protesta, Zecchini si affrettò a precisare, con untuosa diplomazia, che le sue critiche non erano rivolte all’Amministrazione comunale che volle il fornice, né alle persone che ne facevano parte: Giovanni Fratini, Danilo Alessi, Uberto Lupi… Per carità: lui ha per quelle persone rispetto grandissimo e addirittura affetto e amicizia.
Zecchini dichiarò che lui non aveva inteso criticare né le persone, né l’amministrazione comunale, ma soltanto la “decisione” di costruire il fornice: e definì “del tutto errata” la mia opinione che le sue accuse fossero rivolte alla nostra amministrazione.
Trascrivo esattamente la frase di Zecchini (nella quale l’aggettivo “sua” è riferito a me):
“Questa sua opinione, del tutto errata e non corrisponde alla realtà, è una delle tante prove che del libro Berti non ha capito nulla”.
Si può notare che la frase − evidentemente scritta in fretta e furia (soprattutto furia) − non sta in piedi, perché c’è un errore: Zecchini incespica sui verbi.
Ma non stiamo a guardare la grammatica, come di solito fa lui, che − quando gli oppositori di Ciumei sbagliano − parla sùbito di “castronerie” e “asinerie” e “abbeveramenti unidirezionali”.
“NON C'È RIFERIMENTO NÉ A PERSONE NÉ AD AMMINISTRAZIONI”
Dunque l’argomentazione essenziale di Zecchini è che io esagero a dichiararmi offeso. Lui non ha mai voluto offendere nessuno: io sono il solo che crede che le sue accuse siano rivolte a Giovanni Fratini e alla sua amministrazione comunale.
Eppure Zecchini esprime la sua soddisfazione perché la “decisione di sfregiare” le mura della città fu “bollata con parole di fuoco” da un giornalista del quotidiano La Nazione. Però Zecchini ci tiene a precisare che quelle "parole di fuoco" riguardavano soltanto la “decisione”, non gli amministratori. Con incredibile servilismo, Zecchini arriva a scrivere che “non c’è alcun riferimento” alle persone.
È evidente che si tratta di un pretesto per non dover ammettere che il primo sasso l’ha gettato lui. In realtà, nelle sue accuse i riferimenti sono inequivocabili, plateali: manca solo il nostro codice fiscale.
ROVESCIAMENTO DELLA REALTÀ
Dunque Zecchini ha tirato il sasso. Però poi cerca di nascondere la mano..
Siamo di fronte al completo rovesciamento della realtà. Per lui la nostra polemica è “una querelle che non ha niente di politico: si tratta, infatti, di una disputa fra due privati”. E lui ha subìto un immotivato attacco personale: lui è la persona offesa.
Dimentica che ha definito un’opera pubblica realizzata da Fratini come profonda ferita, danno per sempre, sfregio, scelta infelice e ingiustificata, una delle maggiori brutture, indifendibile, gravissimo problema, opera degna di essere bollata con parole di fuoco...
Vorrei capire perché si ostina a considerare queste accuse rivolte a un’opera pubblica dell’Amministrazione Fratini come una disputa “fra due privati”, cioè fra me e lui.
E vorrei anche capire perché si ostina a sostenere che quelle sue parole non sono offensive; e perché non sarebbe offensiva la recita del sindaco Ciumei durante la festa in piazza.
DI NUOVO ALL’ATTACCO
Però, un momento dopo, scoccano scintille fra le sue irrequiete sinapsi: e ci ripensa. Depone le vesti della povera vittima e torna ancora all’attacco: “il traforo della cinta muraria fu una scelta molto infelice, che non può essere giustificata né da problemi di traffico né da altre motivazioni, ebbene lo ribadisco: a mio avviso non esistono giustificazioni di sorta.”
Insomma, caro Rhino, Zecchini rivendica il diritto di prendere in giro le Amministrazioni comunali della sinistra: da quelle di Fratini a quelle di Peria. Amministrazioni di barbari, di gente rozza, di ignoranti. Lo scrive e lo fa declamare in piazza dal Ciumei.
Ho cercato − inutilmente − di fargli notare che il fornice di Porto a Terra non è la prima modifica della città fondata da Cosimo dei Medici: in Cosmopoli non esistevano né le palazzine di Via Ninci, né le caserme, né la banchina a alto fondale, né le centinaia di appartamenti costruiti sopra i bastioni, né i fornici della Calata, né i negozi e i bar ricavati svuotando i bastioni… Insomma l'aspetto di Portoferraio è radicalmente mutato: esistono oggi alcuni milioni di metri cubi in più. E perciò il fornice di Porta a terra (che quasi non si vede) non ha sconvolto nulla.
Sai, caro Pietro, che cosa mi ha risposto?
Niente. Non mi ha degnato di una parola.
Ho anche cercato di argomentare che il nostro piccolissimo tunnel è nulla rispetto a quanto è stato fatto alle mura antiche di Roma, Firenze, Parigi, Vienna, Londra, Madrid, Berlino…
La sua risposta è stata che lui è di ben altra dirittura intellettuale e morale rispetto ai responsabili delle aperture create nelle mura antiche di Roma e di Berlino.
Accenna solo a Roma e Berlino. Ha dimenticato − chissà perché − che io avevo incluso nel mio elenco, oltre a Roma, anche Firenze, Parigi, Vienna, Londra, Madrid…, dove le mura furono totalmente eliminate.
INFORMAZIONI FALSE E PESSIME
Zecchini mi ha accusato di fornire ai lettori informazioni "false e pessime" su questo argomento.
Però per dimostrare questa accusa non ha presentato nessuna argomentazione. Per verificare le mie informazioni, i lettori possono cercare su Internet “mura di Parigi” e poi mura di Firenze, Vienna, Londra, Madrid, Bruxelles, Milano, Torino, Bologna ecc.
Ho accompagnato due o tre volte all’anno, per più di dieci anni, gruppi di classi del "prestigioso" liceo Foresi ai Musei Vaticani, perché gli studenti conoscessero con i loro occhi la cappella Sistina, le stanze di Raffaello, la pinacoteca e i vari musei archeologici col Laocoonte, l'Apollo, il Marte di Todi…
Più di un migliaio di giovani elbani, anche di Marciana Marina, sono entrati nel museo più bello del pianeta, passando a piedi lungo il Passetto di borgo e i bastioni vaticani.
Nessuno degli insegnanti o degli studenti del liceo ha avuto l’impressione che le numerose aperture nei bastioni di Michelangelo e nel Passetto fossero quello scempio e quel “danno per sempre” che Zecchini ha deplorato.
IMBALSAMAZIONE OTTUSA
Sono contrario a un’imbalsamazione ottusa dei vecchi centri urbani.
Tutti convengono che la città fondata da Cosimo deve essere tutelata; ma i Portoferraiesi hanno il diritto di essere aiutati a convivere con le conseguenze più vessatorie di strutture urbane concepite, per scopi militari, quasi cinque secoli fa, quando nessuno poteva prevedere un fenomeno come il traffico moderno.
Quando a Marciana Marina fu aperto il viale Cerboni, demolendo alcuni edifici al centro del “Vicinato”, alcuni protestarono: per qualche decennio la nuova via fu chiamata “via dei malcontenti”. Le demolizioni nel “Vicinato” alterarono e snaturarono una via tipica del paese, che Lloyd aveva rappresentato nei suoi quadri. È innegabile che il taglio del “Vicinato” ha distrutto un tratto molto bello di Marciana Marina.
Perché Zecchini non condanna le demolizioni in “Vicinato” e perché non suggerisce ai bravi ragazzi della giunta di incanalare di nuovo tutto il traffico giù per il Voltone e la piazza di sotto?
Zecchini non riesce a capire che il tunnel di via Guerrazzi ha un impatto molto minore di via dei malcontenti.
E non riesce a capire che, mentre il tunnel di via Guerrazzi è reversibile (è sufficiente chiudere le due aperture e restaurare il paramento murario), nessuno potrà mai ripristinare l'aspetto attuale del lungomare di Marciana Marina dopo che fossero realizzati i tre nuovi moli e le colate di cemento sulla spiaggia per i due imbonimenti e le "piccolissime" terrazze del progetto di Ciumei.
Però Zecchini condanna l'Amministrazione Fratini e si schiera con Ciumei. Tu pensi, caro Rhino, che lo sconvolgimento del lungomare del nostro paese sia un progetto valido?
AL SERVIZIO DELL'UOMO
L’architettura deve essere tutelata in quanto manifestazione dell’ingegno dell’uomo, al pari della poesia, della musica e di tutte le altre arti.
Ma la città è una organizzazione al servizio dell’uomo: gli uomini non possono essere subordinati a una tutela dell'esistente da intendere come un valore imprescindibile. È evidente che il tunnel di Via Guerrazzi non ha alterato l’aspetto complessivo delle fortezze e che è utile per i cittadini.
Le accuse di Zecchini sono infondate: nascono dal suo bisogno di mettersi in mostra, criticando tutto e tutti. Ho parlato scherzosamente di sindrome di Bartali.
Se poi Zecchini e i suoi amici sono convinti che il tunnel sia orrendo, si facciano ricevere dal sindaco di Portoferraio e lo convincano a farlo chiudere.
Se però gli Amministratori di oggi non intervengono, allora sono anch'essi dell'opinione che aprire il tunnel era giusto e che le ubbie di Zecchini non hanno alcun valore.
La chiusura del fornice potrebbe essere finanziata dal sindaco Ciumei, che ha tanti soldi in cassa, perché ha regalato cinquemila euro − prelevate dalle tasche dei cittadini di Marciana Marina − alla associazione culturale Lo Sbisbiglio di Campi Bisenzio. Chissà come avrà conosciuto un'associazione di Campi Bisenzio?
BERTI CHI?
Però, se io polemizzo contro il piano del porto di Ciumei, contro i nuovi moli, contro il cemento sulla spiaggia, allora vengo definito cattivo e falso.
Zecchini scrive di "scempi cementizi di spiagge marinesi inventati di sana pianta" da me.
Ciumei ricorre all'immagine del Guttalax e mi informa che mi denuncerà per le mie falsità. E mi sfida a leggere il piano del porto, nel quale − afferma categoricamente il sindaco − non esiste nessuna previsione di cemento sulla spiaggia.
Ma, leggendo il progetto del porto, ho trovato le prove che Zecchini e Ciumei mentivano: il sito Internet del Comune di Marciana Marina dà la notizia che sono previste gettate di cemento sulla spiaggia per la sanatoria degli imbonimenti attuali (che sono abusivi) e per nuove "piccolissime" terrazze.
Quando ho rinfacciato queste informazioni al sindaco, constatando che la sua sfida è una pagliacciata, il sindaco del Guttalax si è chiuso improvvisamente in un mutismo assoluto. Non parla più.
Qualcuno su Facebook gli chiede perché non risponde a Berti. E allora Ciumei − che è convinto di essere un VIP − ricicla una battuta di Renzi: "Berti chi?"
Questi, caro Rhino, sono gli sviluppi − talora allucinanti − di una polemica che spero di veder conclusa al più presto, perché negli anni che mi restano vorrei leggere qualcosa di meglio dei topi neri di Montecristo, di Cotone−Catone, di re Marcinna, dei bagnetti della sora Cleofe, della fogna scambiata per il cunicolo segreto percorso al trotto dalla cavalleria di Castruccio Castracani, delle delibere con cui il sindaco Ciumei, che è vicepresidente della società Ilva, conferisce incarichi − non gratuiti − a un progettista "di importazione" (la definizione è di Zecchini: cfr. pag. 261), che della medesima società Ilva è il presidente.
Caro Rhino, io non mi sento in gara con Zecchini. Non posseggo una fantasia fervida come la sua.
Mi interessa invece che il Professore deponga la matita rossa e blu e faccia un bel bagno di umiltà. Uno che scrive "Giasone e &" (e tutto il resto) non ha titolo per insultare un consigliere dell'opposizione a Ciumei perché ha sbagliato un aggettivo dimostrativo davanti a vocale o s impura…
Rinunci al tono saccente. Si rassegni a discutere con gli altri in condizioni di parità, misurandosi sui problemi concreti. Scenda dalla cattedra.
LE ACCADEMICHE GESTA
A proposito di cattedre, tu hai scritto, caro Rhino, che hai sentito narrare delle accademiche gesta del Professore. In realtà il Prof. Zecchini è un ex−insegnante di lettere nella scuola media inferiore: è falso che sia un ex−professore universitario, anche se a Marciana Marina qualcuno − non si sa bene perché − lo racconta e molti lo credono. E anche sui giornali locali si favoleggia di cattedre universitarie.
Ti consiglierei per il futuro di evitare accenni a inesistenti "accademiche gesta" che hanno lo stesso valore del titolo di dottore che a Roma ci dispensano generosamente i posteggiatori abusivi: il Professore, che ha un carattere così modesto, potrebbe sospettare che lo stai prendendo in giro.
L'ANTICLERICALISMO DELL'ASINO
Zecchini aveva annunciato: “mi dispiace deludere Berti, ma non riesco a seguire i suoi fuorvianti polpettoni. Culpa, mea culpa, mea maxima culpa, ma mi perderò le prossime puntate”.
Ha resistito poco. Dal giorno in cui proclamò con disdegno che non avrebbe neppure letto le mie successive puntate, Zecchini ha già pubblicato una decina di repliche.
Di recente ha ricopiato integralmente un suo scritto precedente con poche aggiunte, fra le quali la più rilevante è la notizia che io vivo a Tirrenia il mio "triste esiglio". Questo accostamento fra me e Napoleone è una vera sorpresa, perché molti si attendono che sia lui − non io − quello che un giorno o l'altro rivelerà al mondo di essere l'imperatore Napoleone o Alessandro Magno o Gengis Khan.
La frase "Culpa, mea culpa, mea maxima culpa" è una smozzicata citazione dal Confiteor, con cui Zecchini vorrebbe farmi la parodia per la mia fede di cattolico. Gli ha fatto eco il Ciumei, che mi ha soprannominato abatino. E ora Zecchini mi rinfaccia di essere stato democristiano.
Le notizie sono esatte: non ne ho mai fatto mistero, né me ne sono mai vergognato.
Per anni ho servito Messa. E anche molto di recente l'ho fatto, durante un pellegrinaggio in Terra Santa, davanti al lago di Tiberiade, sopra l'altura su cui fu pronunciato il "Discorso della Montagna": il discorso più rivoluzionario che mi è capitato di leggere.
Fino al 1968 ho avuto la tessera della Democrazia Cristiana: però, circa quarantasette anni fa, detti le dimissioni, insieme con alcuni amici di Portoferraio che militavano con me nella corrente democristiana che si chiamava "sinistra di base".
Considerando che Zecchini si appassiona alla mia biografia, voglio dargli un'altra succosa informazione: fino al giugno 1944 ho avuto anche un'altra tessera, molto compromettente: la tessera dei "figli della lupa". E, guardando le date di nascita, credo che anche lui sia stato un figlio della lupa: siamo due ex-figli della lupa.
DÉMODÉ
Ritorniamo all'abatino e al democristiano e al mea culpa: Zecchini non si rende conto che l'anticlericalismo dell'Asino di Podrecca è démodé.
Questo tardivo sarcasmo sui cattolici che si battono il petto è roba dell’Ottocento, quando i sindaci massoni facevano costruire i vespasiani accanto alle parrocchie e alle canoniche, come forma di dileggio verso la Chiesa e verso i credenti, costretti a sopportare l'odore di orina.
Qualcuno dovrebbe informare Zecchini che l'Ottocento è lontano e che siamo alla fine del 2015.
E dovrebbe dargli anche queste notizie, che certamente lo stupiranno: il “non expedit” e gli “storici steccati” sono finiti in soffitta da tempo; un partito cattolico ha governato l’Italia (nel bene e nel male) per cinquant’anni; il presidente di questa Repubblica (tanto inviso a Berlusconi) è un cattolico; oggi i cattolici sono liberi di schierarsi dove vogliono e con chi vogliono (e io da mezzo secolo ho scelto da che parte stare).
Già da ragazzo, quando frequentavo gli ultimi anni del “prestigioso” liceo Foresi e un mio compagno di classe di Capoliveri mi faceva leggere la rivista fiorentina “Politica” di Nicola Pistelli, venivo additato come un “comunistello di sacrestia”: sono trascorsi poco meno di sessant’anni e ora i comunistelli di sacrestia si trovano perfino fra i gesuiti.
Fra i miei amici c'è un piccolo gruppo di cattolici elbani che nel 1976, alla vigilia delle elezioni politiche, prese la tessera del partito comunista su suggerimento del padre Ernesto Balducci, venuto appositamente da Firenze all’Elba. Ricordo che a cena il padre Balducci fu brillantissimo, affascinante. Mi è rimasta in mente la sua definizione al fulmicotone di un personaggio fiorentino e nazionale che si dava molte arie: "bischero metafisico".
In quelle elezioni fu eletto senatore, nelle liste del PCI, Raniero La Valle, uno degli intellettuali più vicini al cardinale Giacomo Lercaro e allo spirito del Concilio.
Nel Grande Libro di Zecchini si legge − nella presentazione di Prianti − che Zecchini è uno Storico che ha rivoluzionato anche la storiografia contemporanea, pubblicando le sue ricerche sui bagnetti della sora Cleofe. Temo però che lo Storico dei bagnetti della sora Cleofe ignori che Raniero La Valle era stato direttore del Popolo e dell’Avvenire d’Italia. Se non ha mai sentito i nomi di quei quotidiani, provi a cercare su Internet.
Era un cattolico (di sinistra) anche il presidente della Provincia di Lucca che nominò Zecchini suo consulente. Mi risulta che Zecchini non rifiutò quella nomina e non fece ironie sul presidente Andrea Tagliasacchi che come usiamo fare noi cattolici recitava il Confiteor battendosi il petto.
Anzi…
L'AMICA DI NONNA SPERANZA
Questa nostalgia di Zecchini e Ciumei per l'anticlericalismo ottocentesco è patetica: riporta alla mente Guido Gozzano che descrive così il "salotto buono" nell’Amica di nonna Speranza:
Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),
il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
il cùcu dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
chèrmisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!
Come "le buone cose di pessimo gusto" della poesia del Gozzano, anche il sarcasmo contro gli abatini dovrebbe essere conservato accuratamente sotto le campane di vetro.
IL LATINISTA
Mi permetto di aggiungere poche parole sul "culpa, mea culpa. mea maxima culpa". E anche, più in generale, sul latino del Professore.
In data 21 luglio del 2009 Zecchini prendeva l'iniziativa di intervenire in una polemica politica marcianese, prendendo le difese del sindaco Ciumei: il testo è riportato a pagina 259 del suo libro.
Zecchini non entrava nel merito dei problemi che erano stati posti: anzi non ne parlava affatto.
Ma si soffermava a lungo su una citazione latina dell'interlocutore di Ciumei, nella quale era stato scritto prevalebunt anziché praevalebunt (col dittongo “ae”), e dichiarava − sprezzante e sicuro di sé, come sempre − che quella citazione non è traducibile in italiano, "perché non significa niente… in quanto PREVALEBUNT nel latino classico non esiste ".
Zecchini osservava, con fine ironia, che si trattava di inezie rispetto a quel tizio che confondeva il genitivo con i genitali…
E concludeva: “Eppure quando lo chiamarono asino, dovette riconoscere che non avevano tutti i torti”.
Come puoi constatare, caro Rhino, Zecchini ricorreva a forme di dileggio molto grevi: "asino"; confusione fra genitivo e genitali. La solita durezza spietata contro i critici di Ciumei.
Ora è vero che nel latino classico la parola si scriveva col dittongo. Ma Zecchini mostra di non essersi accorto che quella frase non proviene dall'appendice del Campanini Carboni, ma è tratta dal Vangelo di Matteo, nella traduzione della Vulgata.
Alla fine del quarto secolo Gerolamo scriveva ancora quel verbo col dittongo "ae". Ma dopo Gerolamo, anno dopo anno, secolo dopo secolo, fino ai nostri giorni, quella citazione è stata ripetuta milioni di volte, nella liturgia, nelle prediche degli ecclesiastici, nei documenti della gerarchia, nelle opere degli scrittori cristiani.
E nel corso dei secoli − non solo in praevalebunt, ma in tutte le parole del latino usato dagli ecclesiastici e dagli intellettuali − quel dittongo "ae" ha finito per trasformarsi in una "e".
Se Zecchini sfoglia il "De vulgari eloquentia" di Dante, può constatare facilmente che il dittongo è scomparso: Dante nel suo latino scrive "pre" oppure "preter" e così via, per molte centinaia di volte…
Immagino che Zecchini giudichi un asino anche Dante Alighieri (mi dicono che il suo poeta preferito sia l'autore di un poema epico sulla storia di Portoferraio in ottava rima).
Se si cerca in Internet la parola "prevalebunt" senza il dittongo "ae", si trovano decine e decine di pagine con centinaia di siti, in cui la citazione dal Vangelo di Matteo è scritta senza dittongo. Zecchini obietterà che Cicerone non avrebbe mai scritto prevalebunt (senza il dittongo).
Ma che c'entra Cicerone?
Quella citazione non era da Cicerone, bensì dal latino in uso tra gli ecclesiastici. L'omissione del dittongo è durata per secoli, fino ai nostri giorni. In un libro ho trovato una lettera del 1974, in cui, citando quel passo di Matteo, il famoso sindaco di Firenze Giorgio La Pira (professore di diritto romano e perciò in qualche confidenza col latino) ometteva il dittongo.
Zecchini includerà tra gli asini, dopo Dante Alighieri, anche Giorgio La Pira.
Dunque Zecchini aveva torto: era lui che sbagliava a considerare errata quella citazione.
Ma Zecchini si è sentito in diritto di insolentire pesantemente il suo interlocutore, chiamandolo asino e accusandolo di scambiare il genitivo con i genitali.
E a me ha dato dell'asino perché lui non aveva capito niente sulla formazione del plurale dei nomi in cia e gia: lui non capiva e l'appellativo di asino lo dava a me.
PURUS GRAMMATICUS, PURUS ASINUS
Ma chi gli dà il diritto di comportarsi così? Riesce a capire che il suo atteggiamento è inqualificabile?
Chi gli ha dato il mandato di maltrattare gli altri anche quando è lui che sbaglia?
Per anni questo Luminare (che scrive "Giasone e &") ha imperversato, dando dell'asino a destra e a manca.
E io, di proposito, nel mio pezzo precedente mi sono soffermato (in maniera insopportabilmente lunga) sul plurale dei nomi in −cia e −gia, proprio perché volevo dimostrare che Zecchini chiacchiera molto di grammatica, ma le sue conoscenze grammaticali sono assai confuse.
E non conosce bene nemmeno il latino.
Fra le tante frasi latine che vengono spesso citate e che infiorettavano un tempo le arringhe degli avvocati, ce n'è una che non tradurrò perché non ce n'è bisogno: purus grammaticus, purus asinus.
Parafrasando il giudizio di Zecchini sul "prevalebunt", possiamo dire che la sua citazione latina dal Confiteor è intraducibile: la frase è zoppicante e priva di senso, perché la prima parola non ha una funzione logica e perciò non significa niente. È evidente che Zecchini ha scarsa confidenza con questa materia e cita a caso, perché ignora palesemente il contesto.
UOMO BIONICO E FOLCLORE MASSONICO
Ma questa citazione sbagliata dal Confiteor non è una colpa grave, perché ognuno è libero di frequentare i luoghi di culto e di praticare i riti che preferisce.
Per esempio, se uno volesse agghindarsi con un grembiulino ricamato a colori sgargianti, un cappuccio sopra la testa con due buchi in corrispondenza degli occhi, un grande collare e cianfrusaglie e paccottiglie di vario genere, per partecipare − AGDGADU − alle cerimonie del culto di una loggia massonica, nessuno glielo impedirebbe: in Italia le logge massoniche sono associazioni assolutamente legali, così come i boy scout oppure le “Parenti di San Gennaro” o le contrade del palio del Saracino o l’Accademia del brigidino di Lamporecchio…
Ho trovato su Internet lo spassoso filmato di una riunione della Gran Loggia del Grande Oriente, con paramenti, candele accese e oggetti pseudo−esoterici: si vedono i massoni sfilare in processione lentamente, a passo di parata: ognuno regge una lunga pertica che viene battuta, a ogni passo, sul pavimento, mentre una voce stentorea recita una litania di formule religiose.
Mi sono divertito più che al carnevale di Viareggio.
A Viareggio l’intenzione di far ridere è scontata e perciò non ci sono sorprese: anzi ci si annoia un po’. I fratelli muratori, invece, si prendono molto sul serio: la seriosità di questi signori dabbene, spesso rubicondi e un po’ panciuti, contrasta con le carnevalate della loro messinscena: e gli effetti sono di una comicità irresistibile.
Inoltre i frammassoni sono tenuti al segreto latomico: e perciò è ancora più divertente sapere che, quando li prendi in giro, loro fremono, friggono e vorrebbero reagire, ma la loro religione glielo vieta.
Per esempio, in paese si dice che alcuni noti personaggi di primissimo piano siano frammassoni: non perdo tempo a fare nomi, perché tutti sanno di chi sto parlando.
Intendiamoci: non c’è nulla di male. Sono affari loro.
Mi viene riferito che certe persone sembrano nate col telefonino incorporato di serie e, quando non vanno in giro in missione con l'automobile del Comune, trafficano con facebook dalla mattina alla sera: sembrano il prototipo dell'uomo bionico. Ma quando mi immagino l'uomo bionico col cappuccio e il collare e il grembiulino ricamato, non riesco a trattenere le risa. Però non ho obiezioni di principio.
Anche Luigi Einaudi rideva: “Per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito a trovar nulla che potesse esser detto in favore di una cosa così comica e così camorristica come la massoneria”.
L'aggettivo "camorristico" è di Einaudi, non mio.
LE ULTIME BARZELLETTE DI BERLUSCONI
Scrive Zecchini: “in un saggio sulla paretimologia (o etimologia popolare), ho chiesto ironicamente quali interpretazioni potrebbero emergere in seguito all'analisi di toponimi come…
La paretimologia è semplicemente un’etimologia sbagliata, che si fonda su somiglianze apparenti ma infondate.
Come Marciana da re Marcinna, o Cotone da Cathu-Cothu-Catone.
Zecchini dunque ha composto un “saggio” sulla paretimologia: un “saggio breve”: in tutto, 26 righe. Un record di brevità.
Da par suo, vuole precisare che non si tratta di un pezzo per un giornale, ma di qualcosa di molto più nobile, che appartiene a un genere letterario che annovera opere di Montaigne, Bacone, Hume…
Ricopio quattro righe del “saggio” di Zecchini (pagina 251):
"Mi vengono i brividi al solo pensare quali spiegazioni troverebbe la paretimologia se cercasse il significato dei topònimi ‘Favale’ e Valle delle Fiche, entrambi in quel di Rio nell’Elba, o ‘Segagnana’, in quel di Marina di Campo; oppure, per uscire dai limiti insulari, ‘Culécchio’ e ‘Pàssera’, nel territorio di Siena".
Per un libro serio, inviato a don Arcadio e a tutte le famiglie e perciò destinato anche ai bambini, direi che non manca nulla.
Però Zecchini si sente in diritto di criticare il linguaggio di Sergio Rossi.
Ora il linguaggio di Sergio è pittoresco, divertente. Quello di Zecchini è un elenco soporifero di pudenda e frattaglie: tetro esibizionismo fine a sé stesso. Una cosa penosa.
Come le più recenti barzellette di Berlusconi.
Caro Pietro, quando anche Zecchini ridurrà le sue esternazioni, come ha fatto il Ciumei, e deporrà la sua albagia, sarò ben lieto di occuparmi di argomenti più ameni.
Però, se Ciumei si risveglia dal suo improvviso letargo o se Zecchini insiste a rivendicare il suo diritto di insulto condito di supponenza grammaticale, io sono pronto a ricominciare.
Infine prendo atto che questa volta Zecchini accenna a epiloghi tragici: forse un'intifada dei coltelli in salsa lucchese o l'impiego del Ciumei come kamikaze.
Gian Piero Berti