Tecnicamente si chiamano: tappi a corona i “tappini” di latta colorati con cui ancora si sigillano le bibite ma che, in quel secondo dopoguerra ferajese ancora austero, se non proprio, diciamocelo, povero, per la maggioranza delle persone, erano una straordinaria risorsa di gioco.
Parlo di un epoca in cui non ci si vergognava di portare vestiti riadattati (qualcuno perfino rattoppato), e i pochi soldi che circolavano servivano ad acquistare cose più importanti dei veri giocattoli, che erano un lusso per un numero assai contenuto di “bimbi ricchi”, i rampolli delle rare famiglie presso le quali le adolescenti dei ceti più bassi “andavano a servizio” come domestiche, disbrigando le faccende di casa, aiutando le signore, per un pasto consumato in cucina e poche lire.
Con i tappini si giocava “a donchino” facendoli scorrere e scontrare sulle lastre di granito della via con un dosato e direzionato colpo di dito (in italiano mi par si dica “schicchera”) caricato come una molla dal pollice, o si facevano correre lungo una “pista” tracciata a terra con un bastoncino di carbonella.
Io di tappini ne possedevo moltissimi, un vicino di casa che aveva un precario chiosco (ora è un ristorante) alle Ghiaie, me ne portava sempre qualche pugno, altri me li procuravo da solo. Li tenevo in uno scatolone che, con gli imbarazzi di casa, stava in un appartamento contiguo al nostro, non ancora sanato dalle ferite delle bombe e deserto, con gli infissi sgangherati o assenti, senza alcun mobile e uno spazio che mi pareva infinito per giocare.
Su quel pavimento disponevo i tappini dividendoli per colore: quelli celesti con la napoleonica N dell’acqua minerale, quelli verdi del Chin8 (scritto proprio così) Neri, quelli rossicci con la scritta gialla della Birra Peroni, alcuni allora più “rari” come quelli argentei della CocaCola, altri di bibite che mi apparivano esotiche etc..
Contarli era la mia passione e, per agevolare una operazione mnemonicamente complessa per un bimbo di sette/otto anni, li disponevo in ordinate centurie (10 file di 10 tappini) constatando con soddisfazione che giorno dopo giorno quelle macchie colorate conquistavano spazi sempre più vasti del pavimento; ed un godimento particolare era pure quello acustico della fine del gioco, quando riponevo a manate, alla rinfusa, il mio scrosciante tesoro di latta nello scatolone.
Più confusamente ricordo l’epilogo della strana collezione: forse alla lunga mi stufai di quel gioco cromatico/numerico condotto in solitudine, e/o forse quando nell’infanzia della Repubblica (io e la Costituzione in vigore siamo dello stesso anno il 1948) quell’appartamento nel Centro Storico lo ristrutturarono lo scatolone pieno di inutili tappi a corona fu gettato chissà dove.
Ma benissimo mi ricordo il giorno in cui le centurie colorate, disposte sui mattoni rossi in file di dieci chiusero con la quinta fila un rettangolo perfetto (10x10 = 100, 100x10 = 1000, 1000 x 5 = 5000!)
Cinquemila! Al contrario del solito, disobbedendo ai tassativi ordini di Rosina, per i quali “.. quel che si mette all’aria poi si rimette a posto”, lasciai là fino al giorno dopo il tappeto di tappini, forse con l’idea di mostrarlo in tutta la sua magnificenza a qualcuno dei non molti amici che avevo, proposito a cui però non detti seguito.
Quei cinquemila tappini mi son tornati in mente un po’ di tempo fa, quando (la mania di fare conti mentali, anche inutili mi è rimasta per tutta la vita) ho scoperto che il 25 Aprile 2016 si sarebbero compiuti esattamente cinquemila giorni di vita di Elbareport.
E’ allora che ho risteso mentalmente i miei tappini in terra, dando a ciascuno di essi la valenza di un giorno, giorni anche diversissimi tra di loro per colore (leggi umore e segno) tappini rappresentanti felicità intense e tristezze profonde, che non mancano nella vita di ciascuno, ma quasi tutti accumunati da una costante: la fatica e la gratificazione che deriva da svolgere, al meglio che ci è consentito, il lavoro, il primo dei diritti ed il primo dei doveri di una persona.
Quanto lavoro? Tanto… contate i tappini, una mole notevolissima … ma se preferite traduco i giorno-tappini in numero di articoli pubblòicati: (43790 + 23.310 = 67.100) sessantasettemilacento pezzi complessivamente apparsi nelle due versioni di questo giornale, 13 e spiccioli per ogni tappino.
Meno calcolabile il cumulo delle ore di impegno spese dalle tante persone che hanno contribuito (quasi esclusivamente col lavoro volontario) a far vivere questo quotidiano, ma sono convinto che entreremmo nell’ordine delle centinaia di migliaia, così come in milioni, sicuramente più di dodici, si contano le visite (gratuite) a questo giornale.
E’ stato un buon lavoro? Non spetta a me il giudizio di qualità, mi conforta la convinzione granitica che Elbareport sia risultato uno strumento di informazione socialmente utile, che abbia fornito un sia pur modesto contributo alla crescita culturale, civile e democratica della nostra comunità.
Orbene, per quanto i miei collaboratori (con i quali mi scuso per il taglio forse troppo autobiografico se non auto-celebrativo di questo articolo) si ostinino a non mettermi a riposo, sono certo che non potrò raddoppiare la collezione, altri cinquemila tappini non riuscirò a posarli, per quella data è già opinabile che sia ancora in posizione verticale sopra la crosta terrestre, figuriamoci se potrò essere ancora al timone di una barca che comunque non è semplice né facile governare …
Però mi piacerebbe che qualcuno comunque lo sistemasse quel futuro decimillesimo tappino, che questo giornale, adeguato al mutamento dei tempi, resista.
Perché? Non per una senescente vanità personale ("per una gloria da stronzi" canterebbe Guccini), ma per l’intima convinzione che nutro che, qualsiasi piega prenderanno i futuri eventi, ci sarà sempre bisogno di qualcuno che li racconti e trasmetta con la professionalità necessaria a farli comprendere, e che ci sarà sempre bisogno di qualcuno che garantisca l’interesse della gente comune, ringhiando – quando occorre – verso i piccoli e grandi potenti e negli estremi casi mordendo le auguste chiappe di lorsignori.
Grato verso gli eroici che hanno resistito alla lettura di questo pippettone, vado a terminare, dopo aver messo già il tappino 5001.
Grazie a tutti,
sergio rossi