Quando accadde che Caterina, la maggiore delle mie figlie, per la prima volta, chiese il permesso di andare in discoteca, ebbi la percepibilmente preoccupata sensazione che il mio tempo di vita stava trascorrendo veloce; a vedere oggi la foto di Matteo, il maggiore dei miei quattro (quasi cinque) nipoti, vestito “da omo” con tanto di giacca e papillon, che parte in taxi per la sua “prima” nella stessa discoteca, noto che la preoccupazione del tempo che ruzzola via è diventata tranquilla consapevolezza e “che l’avvenire ormai è quasi passato”, ma senza la nota di tristezza che ci metteva Tenco, anzi…
Sì, lo so che trattando di certe cose si rischia la banalità e il luogo comune, ma non è vero (certe volte anche le sentenze popolari sbagliano) che “si lavora e si fatica … (per soddisfare primariamente le proprie goderecce esigenze alimentari ed erotiche), no, si lavora e si fatica per (e non è sempre detto ci si riesca) un avvenire migliore, più giusto, più pulito, ed il fatto che questo futuro sia o non sia personalmente nostro lo si deve considerare una variabile indipendente. Lessi un giorno una frase: “… c’è una infinita dolcezza nel gesto di un vecchio contadino che pianta un ulivo di cui non coglierà i frutti…”, ora capisco che per stare al mondo dignitosamente, l’unico verso è quello di aiutare a crescere nuovi olivi e nuovi cittadini, figli propri o di altri è un’altra delle variabili indipendenti, “perché - per restare sul canzonettaro – è del mondo che sono figli, i figli".
Ma alleggeriamo un po’ e shakeriamo qualcosa di più divertente, rimanendo in argomento – discoteche e accettazione della propria età - torniamo indietro fino ai primi anni ‘80.
Mi ero, all’epoca, da dipendente pubblico inventato un lavoro, che mi consentiva di sudare anche 12 ore e più il giorno di cui ben 6 pagate. Tra gli altri servizi erogati montavo e facevo funzionare (gratis) impianti di amplificazione, videoproiezione, ripresa etc , per ogni genere di eventi gestiti o partecipati dai comuni. Alla fine di un’estate (massacrante) tirando le somme calcolai di aver fatto risparmiare agli enti elbani circa 40 milioni di lire (quando il mio stipendio mensile non arrivava ad uno di milione) perché tanto avrebbero speso rivolgendosi al mercato privato.
Quella esperienza – per la cronaca - terminò, poiché qualcuno ci vedeva dietro una manovra bolscevica, come spesso accade in questo paese alle cose che funzionano, con un immeritato ed umiliante calcio in culo (ops!) e neppure un formale “grazie”, ma questo è ancora un altro film che proietteremo forse un’altra volta. Raccontiamo:
E’ passata l’una di notte, sto tornando da Marciana Marina (Sindaco Pasquale Berti), dove ho finito una serata trascorsa ad amplificare la performance in piazza di un quindicenne supposto “genio” della tastiera, rivelatosi un bizzoso ciclopico rompicoglioni, con allegata zia manager perfino più frantumatrice di palle del nipote. Ho smontato e chiuso nel furgone i quintaletti di casse, cavi ,microfoni etc. e navigo con la mia auto verso l’agognato letto, supero Procchio, ma alla prima curva vedo due signore (anziane, ora che ho poco più della loro età di allora, posso dirlo) che fanno l’autostop.
Mi viene da pensare che le poverette forse hanno avuto un contrattempo, un guasto all’auto sulla via di casa o chissà cosa, rallento e accosto, ma appena salite a bordo le due noto che, a dispetto della loro età quasi veneranda, sono proprio pimpanti e “in tiro” e profumano pure di “Opium”, essenza che conosco e non sopporto, ma chiedo loro dove sono alloggiate.
“Al Residence Napoleon” mi risponde una.
“Ah ma allora avete sbagliato strada – dico rallentando di nuovo – è qui vicino ma nella direzione opposta, posso portarvi lì”
“Sì cioè no - dice l’altra - Ma noi siamo uscite ora da là! Non c’è un locale aperto su questa strada?”
Penso che abbiano bisogno di trovare un posto dove possano mangiare qualcosa e dico loro che sì, ce ne sono un paio aperti a quell’ora..
“Ma si balla? – dice quella seduta sul sedile posteriore, ma con la testa protesa in avanti tra me e la sua amica e ripete – sono locali dove si balla?”
“Oddio quando vi portano il conto, capace che ballate anco!”
“Che? Cosa?”
“Niente… avevo equivocato , si ci sono un paio di locali: il più vicino, ora ci arriviamo, è proprio una discoteca, l’altro diciamo che è un po’ più tranquillo… forse là vi trovereste un po’ meglio”
“Eh no – dice la fanciulla che mi siede accanto – meglio la discoteca!”
Quattro curve e ci siamo, mi fermo a bordo strada indicando loro l’insegna del locale ma, contemporaneamente, vedo che poco distante da dove sto posizionato, stanno parcheggiando altre due auto, dalle quali fuoriescono la lunga inconfondibile figura di mio nipote Samuel - nato il giorno del mio sedicesimo compleanno - e la bandaccia dei suoi amici. Ma le due autostoppiste non accennano a scendere.
“Senta - fa una delle mie passeggere, la posteriore – lei è stato così gentile, salga su con noi che le offriamo un drink …”
“Sì sì – approva entusiasta l’anteriore, che fa pure la piaciona, sbattendo l’occhio fintocigliato - venga su anche lei!”
“No, grazie, ma non posso sono stanco e poi … e poi… - io quando sono in imbarazzo riesco a dire le cose più imbecilli - sono astemio!”
“Ma che c’entra - insiste sbattilocchio – su venga …”
In quel momento uno dei giovinastri, amico di mio nipote, si avvicina alla mia auto, dà un’occhiata indagatrice dentro e poi mi gela urlando:
“Samuuuel , vieni a vede’ che befane che ha rimorchiato il tu’ zio!”
Le due non sentono o non capiscono, ma evidentemente mi vedono “sbiancare”, e con il loro intuito femminile desumono che se non escono dall’auto loro me ne vado a piedi io, o forse mi metto a piangere.
Però le due vetuste Grazie mi graziano salutando; scendono, parlottano tra di loro, scuotono la testa, e se ne vanno a scialli eleganti e vele spiegate verso la scalinata.
Riparto riflettendo sulla pericolosità del dare i passaggi a persone sconosciute di notte.