Un giornale “che si rispetti” dovrebbe parlare di Mario Castells deceduto alle soglie del secolo di vita, sarebbe scontato aprire questa edizione col raccontare i suoi meriti, le sue imprese, l’incredibile vivacità, i cento mestieri e le mille compenze di un uomo unico e irripetibile qual è stato.
Sarebbe scontato ciò, ma i nostri lettori sanno che questo non è un giornale scontato, e non lo sarà neanche nel ricordare una persona che era quasi “di casa” con chi questo giornale lo firma.
Lascio agli altri l'incombenza parlando solo di due minime cose riferite a Mario
La prima: moltissimi dei miei concittadini mi chiamano per nome, qualcuno appiccicando nome e cognome come fossero un’unica cosa: sergiorossi , pochissimi usando solo il mio cognome.
Tra questi c’era Mario e poteva apparire strano egli si rivolgesse chiamando “Rossi” uno che era cresciuto con Ernesto il suo primo figlio, percorrendo nei suoi dintorni un’adolescenza moderatamente scapestrata, legatissimo a Stefano il secondogenito, che lo ha purtroppo tanto innaturalmente preceduto nell’andarsene, tanto da chiedergli di essere – da appena diciottenne – il suo testimone di nozze. Ma neanche Mario era un uomo scontato, e quella scelta appellativa non era dettata - lo capii presto – da un voler mantenere le distanze.
- contrario avvertivo che chiamarmi “come un omo” fin da quando ero un ragazzino, era un segno di considerazione e simpatia ed al contempo di riconoscermi non solo come individuo, ma anche come membro di una famiglia, vicina alla sua per i valori fondanti, per lo stare dalla stessa parte della barricata, quella delle persone di un austera sinistra, che si approcciavano al lavoro considerandolo quasi sacralmente, famiglie in cui si accettava di compiere anche i più faticosi, rischiosi ed umili mestieri, andando per mare… sparando le mine… e inventandosi sempre una maniera onesta e per portare il pane a casa anche quando era difficile trovarlo un lavoro.
La seconda è il racconto di solo una delle circa 900.000 ore che Mario ha trascorso sulla terra, una delle poche passate da solo con lui vicino come solo si può essere a bordo di una piccola barca, il suo adoratissimo Finny verniciato di rosso.
Quell’estate Mario gestiva i Bagni Elba, ed io a 17 anni lavoravo per lui per la stagione, un po’ al bar, un po’ in spiaggia sempre insieme ad Ernesto. Un giorno comunicò tanto a me che al figlio che dovevamo imparare, ai fini aziendali, ad andare a vela e ipso facto ci issò sulla sua barca preferita.
Era un eccellente istruttore capace di far capire immediatamente i rudimenti dell’andare col vento o controvento, di lasco e di bolina e furono sufficienti poche uscite a “scucciolarci”, ma un giorno Ernesto, non ricordo perché, mancò e quella volta ero il solo allievo.
Mentre ci allargavamo in discorso cadde su “fidanzate – più o meno occasionali – ed evoluzione dei mezzi di locomozione per raggiungerle”
“Allora, Rossi - disse Mario – si faceva l’amore a casa, che voleva dire guardarsi con le “guardie” intorno . L’altro giorno, proprio il tu’ babbo, mi diceva che lui andava due volte a settimana in bicicletta a Patresi , con quelle strade! Però anche io … Elsa stava a piombino e io ci andavo in barca a trovarla”
E cominciò a raccontarmi di quei quasi folli viaggi “per fare l’amore”, anda e rianda più di venti miglia di mare, su un guscetto di noce e con la possibilità di una buriana che montasse quando me no te lo aspettavi. Parlava con me ma guardava avanti, verso piombino che si scopriva mano mano che la spiaggia delle Ghiaie rimpiccioliva.
E parlava dei compagni di questi viaggi, i quasi sempre presenti delfini che si divertivano a scortarlo numerosissimi , i più rari incroci con i pesci rondine, le sinistreverdesche, e di tanto in tanto puntava il dito verso aree marine: “Lì c’è la secca di Santa Lucia… lì affondò lo Sgarallino.. La sai la storia? Lo silurarono!”
Parlava, parlava con l’entusiasmo di un bimbo finché non s’interruppe: “Oh ma dove siamo arrivati? Tornamo subito che se cala anche sto poco di vento ci prende il buio in mare”
Continai a guardarlo silente dopo aver detto: “Ora la porti te in terra Rossi”, perso chissà in quali pensieri.
Arrivammo alle Ghiaie che il sole era già sceso dietro Capobianco