Cari Lettori
Non mi pare che in questi quarantrè anni e spiccioli che intercorrono tra oggi e la data della prima pubblicazione di un mio articolo su un giornale mi sia ritrovato nella condizione di dover presentare formali scuse per un offesa arrecata ad una persona.
Mi corre l'obbigo di farlo oggi - paradossalmente - per un articolo che non ho scritto ma al quale ho contribuito con una mia dichiarazione.
Mi riferisco ad un passaggio di un'intervista parallela a chi scrive ed a Paolo Chille, apparsa sul secondo numero di "Almanacco Aethaliano" ed alla risposta relativa alla domanda "Cosa ne pensa delle altre penne dell'Isola"
Ricordo di aver risposto inizialmente: "Parliamo dei ragazzi perché parlare di noi vecchi lascia il tempo che trova..." o simile espressione che testimoniava tra l'altro il tono se non scherzoso almeno "allegro" con cui avevo risposto a quello ed altri punti dell'intervista e di seguito affermavo (come riportato nell'articolo) che ne pensavo molto bene e citavo appunto due giovani colleghi esprimendo giudizi molto positivi.
Per me vista la premessa là terminava la risposta sul punto.
Ma è accaduto che "oltre" la risposta io abbia elencato "chiacchierando" - per me informalmente - altri due colleghi non giovani - si badi bene come esempi di persone che facevano bene il loro mestiere di informatori - e tanto ero convinto dell'informalità di quello che dicevo, e del fatto che NON DOVEVA essere riportato, da citarne uno per soprannome - gaffe che non commetterei mai scrivendone o in una dichiarazione da virgolettare.
Bene tutto questo - soprannome compreso - è stato pubblicato e peggio ancora per effetto di una trascrizione che non teneva conto dei toni, delle premesse, delle specifiche richieste:"Questo non fatemelo dire ..." (ma che detto anzi stampato altro significato assume) e di quello che esattamente era nelle mie intenzioni significare, si aggiungeva una ancora contraddittoria valutazione sulla persona, da una parte positiva e da una parte offensiva, che non avevo alcuna intenzione di esprimere e comunque non corrisponde al mio pensiero su un collega che stimo ed al quale mi lega un'amicizia che data un buon trentennio.
Va da sé che la vicenda mi abbia provocato una delle più violente e peggiori "incazzature professionali" della intera vita.
Va da sé che esprima (augurandomi che quanto prima lo facciano anche i redattori del magazine) il mio rammarico e le mie scuse al collega che volutamente non nomino, perché il nome cognome e titolo accademico che gli competono, in quel pezzo non ci sono.
Con profonda amarezza e con un po' meno di motivazioni a resistere a questa consolle.