Caro direttore,
il mio articoletto sui Rom, Sinti e Camminanti che hai avuto la bontà di pubblicare ha scatenato, su Facebook, reazioni violente soprattutto da parte di un certo signor che ha coperto di improperi me e te. Non facendo parte del popolo di Facebook ti chiedo ospitalità per rispondere (non sul piano polemico, il livello dello scontro è già stato portato unilateralmente troppo oltre e non ho più né la voglia né l’età per le scazzottate) ad alcune domande che, sia pure in modo provocatorio, compaiono fra le esternazioni di questo signore.
L’argomento centrale del mio articolo era che, di fronte ad una migrazione epocale che stiamo fronteggiando, forse inevitabilmente, in modo disomogeneo e scomposto, varrebbe la pena considerare quali effetti abbia prodotto una migrazione per certi versi analoga che si è verificata sette secoli fa. Ho usato a questo proposito il concetto di adattamento dinamico. Quando due persone, o due culture, entrano in contatto, qualcosa cambia per entrambi ed entrambi cambiano per qualche aspetto. Prendendo a prestito una spiegazione di Fromm, se un cinese trapiantato in America smette di usare i bastoncini e adopera la forchetta siamo di fronte ad un adattamento statico; se un figlio, in risposta agli interventi educativi imposti da un padre particolarmente minaccioso, sviluppa una forte ostilità nei suoi confronti, necessariamente la reprime, ma questa ostilità repressa diventa un fattore dinamico nella stuttura del suo carattere, si tratta di un adattamento che crea qualcosa di nuovo in lui, foriero di ulteriori impulsi, per questo definibile dinamico.
Nella storia sono presenti esempi delle più diverse dinamiche di conflitto o di connubio tra popoli e culture. Nello specifico quelli che con un termine generico e secondo alcuni offensivo chiamiamo “zingari” hanno avuto sorte diversa in corrispondenza dei diversi contesti con cui si sono trovati a confrontarsi. Se, avendo potuto disporre di terre libere sono sopravvissuti nel nostro meridione alcuni gruppi che hanno conservato costumi e lingua dei paesi di provenienza, vere e proprie enclaves culturali, in alti contesti sono stati addirittura fatti schiavi, come in Romania dove sono rimasti tali fino al 1850.
Nella “civilissima” Svizzera un programma di discriminazione e persecuzione a fini di genocidio iniziato nel 1926 è rimasto attivo fino al 1974. Prevedeva che i bambini di etnia jenisch, gli zingari più tipicamente tedeschi, venissero tolti ai genitori per essere adottati, o messi in orfanotrofi e/o manicomi. Addirittura nel 1970 (!) il governo svizzero fece ricorso alla prassi di dichiarare malati di mente i genitori zingari per poterne rendere immediatamente adottabili i figli.
Quello che mi sono permesso di dire è che lo studio dell’intera e variegata vicenda storica degli “zingari”, frutto di diverse e complesse interazioni, ci si offre, coi dovuti distinguo, come parametro per i possibili sviluppi dei nostri attuali interventi nei confronti dei migranti. Quanto alle affermazioni riguardo al diritto al lavoro, all’istruzione, alla casa, al diritto di voto, all’assistenza sanitaria degli “zingari” (il 70% delle persone di cui stiamo parlando sono cittadini italiani, finchè era obbligatorio hanno fatto il servizio militare) sarebbe utile informarsi sui termini in cui lo Stato Italiano gestisce i suoi rapporti con questi “cittadini” di serie B.
L’argomento è di portata troppo vasta per essere adeguatamente trattato in questa sede. Per avere informazioni non di fonte politicamente orientata (il signore mi pare abbia in odio il color rosso) ci si può rivolgere ad una istituzione cattolica, l’Opera Nomadi, oppure ad un ente apolitico come l’ERRC (European Roma Rights Centre).
Mi sia concesso infine un appunto al mio furibondo interlocutore: in tutte le sue argomentazioni c’è un gran sventolare di coglioni, che lui inequivocabilmente possiede mentre io e il direttore di Elbareport potremmo esserne privi. Per parte mia posso attestare di averne ancora un piccolo paio, compatibilmente con l’età ancora efficienti, che mi hanno permesso di avere due figli di cui mi vanto, e che conservo con cura evitando di sventolarli. Io, però, uso firmare ciò che scrivo col nome con cui sono iscritto all’anagrafe, mentre il soggetto di che trattasi (ovviamente posso sbagliare) mi sembra tanto un “nom de plume”. Non saranno mica “de plume” anche i coglioni?
Maurizio Tavanti
Caro Maurizio
Ti domanderai che c'entra, ma la prima cosa che mi è venuta in mente a leggere il tuo articolo è il complimento che una antica signora della Portoferraio-bene, al Bar Roma (tavoli lato mare, non ancora collocati nell'attuale orrido gabbione/acquario) rivolse ad una sua pari, che sfoggiava una "mise" particolarmente pretenziosa: "Ah bellissimo il tuo vestito! è una vera raffineria!", e che quello non fosse un occasionale inciampo linguistico della matrona, decisamente "parvenue", lo potrebbe testimoniare - fosse ancora tra noi - Uberto Lupi, che ricordo ancora squassato "nell'imo cor" dal dover trattenere le risa, dopo averla sentito citare il grande poeta "Giovanni Pascoli Piceno".
Ecco Maurizio, il problema è che il tuo ragionare "è una vera raffineria" mentre, come disse il mio amico Nicola Gherarducci: "E' inutile mette' la gravatta ar maiale".
Facebook è quello che è Maurizio, la rete è quella che è, e qui torna utile la fulminante analisi di Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".
Ora, il combinato disposto (tanto per usare un altro luogo comune di moda) Eco-Gherarducci è tale che il "confronto" che si sviluppa in questo ambito diventa una specie di teatro dell'assurdo, un continuo "Dove vai? So' Cipolle! Fori piove! Si, ma la mi' nonna era zoppa!".
Come dire, tra te, uomo tollerante, di raffinata cultura e di solide letture, che citi a ragion veduta Fromm, e un insolente ignorantello più confuso che persuaso, che pubblica post inneggianti al fascismo e infamanti la Resistenza e contemporaneamente brandisce la Costituzione Antifascista a supporto delle sue insultanti, violente, minacciose e confuse "prose", e delle sue aberranti teorie, quale reale livello comunicativo, in democrazia ed in logica, può svilupparsi?
Personalmente forse per pigrizia, sarà per la vecchiaia che s'approssima, o più probabilmente per la necessità di compiere più lavoro del tempo di cui dispongo, sempre di più mi ritrovo (da laico) a rifugiarmi nell'evangelico "Signore.. perdona loro perché non sanno quello che fanno..." aggiungendoci pure "che minchia dicono", "da dove vengono e dove vanno", "se ci so' venuti o ce l'hanno mandati", "se ci so' o ci fanno".
E forse non c'è in questo frequente defilarmi, tanto il supporto di un pensare popular-snob (e commisurato all'argomentare genitale del nostro), che risiedeva in mio padre, quando diceva, "quando ho voglia di parla' con una fava, me lo tiro fori, faccio prima", ma perché sinceramente comincio ad essere oppresso da una sorta di senso di colpa "generazionale" nei confronti di questi ragazzi.
Questi Maurizio, sono nostri figli - non cromosomicamente intendiamoci - ma è la nostra generazione che ha lasciato loro un'Italia sfasciata nei valori, dove la furbizia conta più dell'intelligenza, dove le grandi e piccole disonestà quotidiane passano come acqua fresca, un'Italia chiusa, medievale, 77^ nel mondo per la libertà di stampa, che manda a puttane il suo patrimonio artistico, monumentale, naturalistico, oppressa da una classe politica in troppa parte ignorante, avida e corrotta, ed al 90% dominata da personaggi che é difficile definire diversamente da autocrati populisti.
Lasciamo loro un'Italia con milioni di giovani disoccupati e senza prospettive, milioni di indigenti disperati nell'epoca dei bagordi impudicamente ostentati, un paese intollerante, impaurito, chiuso dentro le proprie case, attanagliato dalla paura del diverso chiunque esso sia, un'italia ammazzata dal localismo, dal campalinismo, dal legaiolismo, dal generico ribellismo vaffanculista, dagli imbroglioni che vendono vasacci cinesi di destra spacciandoli per cristalli di murano della sinistra, un'Italia cieca a cosa accade nel resto di un pianeta divenuto sempre più piccolo e interdipendente, rincoglionita per decenni dalla TV spazzatura e ora dalla cloaca-web.
Se non siamo stati neppure capaci di instillare in questi ragazzi educazione, rispetto, tolleranza, senso critico, cultura della legalità, solidarietà verso il prossimo chiunque sia, indipendenza di pensiero, siamo stati, mediamente, dei cattivi, pessimi, educatori.
Non conto molto quindi su questa sfortunata "generazione spaesata e culturalmente perduta" che abbiamo prodotto, spero però nella globalizzazione che, muri o non muri, rimescolerà uomini donne e carte, e produrrà anche nella piccola, marginale e provinciale Italia, una società in cui il concetto di razza suoni sempre più anacronistico e ridicolo.
Perché, solo quando sarà una risata a seppellire il razzismo potremo dire di aver iniziato a camminare sulla strada della crescita morale.
Un abbraccio
(a sinistra foto di Erich Fromm)