Caro Sergio,
giuro che non è per la multa di 28 euro, presa alle Ghiaie, anche se il colonnino del ticket non funzionava (per lo meno, dopo la segnalazione/protesta lo hanno riparato). Non è nemmeno per gli strani orari del parcheggio di Felciaio (dove la “mezza giornata” comincia alle 15 e intorno a Ferragosto addirittura alle 16). E neanche per il semaforo rosso acceso di domenica prima di entrare in piazza della Repubblica, anche se poi sfilando davanti all’”Angolo Bar” di posti liberi ce n’erano eccome.
No, è che il problema del parcheggio ha costituito un ritorno prepotente della realtà, per me che volevo prendere solo il lato bello dell’amato scoglio (mare, natura, affetti, ricordi, ben lontano da discussioni e polemiche).
Quando sono stato richiamato anche per un parcheggio sullo sterrato, a lato della strada della Consumella, perché era “di fronte alle case dei proprietari, e questa è una strada privata” (andavo al mare a Capo Bianco con la famiglia), è scattata l’illuminazione (si fa per dire).
Che cos’era questa specie di “sindrome di Nimby (“Not In My BackYard”, “non nel mio cortile”) dei cittadini elbani, per fortuna in alcuni casi amici disposti a derogare al “qui non si può”, se non una sorta di esasperata autodifesa, in direzione sbagliata, dall’assalto delle automobili? Il cittadino, abituato (a torto o a ragione, più a torto che a ragione) a sentirsi vittima, si difende trincerandosi nella proprietà. Privata. Fra l’altro, e fra parentesi, chissà se anche la stradina di casa a Le Foci è privata? E’ la prima volta che me lo chiedo. Di sicuro è scassatissima come tutte le altre strade, private o pubbliche.
Ecco spiegata la “fenomenologia del parcheggio”, secondo vecchio metodo induttivo, dal particolare al generale. E cioè: una popolazione che si è vista privatizzare la compagnia di navigazione, ora, di fatto, monopolio privato; che ha visto chiudere gli uffici postali, i reparti ospedalieri, la pretura; che ha visto peggiorare o diminuire i servizi pubblici (come gli scuolabus, e molto altro); che vede erodere, un pezzettino alla volta, le spiagge libere (di tutti), il territorio libero (di tutti), i posti liberi (di tutti); questa popolazione, incapace di ribellarsi collettivamente, si chiude ancora di più nel suo “particulare”, difendendolo con le unghie e con i denti. Immagino a cosa si riduca la politica, se è la pazzesca sommatoria di interessi individuali in potenziale guerra permanente fra loro.
In effetti, negli ultimi anni, abbiamo fatto notizia solo per la cacciata dei rom (titolone su “Libero” o “Il Giornale”, non ricordo esattamente, ma non fa molta differenza) o per il rifiuto dei sindaci, una delle poche posizioni unitarie (!), di accogliere i profughi in un posto turistico (cioè riservato ai turisti, a chi paga).
Che poi, quelli che pagano, sono quelli che hanno le macchine. Viene da sorridere (con la lacrima sul viso) a pensare non solo e non tanto all’isola “NO OIL” vagheggiata da Tozzi l’ambientalista; ma anche e soprattutto all’idea (un’eccentrica bestemmia, vista con gli occhi di oggi) di Umberto Gentini, lanciata alla fine della stagione turistica 1992 (ripeto: 1992), di un numero chiuso per le auto nei periodi di massima concentrazione (Ischia lo fa da anni).
Siamo stati così furbi che oggi non possiamo fare quello che facevamo tranquillamente fino a venti anni fa (e pure meno), tipo non pagare per andare al mare. Viene in mente che in greco “privato” si dice “idion”; e i “privati”, inevitabilmente, sono gli “idiotes”. Ci siamo condannati da soli allo “sviluppo senza progresso” di cui parlava profeticamente Pasolini. Ma mentre “in continente” (e al sud in particolare), c’è tanta voglia di reagire, all’Elba sembriamo ancora fermi a “Vita Smeralda”, il film sulla Sardegna berlusconiana di Jerry Calà.
Con affetto
Cesare Sangalli