Il Comune di Portoferraio stoppa l'apertura nel centro storico di nuove attività commerciali non tradizionali, quindi anche di prodotti etnici e non solo!. Prosegue così la deriva culinaria dell'Amministrazione di Portoferraio che dopo la battaglia per la regolazione del commercio ambulante, vale a dire degli apini dello street food, ora interviene contro l'apertura di ristoranti etnici: kebab, cinesi, giapponesi, etc. Per il sindaco Ferrari l’ordinanza “Non è un atto contro nessuno in particolare (…) vogliamo dare un preciso indirizzo alle attività della città perché vogliamo tutelare il suo patrimonio culturale”. Dopo la cacciata degli zingari e quella degli apini street food, adesso quella dei kebab».
Lorenzo Marchetti
Caro Lorenzo
Ammesso -e non concesso - che il provvedimento assunto dal Comune di Portoferraio sia stato emesso nel pieno rispetto delle vigenti normative, sarebbe opportuno che qualcuno spiegasse ai nostri amministratori, magari con l'aiuto di disegnini (o più modernamente con delle slide), che la cultura popolare "il patrimonio culturale" come pomposamente viene da lor chiamato, di una qualsiasi cittadinanza, si forma per successive stratificazioni; è una legge ferrea che si applica anche alla gastronomia.
Vale per tutti e particolarmente per gli elbani e i ferajesi popoli che come pochi, per vicissitudini storiche, economiche etc. risultano il prodotto di migrazioni successive.
I cittadini di Cosmopoli e dell'Elba provengono per 1/5 circa dall'appennino emiliano (i cosiddetti "lombardi" che lavoravano le vigne e in cava) , sono discendenti dei pescatori "sghiandini" liguri, dei napoletani (importati come Krumiri durante lo sciopero del 1911), di fiorentini, di ebrei, di sardi, amiatini, arabi, pisani, francesi, spagnoli, ponzesi, corsi, che solo negli ultimi secoli sono qui approdati. Ben prima che il turismo "rumasse" definitivamente ben bene il nostrano "melting pot", e prima dell'inizio della migrazione nord-africana (che sta producendo un numero sostanzioso di nuovi elbani) questa era già una popolazione gioiosamente bastarda appunto come poche.
Talché parlare di "tradizioni pure ed originali elbane" è scientificamente qualcosa che fa sbudellare dalle risa le formiche, e questo ripetiamo vale anche ed in particolare per la gastronomia (chiedete ad uno studioso affidabile come Alvaro Claudi che vi spieghera come l'elbanissima schiaccia briaca è incontestabilmente, in versione analcolica, un dolce che arriva dal mondo dell'islam e che gli struffoli di Pomonte -arabi probabilmente pure loro - si fanno identici in Sicilia, Calabria, Campania, che i Pimientos de Padròn, una delle più note "tapas" spagnole, si mangiano a San Sebastian e a Portoferraio sotto il nome di peperoni verdi fritti). Studiare seriamente la gastronomia è proprio l'osservazione delle continue trasformazioni per contaminazione: la cucina è continuamente materia e sapere "in fieri" (ma l'assessore qui pensiamo non possa giungerci)
Però forse il punto è che l'odore del polpo lesso e lo sfrigolio del Kebab mal si conciliano con l'aroma (?) dei mille gusti di gelato (rigorosissimamente tradizionale, che diamine!) che si spacciano nel salotto buono di Mortoferraio; è infatti un falso storico che dalle valli trentine i gelatai abbiano invaso il mondo, in realtà la patria storica del gelato italiano la si deve collocare tra Piè dell'Asino e il Bucine, tra Stiopparello e Pelo di Cane, nel famoso "triangolo della stracciatella".
Vogliamo continuare? con la filosofia ferrariana l'unica pizza "a norma" ferajese sarebbe quella del Castagnacciaio, tutte le altre sarebbero da squalificare o da somministrare solo nel contado, la piadina - vil razza dannata - sarebbe ricacciata tra le plaghe di Romagna, e alla prossima festa sarda nessuno dovrebbe sperare nel porcheddu o nei saporosi culurgiones.
La realtà è che questo tentativo di amministrazione dovrebbe accorgersi che il "salotto", fa da anticamera ad una camera ardente, dove giacciono le spoglie di quello che fu un vivo e pulsante centro storico: in ogni direzione si fanno cento passi nella desolazione e tra le "botteghe oscure", fondi per assicurarsi i quali un quarto di secolo fa quasi ci si accoltellava, ed ora giacciono in abbandono con esposti solo i cartelli "vendesi" e "affittasi", alcuni dei quali ingialliti.
Chiunque fosse dotato di un q.i. appena superiore a quello di un grillo-talpa, si dannerebbe l'anima per portare nuove iniziative commerciali e vita nelle vie del centro storico, rispettando chi si sbatte per crearsi un lavoro, possa esso vantare natali e pasque elbane o sia uno dei 10.000 (avete letto bene diecimila) isolani nati fuori dai sacri confini ilvati.
Ma siamo ancora al periodo ipotetico dell'irrealtà, o se volete più ruspantemente al "se fossimo e se avessimo era il patrimonio dei coglioni".
Puppiamoci questa provinciale, ottusa, clientelare e pure un po' razzista isola e Città dell'Isola.