RARAMENTE TI SCRIVO... PERÒ NON TI SCRIVO MAI
Sembrerebbe impossibile che in un piccolo comune come Marciana Marina − che ha meno di duemila abitanti − non si riesca a trovare un accordo sui lavori del porto. Ma, in questo momento, il clima politico è pesante: Sergio Rossi l'ha definito mefitico.
Lo conferma la lettera indirizzata dal sindaco al paese.
Ciumei ricorre alla vecchia figura retorica della prosopopea, immaginando che Marciana Marina sia una persona: «Cara Marciana Marina, raramente ti scrivo... Però non ti scrivo mai».
L'inizio è un po' confuso e allucinato: che vorrà dire?
Sembra che non abbia avuto tempo per scrivere altre lettere alla «Cara Marciana Marina», perché era troppo «occupato a FARE» (sic).
La gente lo vede tutto il giorno: perciò conosce come passa le sue giornate.
Ma il peggio viene dopo.
La lettera è intrisa di vittimismo strappalacrime, studiato a tavolino con la solita furberia.
Ciumei rimprovera ai suoi oppositori di perdersi in «mille chiacchiere». Con tono dispregiativo, cerca di liquidare come «chiacchiere» la lotta contro il suo progetto per il «porto nuovo».
Ai suoi avversari contrappone sé stesso come «uomo del fare», sebbene molti dicano che non si era mai vista un'amministrazione «scioperata» e «morta di sonno» come questa.
ANCHE LO SCARRAFONE È BELLO A MAMMA SUA
Ci racconta che lui lavora − anzi si sfinisce di lavoro, come tutti sanno bene − perché le strade e le piazze siano «vivaci» (sic?!). Perché sia garantito il futuro. Perché il paese sia sempre più bello.
Quando ho letto che lavora per rendere il paese sempre più bello, ho pensato al progetto del «porto nuovo». E mi sono ricordato di un arguto proverbio napoletano: «ogni scarrafone è bello a mamma soja».
Per chi non lo sapesse, gli scarrafoni dei napoletani sono le piattole.
Ciumei si considera − con ragione − il padre del «porto nuovo». Ma il suo concetto di bellezza ricorda quello delle mamme piattole, che non guardano troppo per il sottile.
Con inconfutabile evidenza, il plastico del «porto nuovo» ha fatto capire a tutti che, se si coprono di cemento tremila metri quadrati di mare, la bellezza del paese non ne trae un gran vantaggio.
LA NEBBIA E IL POTERE
È noto che il plastico esposto quest'estate in una stanza sul lungomare è stato realizzato dagli oppositori (a loro spese), e non dai progettisti, che pure sono stati profumatamente pagati dal Comune con duecentoventimila euro.
Perché i progettisti del Comune non hanno preparato un loro plastico?
È chiaro il motivo: Ciumei sapeva che la gente sarebbe rimasta inorridita vedendo la reale portata dello scempio del lungomare. Perciò ha vietato il plastico, preferendo mostrare unicamente le tavole con i disegni tecnici, che sono indecifrabili per la gente comune.
È questa l'ennesima applicazione della regola fondamentale del «Ciumeismo»: meno la gente capisce, meglio è.
Machiavelli non era arrivato a intuire quale raffinato strumento di potere sia la nebbia. Ciumei sì.
Ecco perché considera quel plastico come uno sgarbo fatto a lui: il plastico gli ha sgonfiato la sua montagna di chiacchiere.
MORSO DALLA TARANTOLA
Poi, come ha raccontato Elbareport, si è deciso anche lui ad andare a vederlo.
Forse voleva mirare con i propri occhi l'immagine in anteprima del frutto delle sue viscere: dell'Opera che lo farà passare alla Storia.
Ma era nervoso e teso. Comprendeva che quell'esibizione pubblica del plastico era una ribellione conclamata − la prima ribellione − contro la sua autorità.
Un evento memorabile che − in rapporto con le dimensioni lillipuziane di Marciana Marina − aveva il valore simbolico della presa della Bastiglia, dell'assalto al Palazzo d'inverno.
Per un po' è riuscito a controllarsi, a reprimere i suoi impulsi. Ma alla fine è sbottato. La visita è sfociata in una scenata furibonda: il Signor Sindaco − deposto l'aplomb istituzionale − smanettava e gesticolava a scatti, come se avesse le convulsioni per il morso della tarantola. Con gli occhi fuori dalle orbite, strillava a squarciagola contro una signora, che aveva l'ardire di tenergli testa e di rintuzzarlo.
È scappato via, urlando "Bugiardaaaa".
Roba da mandare in tilt lo sfigmomanometro. Non ha compreso di essere caduto in una trappola ordita dai soliti biechi comunisti, che ora ripongono le loro tetre speranze negli "scherzi" dell'ipertensione arteriosa.
«ODIO BUTTATO TRA LE NOSTRE STRADE»
La lettera del sindaco affronta il tema del recente processo penale. E fornisce questa interpretazione: «Qualcuno ha tentato, cara Marciana Marina, di buttare fango e odio tra le nostre strade, di farci passare come arrivisti e corrotti. Ma avevano torto, noi l’abbiamo sempre detto ed ora grazie a questa sentenza anche la Magistratura ci ha dato ragione».
Ciumei parla di malelingue e di pettegolezzi, di falsità, di bugie, di calunnie.
Dunque i cattivi hanno «buttato fango e odio tra le strade» del paese: e il sindaco è stato processato proprio a causa di questo fango e odio «buttato tra le strade».
Poi però si è mossa la Magistratura in difesa dei buoni e degli onesti: e gli ha dato ragione.
L'intervento della Magistratura è descritto come il classico "arrivano i nostri" con cui si conclude ogni film western: il reggimento di cavalleria, guidato da John Wayne, giunge, all'ultimo momento, a liberare il fortino assediato dai perfidi Pellerossa.
Anche loro − guarda il caso − «rossi».
PERCHÉ NON POLEMIZZA CON LA MAGISTRATURA?
Ma questo racconto del Ciumei è una mistificazione. Nel processo la funzione della Magistratura non è stata quella descritta dal sindaco.
Ciumei sembra ignorare che l'opposizione consiliare di allora si limitò a contestare al sindaco di non aver rispettato le procedure previste per gli appalti.
La Procura della Repubblica ritenne che i fatti meritassero di essere approfonditi e affidò le indagini alla Guardia di Finanza con funzioni di Polizia giudiziaria. Le intercettazioni telefoniche furono chieste dalla Procura della Repubblica e autorizzate dal «Giudice per le indagini preliminari».
Nell'«Udienza preliminare», un altro Giudice (GUP), che aveva il potere di emettere sùbito una sentenza di assoluzione, decise invece il rinvio a giudizio.
Forse il Ciumei ignora che il Procuratore della Repubblica, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) e il Giudice dell'udienza preliminare (GUP) fanno tutti parte della Magistratura. Sono stati questi Magistrati a indagare sulla sua attività, a disporre le intercettazioni telefoniche della Guardia di Finanza, a formulare il capo di imputazione e a rinviare il sindaco a giudizio.
Se Ciumei è convinto che ci sia stato un errore giudiziario a suo danno, lo dica con chiarezza. Ma deve rivolgere la sua protesta verso l'indirizzo giusto: verso la Procura, verso il GIP e il GUP.
I consiglieri comunali di minoranza di Marciana Marina non hanno il potere di rinviare qualcuno a giudizio con una interpellanza.
Insomma è evidente che il Ciumei si sforza di avvelenare il clima del paese, stravolgendo il senso delle proprie vicende giudiziarie, per sfruttarle demagogicamente e atteggiarsi a vittima dei soliti «comunisti», che sono spinti dall'odio, dall'invidia, dall'innata perfidia.
LA BONTÀ DEL CIUMEI
Ciumei recita la parte dell'uomo dal cuore generoso e magnanimo a tal punto che dichiara di non serbare rancore.
Per valutare quanto sia buono il sindaco, passiamo in rassegna alcuni episodi.
Un anno fa, il capogruppo dell'opposizione gli chiese conto di enormi sprechi del denaro pubblico con una dettagliata interpellanza. Ma il sindaco sul suo profilo Facebook replicò che il consigliere era un "omino" (sic) che non avrebbe «mai imparato a tacere».
Secondo il Ciumei, i consiglieri comunali di minoranza hanno addirittura il «dovere» di tacere: un'interpretazione molto originale della funzione di controllo attribuita all'opposizione in un sistema democratico.
E come si spiega l'epiteto di «omino»?
Chi sta all'opposizione di cotanto sindaco non può essere normale: è un inferiore: appunto un «omino».
All'altro consigliere di opposizione, che esprimeva alcune critiche durante una riunione del Consiglio comunale, Ciumei replicò − a ghigna dura − che era suo dovere di sindaco denunciarlo alla Magistratura. Più «buono» di così…
CHE DIO CI SCAMPI DALLE DONNE
Talvolta anche i cittadini privati sperimentano la sua «bontà».
I proprietari di due attività commerciali sul viale del lungomare chiedono al sindaco di collocare una bassa pedana sul suolo pubblico davanti ai loro negozi. In un caso la risposta del sindaco è no. Nell'altro caso è sì.
Non ho dubbi che questa disparità di trattamento sia formalmente ineccepibile e che non sia determinata né da parentele né da simpatie politiche. Ma resta il fatto che l'Amministrazione pubblica non appare imparziale: perciò la signora del no protesta.
A quelle proteste il Signor Sindaco reagisce in modo esemplare.
«Esemplare» nel senso che la sua reazione deve servire da esempio e da monito per tutti i sovversivi.
Colpirne uno per educarne cento.
Ciumei mette sul suo profilo Facebook la foto di due uccelli che − con scarsa competenza ornitologica − definisce anatre.
Questo il titolo, in un italiano un po' tribolato: «Che spettacolo: finora era sola... stasera erano due. E quest'ultima batte tutti».
Alla foto dei due volatili aggiunge un commento:
«Dovresti essere qui per godere dello spettacolo offerto − gratuitamente − dalla Signora della Pedana. Silente, in un angolo, a lasciar starnazzare l'altra che dice dice, e non dice un benamato... e quando le spieghi come funziona, naturalmente, non capisce. Così è, la chiamano partecipazione. C'è di buono che Natale è dietro l'angolo, e quest'anno lo festeggiamo insieme. Anatra per tutti».
LE DONNE STARNAZZANO
Alla cittadina a cui ha negato l'autorizzazione, il Sindaco affibbia un soprannome beffardo: "Signora della Pedana". Dopo averle detto di no, il Sindaco ritiene di avere il potere di prenderla in giro pubblicamente e di infierire contro di lei, scrivendo che dà «spettacolo».
Per l'amica della signora il Sindaco usa il verbo «starnazzare», precisando che «dice, dice e non dice un benamato».
Ciumei però non si sente pago: ritiene che «benamato» non sia abbastanza esplicito. Perciò aggiunge anche dei puntini allusivi, affidando al lettore il compito di inserire mentalmente la splendida parola che è rimasta sottintesa. Così integrata, l'umiliazione della cittadina − inflitta pubblicamente e per scritto − diventa più sostanziosa, più ricca, più consona a chi detiene l'«Imperium», ossia il Supremo Potere di Sindaco di Marciana Marina.
L'interlocutrice è una donna: perciò il Sindaco osserva che, anche se le spieghi come funziona, «naturalmente non capisce».
«Naturalmente»?
Se ho interpretato bene, la frase significa che l'incapacità di capire è insita nella «natura» stessa delle donne. Dunque il Sindaco non si fa mancare nemmeno un tocco di misoginia.
E già che ha la bocca aperta, coglie l'occasione per esternare il suo cruccio per i riti noiosi della democrazia: «Così è, la chiamano partecipazione».
In quello sconsolato «così è», si avverte il suo sospiro dolente nel dover costatare quanto sia combinata male questa povera Italietta. Ai bei tempi in cui i treni arrivavano in orario, non c'era bisogno di «partecipazione» tantomeno di donne.
E conclude con una felicissima spiritosaggine: Natale è dietro l'angolo: e nel menu del cenone natalizio «anatra per tutti».
I cittadini che disturbano il Sindaco, finiscono − metaforicamente − nel forno.
È proprio sicuro il bravo sindaco di avere il diritto di usare − nei confronti di privati cittadini − espressioni come «non dice un benamato», «offrire spettacolo», «starnazzare», «naturalmente non capisce», «anatra per tutti»? È proprio sicuro di non aver superato i limiti?
Immagino che dirà che stava solo scherzando. Scherza coi fanti …
LA GOGNA CIBERNETICA
Ciumei si sente libero di svillaneggiare su Facebook chi gli resta antipatico.
Fra i post al testo del Ciumei ne ho notato uno assai efficace: «Questa volta non farai prigionieri».
L'ironia (forse involontaria) dipinge un sindaco impegnato a recitare la parte del feroce saladino nel teatro dei pupi: uno spaccamontagne invulnerabile, col cimiero ricoperto di denti di cinghiale, che «non fa prigionieri» e che − dentro un file di Facebook − si pavoneggia in tutta la sua maschia potenza, per spaventare le donne.
ENRICO MENTANA E UMBERTO ECO
Nelle ultime settimane si è discusso molto, nei giornali e in televisione, del variegato fenomeno della gogna cibernetica, che in alcuni casi − non certo in quelli di cui mi occupo ora − ha prodotto conseguenze drammatiche.
Ha suscitato scalpore un neologismo coniato da Enrico Mentana. È stato citato un giudizio di Umberto Eco, il quale osservava che i social media dànno diritto di parola a legioni di persone che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.
Nella trasmissione televisiva di Lilli Gruber, Paolo Pagliaro ha detto che spesso nei "Social" non c'è spazio per la pietas e la compassione, nel significato etimologico di "partecipazione empatica" e di rispetto per gli altri esseri umani. E Michela Marzano ha visto nella ferocia dei "Social" un tentativo di demolizione «virtuale» dell'essere umano: un giudizio che trova conferma in quel cinguettio del profilo Facebook di Ciumei, nel quale si prevede che questa volta non saranno fatti prigionieri.
DURO ANCHE VERSO DONNE, VECCHI E MALATI
Questo sindaco, che «non fa prigionieri», si atteggia a duro anche con i vecchi e i malati. Come ho verificato di persona.
Quando io replicai a Zecchini con un po' di ironia, Ciumei decise di darmi una dura lezione sul solito Facebook, "scendendo in campo" a difesa del suo Maestro. Era convinto che i suoi toni energici e virili e la sua minaccia di querela mi avrebbero messo a tacere per sempre.
Mi rinfacciò che ero invecchiato male e che ero animato da «genuina cattiveria». Insomma mi diagnosticò un rimbecillimento senile. E ebbe la delicatezza di definire i miei ragionamenti «un cumulo di falsità e di offese gratuite sciorinate a getto continuo, per così dire senza bisogno di guttalax».
Quella fine metafora del guttalax rivela in modo autentico la sua ricchezza interiore.
Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, i tribunali italiani considerano come non rilevante penalmente l'uso di un linguaggio molto pesante nelle polemiche politiche: si pensi a Salvini e allo stesso Grillo. Secondo il mio avvocato, però, l'equiparazione dei miei ragionamenti con gli effetti del Guttalax travalica abbondantemente i limiti fissati in quelle sentenze. I termini per una mia querela sono scaduti: non quelli per una causa civile per danni.
Gli risposi a tono: e da allora il truce ammazzasette «che non fa prigionieri» mi evita accuratamente. Se ne sta acquattato nelle retrovie. Ho potuto costatare che non ha più parlato di me. Si è limitato a sottoscrivere un comunicato stampa approvato dal direttivo della società "Ilva", in cui quel consesso di uomini di cultura paragonava le mie argomentazioni al vomito della chemioterapia e mi augurava di vomitare.
Anche il Ciumei − membro del sodalizio culturale − ha condiviso quelle finezze, avendo cura, però, di nascondersi, con molta prudenza, nel gruppo.
La sua animosità istintiva e primordiale gli ha fatto velo, impedendogli di rendersi conto che è di cattivo gusto l'invito a vomitare rivolto a una persona malata di cancro. Quantomeno non lo apprezzano né le moltissime persone che sono passate attraverso la mia stessa esperienza, né i loro familiari e amici.
Una penosa caduta di stile che un sindaco dovrebbe evitare. Nell'interesse suo.
NON RISPARMIA NEANCHE GLI AMICI
Le asprezze del Ciumei non sono rivolte soltanto contro un avversario politico dichiarato come me, per due volte capolista dei "comunisti" a Marciana Marina nelle elezioni comunali. Ciumei attacca senza freni inibitori anche qualcuno che è vicino alla sua parte politica e che è stato determinante nel designarlo come candidato a sindaco.
Parlo di uno dei miei compagni di gioventù, di alcuni anni più giovane di me, che ha dovuto sottoporsi di recente a un intervento chirurgico alla laringe: il bisturi però gli ha provocato un abbassamento del tono di voce.
Ciumei − che ha riso del mio carcinoma − ha pensato che poteva fare del sarcasmo anche sulla malattia di questa persona, che ha chiamato «il muto».
Superfluo dire che, in un piccolo paese come il nostro, tale inutile crudeltà è trapelata. Molti sono rimasti sconcertati di fronte a un uomo di quarantacinque anni che, per apparire spiritoso, ricorre a battute che non saprei come definire senza rischiare un'altra querela.
E dice queste battute grevi con la spensieratezza irragionevole di un ragazzotto convinto che a lui la sorte riserverà il privilegio di morire di salute.
Mi chiedo come si fa a ridere perfino delle malattie dei propri amici.
E per fortuna che lui è buono.
Gian Piero Berti