ZUCCHE, ZECCHE E ZECCHINI
"DE FALSO CREDITA ET EMENTITA…"
Nel gennaio scorso il dott. Zecchini pubblicò on line un «Saggio» (lui − modestamente − i suoi articoli li chiama «Saggi») sul famosissimo ipogeo di Marciana (sul quale sta per uscire un importante articolo del prof. Luigi Donati, etruscologo dell'Università di Firenze).
Quando uscì il Saggio, io ero in viaggio e non me ne accorsi. Me l'hanno poi segnalato i miei amici con molti mesi di ritardo.
Ne trascrivo l'incipit, che ha preziose movenze classicheggianti:
«De credita et ementita nummorum officina». Vale a dire: «La zecca erroneamente ritenuta vera». Sotto questa immagine verbale, mutuata dal grande filologo quattrocentesco Lorenzo Valla, la zecca di Marciana rischia di passare alla storia se i suoi sostenitori non si affretteranno a rendere pubblici pressanti indizi, finora pressoché nulli, sulla sua reale esistenza».
E contro l'esistenza della zecca di Marciana, Zecchini riuscì a escogitare ben venti prove: un'impresa da Guinness dei primati.
UN COACERVO
Inspiegabilmente lo stesso Zecchini − bontà sua − definisce le sue venti argomentazioni «un coacervo».
Per coacervo si intende un insieme di cose mescolate disordinatamente: un'accozzaglia, una fricassea, come spiega il Dizionario Treccani dei Sinonimi, consultabile in Internet.
Non so spiegarmi perché il prof. Zecchini − persona notoriamente poco incline all'autoflagellazione − sia giunto a questo giudizio così pungente.
Ma come potrei dargli torto? Le venti prove sono un campionario esilarante di violazioni delle più elementari regole logiche.
Oggi intendo soffermarmi sulla prima prova, che è la più deliziosa. La più allucinante.
"ABBONDANDIS IN ABBONDANDUM"
Bisogna riconoscere che quell'esordio ha un effetto spettacolare veramente grandioso.
Le prime parole − in latino − creano subito un'atmosfera di solennità. Zecchini è convinto che il latino sia il suo forte. E, quando può, abbonda volentieri. Come diceva Totò, «ma sì: fai vedere che abbondiamo: abbondandis in abbondandum».
Segue il riferimento a Lorenzo Valla, che per la quasi totalità delle persone è assolutamente sconosciuto, come l'ormai proverbiale Carneade di Don Abbondio. Ma, proprio per questo, il lettore ha l'impressione che il Grande Luminare viva proiettato nelle eteree vertigini delle vette della Cultura.
Infine Zecchini prospetta come imminente il passaggio alla Storia; e l'idea di essere coinvolti in qualcosa che sta per passare alla Storia crea sempre forti emozioni.
Tuttavia si resta un po' sconcertati nel vedere accostate insieme due entità che non sembrano appartenere allo stesso ordine di grandezze, come la donazione al papa di metà dell'Impero romano (che era l'oggetto delle critiche del Valla) e il microscopico seminterrato di Marciana, che misura poco più di trenta metri quadrati. A pochi verrebbe in mente di trovare affinità tra il Big Ban primigenio e il petardo di un bambino. Oppure tra il Real Madrid e la Cuoiopelli.
IL "LATINORUM" COME MANGANELLO
Tra le performance latine − o paralatine − del Luminare non è stata dimenticata la maldestra scimmiottatura del Confiteor («culpa, mea culpa»), scopertamente ispirata al più vieto anticlericalismo massoneggiante dell'Ottocento. Era proprio convinto di potermi distruggere con la parodia del cristiano che si batte il petto confessando di essere peccatore.
Né è stato dimenticato il suo «Saggio» in cui pretese di spiegare che nel latino medievale «prevalebunt» (senza il dittongo "ae") sarebbe sbagliato, scandalizzandosene a tal punto da assegnare − senza tanti complimenti − la patente di "asino" a un ex-sindaco elbano.
Erano tempi in cui Zecchini − falsamente circonfuso dal nimbo splendente del «Docento Universitario» − credeva che la sua matita rossa e blu fosse più potente di un missile intercontinentale. Non ci andava per il sottile il Grande Luminare nell'affibbiare patenti di asino a chi gli restava antipatico: aveva il complesso dell'Onnisciente.
La sua "missione" era quella di maltrattare e intimidire tutti gli avversari politici del sindaco Ciumei. E il latino era usato come manganello.
Ma nell'occasione del prevalebunt il dottissimo Latinista si rivelò − ahilui − ignorante di un fenomeno fonetico presente nel latino ecclesiastico e nelle lingue romanze.
Da allora sembrano passati secoli.
UNA CATTEDRA UNIVERSITARIA «FALSO CREDITA ET EMENTITA»
Comunque è encomiabile il suo zelo nel fustigare i falsi.
E meriterebbe un apprezzamento ancora maggiore, se volesse accogliere finalmente il mio invito a smentire la falsa notizia che lui sarebbe nientepopodimeno che un «docente universitario», come si leggeva in agosto su un manifesto affisso in tutta l'isola (nel quale lo stesso sindaco Ciumei compariva insignito di posticcia laurea).
Anche l'inesistente cattedra universitaria che qualcuno (ma chi?) si ostina ad attribuire al dott. Zecchini è «falso credita et ementita».
Viene in mente la favola di La Fontaine che racconta della gazza graziosamente agghindata con le penne del pavone.
CONTRO LA ZECCA MOTIVAZIONI "PESANTI"
Cercherò di esporre le concatenazioni logiche della prima delle venti prova "antizecca".
Zecchini parte dalla costatazione che Zanetti, autore di un libro di numismatica, era un numismatico.
Aggiunge, come un corollario, che tutti i numismatici sono «minuziosi osservatori».
È giusto. Però mi permetto di rilevare che nella società umana ci sono molti altri «minuziosi osservatori»: gli orologiai, le ricamatrici, i tipografi, i commercialisti, i barbieri, le lavandaie, gli artificieri, le merciaie, i chirurghi, i cuochi, i falegnami, le stiratrici, le dattilografe, i maniscalchi, i pittori, i musicisti, i baristi, gli astronauti, gli incantatori di serpenti, i domatori di leoni, i giocatori di scopone scientifico e di tressette... E potrei proseguire molto a lungo, elencando un numero sterminato di attività nelle quali si articola la divisione del lavoro.
In conclusione, il numismatico non sembra affatto una figura eccezionale rispetto alla massa delle persone che lavorano. Le basi dell'argomentazione di Zecchini risultano inconsistenti già in partenza.
L'ELOQUENZA DELL'AGGETTIVO CHE NON C'È
Ma proviamo a seguire il ragionamento di Zecchini.
Nel suo libro del 1775, Zanetti ha scritto che, nell'appartamento di Bernottus (cioè Bernotti), che era il fiduciario del Principe di Piombino, la zecca di Marciana occupava «una stanza».
Si noti bene che Zanetti usa esattamente queste due parole: «una stanza».
E da queste due innocenti parole di Zanetti il prof. Zecchini fa partire un'arditissima arrampicata sugli specchi.
Zecchini scrive che un numismatico non poteva limitarsi a parlare genericamente di «una stanza». La sua natura di «minuzioso osservatore di cose piccole e di particolari» lo costringeva a descrivere in modo molto più dettagliato la stanza che aveva visitato.
Zecchini è sicuro che, se il «minuzioso osservatore» Zanetti avesse notato che la zecca si trovava nel seminterrato del palazzo degli Appiani, avrebbe sentito una spinta incoercibile a essere più esplicito, "quantomeno" (sic!) aggiungendo l'aggettivo «sotterranea». Perciò nel suo libro di numismatica noi oggi dovremmo leggere «una stanza sotterranea».
Invece nel testo di Zanetti non c'è l'aggettivo «sotterranea» o altra espressione equivalente. L'assenza dell'aggettivo è decisiva.
LOUIS DE FUNÈS E IL COMMISSARIO REX
Zanetti è morto da oltre due secoli e non può più essere interrogato. Ma l'assenza dell'aggettivo «sotterranea» è lì che parla per lui: e proclama la verità a tutto il mondo.
Se a scrivere quella frase fosse stata una persona normale, si potrebbe pensare che l'assenza dell'aggettivo fosse dovuta semplicemente al caso. Ma Zanetti non scriveva a caso. Lo abbiamo già detto: era un numismatico. E allora è tutta un'altra musica: la mancanza della parola «sotterranea» ha, in pratica, lo stesso valore di una fotografia nitidissima. È una prova schiacciante: incontrovertibile.
Che nemmeno il commissario Rex o Louis de Funès nella parte di ispettore di polizia...
In questi giorni di polemiche referendarie, è diventata di uso popolare l'espressione "combinato disposto".
Anche Zecchini ricorre a un combinato disposto. Coniugando insieme la natura numismatica di Zanetti (una specie di bernoccolo lombrosiano?) e l'assenza dell'aggettivo "sotterranea", Zecchini giunge a dimostrare che la stanza della zecca non poteva trovarsi nel seminterrato della casa Bernotti.
Dunque il testo di Zanetti non può scalfire la tesi che i locali del piano terreno sono una tomba etrusca.
Quod erat demonstrandum: Come Volevasi Dimostrare.
La scoperta archeologica del secolo è salva.
LA LOGICA DEL BRUMEGGIO
Occorre rilevare che Zecchini presuppone che Zanetti sia andato a Marciana di persona a vedere la zecca: di questo viaggio a Marciana non esistono testimonianze storiche. Se invece Zanetti si fosse limitato a riferire informazioni apprese da altri, senza andare a Marciana e perciò senza che il suo occhio prodigioso di numismatico potesse entrare in azione, tutto il discorso del prof. Zecchini cadrebbe miseramente.
Ma soprattutto è inquietante che Zecchini fondi tutta la sua "pesante" argomentazione sull'assenza di un aggettivo.
Durante le vivaci discussioni iniziate più di un anno fa, mi ero già imbattuto in casi analoghi. E non sapevo se spiegarli come momenti di distrazione dell'Archeologo oppure come tentativi di cercare scampo nella confusione del brumeggio.
Poi l'esperienza mi ha insegnato che non si tratta di distrazione: il «brumeggio» è appunto il modello canonico della logica di Zecchini.
Lui ragiona proprio così.
"BASE JUMPING"
Davanti a volteggi e piroette così fantasiosi, così arzigogolanti, resto sbigottito. Sembra che i ragionamenti di Zecchini appartengano a quello sport estremo che si chiama "Base jumping".
La poderosa inferenza logica che parte dal bernoccolo numismatico di Zanetti e approda alla scoperta del piano dove era collocata la zecca nella casa di Bernottus è proprio "sciiienza". Sciiienza autenticamente galileiana.
Omero e Pindemonte, quando coniarono la definizione «quell'uom di multiforme ingegno», sicuramente stavano contemplando la visione profetica del Luminare.
A volte mi chiedo che direbbero gli amici di Zecchini se fossi io a uscirmene con una simile levata d'ingegno.
E SUL FINALE UN COLPO DI SCENA
Però, qualche riga più avanti, Zecchini si dimentica che i numismatici sono quei tipetti meticolosi, pignoli, quasi infallibili, che ci ha descritto prima. E sentenzia tranquillamente: «la testimonianza dello Zanetti è poco affidabile e, così come ha sbagliato per due zecche, può avere errato anche per quella di Marciana».
A quei «minuziosi osservatori» che sono i numismatici non sfugge nessun dettaglio. Però, purtroppo, sono capaci di inventarsi non una ma tre zecche inesistenti. Nientemeno.
Ho l'impressione che − di fronte al fluttuare di queste zecche vere e fasulle che appaiono e scompaiono − nella mia zucca ci sia qualcosa che non torna.
Di sicuro per colpa mia.
«Nui / chiniam la fronte al Massimo / Fattor, che volle in lui / del creator suo spirito / più vasta orma stampar».
Gian Piero Berti