I grandissimi Zavattini e De Sica (padre) nel loro "Miracolo a Milano", film tratto da "Totò il buono", fanno sciamare in volo su manici di scopa i semplici, i poveri della metropoli lombarda, verso una specie di "isola che non c'è", un paese "dove buongiorno voglia dire buongiorno".
Sto guardando Anita che dorme tranquilla il suo primo martedì della vita al calduccio, e forse quella vecchia pellicola in bianco e nero, piena di gente infagottata ed esposta ai rigori meneghini, mi è venuta in mente "per contrasto termico" con l'immagine che vedo.
Ma subito dopo ruzzolo su un altro film, stavolta a colori, visto nei primi anni '80, eminentemente memorabile per il suo titolo: "Jonas che avrà vent'anni nel 2000".
Anita avrà vent'anni nel 2036, statistiche e sigarette mi danno obbiettivamente poche chance di esserci, e la curiosità di che cosa sarà il mondo dei suoi vent'anni, mi sa che dovrò tenermela insoddisfatta.
Sono nervoso ed irritabile, come sempre in questo periodo dell'anno; mi ritrovo a pensare che se ci fosse una scopa volante-macchina del tempo che mi portasse, dopo un volo di qualche attimo, ad incrociarmi con la Befana sulle vie del ritorno, non ci penserei un secondo ad inforcarla, per tornare calendario girato, qui ovviamente, perché non esiste un posto dove Buon Natale (e/o il più ritinteggiato laicamente Buone Feste) voglia dire realmente Buon Natale.
Sì lo so che forse corro il rischio di cadere nel luogo comune, ma l'ipocrisia del Natale consumista, dello zuccheroso buonismo a tempo determinato, delle luminarie stitiche, del dover essere felici e gaudenti perché lo dice il calendario, mi indispone sempre di più.
Il Natale - chiamandolo altrimenti - lo inventarono i nostri antenati cavernicoli più svegli, osservando quello che oggi chiamiamo Solstizio, dopo il quale le giornate tornavano ad allungarsi. La notte con le sue paure non si estendeva più verso l'angoscia del buio continuo, e si poteva sperare logicamente in un'altra primavera e un'altra estate; loro avevano ben di che festeggiare.
La Chiesa (abilissima nel riciclo delle festività pagane) collocò (ma più di tre secoli dopo) la nascita di Gesù negli stessi giorni in cui si celebravano i riti solstiziali, fissandola nel 25 Dicembre di un anno determinato (che in realtà è storicamente è sbagliato, altrimenti, tanto per dirne una, Erode avrebbe regnato e ordinato la Strage degli Innocenti dopo essere morto).
Dunque si può dire che il Natale è da ricordarsi in primis come la festa della speranza degli umani che ci precedettero, e forse così varrebbe la pena di riviverla (cristianamente o meno).
Mi dà una tirata d'orecchie, disarcionandomi dalla scopa volante, la sorella maggiore di Anita, Frida che scarta compiaciuta il maglioncino rosso fiamma che le ha spedito Zia Lori, le brillano gli occhi, fino a qualche minuto prima pieni di lacrime per una piccolissima ustione.
Ecco per chi Natale può essere Natale: per i bimbi; e si torna alla Festa della Speranza, perchè per loro più che per noi stessi si spera.
Si Anita continua a dormirsela e stavolta mi fa pensare ad una canzone: "Duerme duerme negrito - que tu mama esta en el campo". "Dormi dormi negretto, che tua madre sta (lavorando) nei campi. E lavora per comprarti tante cose come la carne..." è di Victor Jara un poeta ammazzato dai fascisti cileni nel 1973, che prima prima di morire si vide fracassare le dita, forse perché neanche dall'aldilà potesse suonare la sua chitarra, e continuare quella dolce ninna nanna che in realtà diventava una protesta: "trabajando duramente, trabajando y no le pagan..". "La mamma sta nei campi, lavorando duramente, lavorando e non la pagano, lavorando e sta scoppiando sotto il sole ...".
Giusto sì, speriamo che Natale sia (almeno un giorno) Natale per i bambini, ma per tutti, non solo per quelli che abbiamo più vicini e possiamo proteggere: per i bambini di Taranto soffocati dalle polveri velenose, per quelli di Aleppo dilaniati da una bomba sganciata da un caccia ipertecnologico che costa da solo quanto decine di scuole e ospedali, per quelli che annegano nel Mediterraneo e nella nostra sostanziale indifferenza, per i più sfortunati di tutti, che crepano di fame a milioni, troppo lontani dalle telecamere per fare notizia.
Ebbene sì Natale, coi suoi riti vuoti, con la sua paccottiglia, con la sua pietà ad orologeria, mi provoca feroci attacchi di egualitarismo, mi fa pensare ad un'invocazione di Ho Chi Min: "Urlino le ingiustizie del mondo!" Troppo comunista? Va bene stemperiamola un poco: "Occorre indurirsi nella lotta mantenendo dentro intatta tutta la propria tenerezza". Questa è di un medico argentino, si chiamava, Ernesto Guevara De La Serna. E ora basta con le citazioni, dormi tranquilla Anita, che avrai vent'anni nel 2036, spero in un mondo più giusto, più pulito, più onesto e meno ipocrita di questo.