Capita un giorno che un signore in posizione, come si dice adesso, apicale nella pubblica amministrazione, rilasci ad un importante e paludato organo della carta stampata, nel caso specifico straniero, una dichiarazione castroneggiante condita da finti neoconcetti in realtà vecchi e polverosi. Il signore in questione altri non è che il presidente dell’Antitrust nostrano, il giornale è il Financial Times, il finto neoconcetto è la post verità e, nella dichiarazione, il presidente di un Antitrust piuttosto scalcinato e inefficiente come il nostro (vicenda Toremar docet) sostiene che gli Stati della comunità europea si devono accordare per decidere quali notizie circolanti in rete dichiarare false e come rimuoverle. E’ la buona vecchia pratica della mordacchia tesa, piuttosto che a discutere con il proprio simile, a farlo tacere.
Subito parte a razzo un altro signore, a sua volta in posizione apicale in un movimento politico da lui stesso fondato e da molti apprezzato, tacciando l’intera corporazione giornalistica di scribacchinaggio prezzolato. A sua volta propone l’istituzione di una giuria popolare per giudicare le notizie diffuse dai giornali o tg istituzionali. Ricorda un po’ il Lenin del novembre 1917 secondo il quale tutta la stampa avrebbe dovuto rispondere all’Assemblea dei Soviet. Poi è finita come è finita.
Bisogna anche dire che, mentre la castroneria del primo, forse perché rilasciata ad un giornale britannico, viene accolta dalla stampa ufficiale con flemmatica, anglosassone equidistanza, la minchiata del secondo scatena invece la furiosa, indignata reazione della stessa stampa ufficiale che vede sotto mortale attacco la libertà, appunto, di stampa.
Gli interrogativi che la vicenda pone non sono pochi.
Il primo, e forse il più pregnante è questo: Non è che semplicemente sia in corso fra i due una gara a chi è più tonto?