L’Accademia della Crusca, grazie al lavoro svolto da un gruppo di studiosi della lingua italiana, ha compilato di recente un elenco, piuttosto nutrito e dettagliato, di parole inglesi che possono essere evitate perché “inutili” ed ha avanzato una serie di proposte per la loro sostituzione con termini italiani più chiari e comprensibili da tutti, anche da chi l’inglese non lo conosce affatto o lo “mastica” poco.
Vediamone alcune. “Hot spot” equivale a “centro di identificazione”; la “voluntary disclosure” è una “collaborazione volontaria”; per “smart working” si intende un “lavoro agile” , quello fatto da casa o telelavoro; “customer satisfaction” sta per “soddisfazione degli utenti”; alla “executive summary” in italiano corrisponde una sola parola: “sintesi”; “ public engagement” vuol dire semplicemente “impegno pubblico”; anziché“ distance learning” o “road map” si può dire “apprendimento a distanza” e “piano operativo o cronoprogramma”. Di recente hanno fatto il loro ingresso nella nostra lingua le parole inglesi “fake news”, che non ho trovato nell’elenco degli anglicismi inutili, ma sono sicuro che la Crusca deciderà, quanto prima, di inserirle. Perché dire o scrivere “fake news” e non “false notizie”?
Proprio pochi giorni fa quegli stessi studiosi hanno presentato al Parlamento formale protesta contro la scelta fatta dalla Camera dei deputati di mutuare dall’inglese, nella stesura del testo del disegno di legge che disciplina l’esercizio della attività di ristorazione in abitazioni private, le parole “home restaurant” o “ home food”ed hanno invitato il Senato, che dovrà esaminare quel disegno in seconda battuta, a rimediare alla “sorprendente” scelta linguistica della Camera, facendo presente che quella attività può essere indicata perfettamente con le parole italiane “ristorante domestico o casalingo”.
Non so se avrà successo lo sforzo degli studiosi della Accademia della Crusca di contrastare l’uso eccessivo dell’inglese. Temo di no. Il virus dell’anglomania sembra aver aggredito irrimediabilmente la stampa nazionale e locale, le trasmissioni televisive e radiofoniche, la Pubblica amministrazione e gli stessi politici, che oltre all’home restaurant si sono inventati anche il jobs act, la stepchildren adoption, la spending review, la question time, ecc…..ecc…
Anche nei nostri quotidiani locali gli anglicismi spuntano come funghi, ma spesso non per loro responsabilità.
In un comunicato della Amministrazione comunale di Portoferraio sulla installazione di nuovi giochi nei giardini pubblici in Albereto ho letto “work in progress per nuovi giochi in Albereto” anziché “ lavori in corso”.La fibra ottica dell’Ospedale civile, nei giorni scorsi, non era rotta o fuori uso, ma “out”.Per le vaccinazioni contro la meningite sono stati fissati alcuni giorni indicati come “vaccino day”. Strano che per il vaccino non si sia usato il corrispondente termine inglese, “vaccine”.L’isola di Montecristo è diventata “rat-free”. Brutto sarebbe stato scrivere “libera, liberata dai ratti” o “derattizzata”. Per pubblicizzare il progetto di sterilizzazione delle colonie feline siamo ricorsi ad un “Elba for cats”. Musica dal vivo? No, per carità, “live music”! Finisco qui perché la farei troppo lunga. Non posso però non segnalare, prima di concludere, che l’annuncio di una serata di musica nella piazzetta di Chiessi, organizzata dal locale Comitato festeggiamenti nell’agosto dello scorso anno, aveva questo titolo: “A Chiessi disco in the square”. A parte che sarebbe stato corretto, considerate le modeste dimensioni dello spazio dedicato alla piacevole iniziativa ( scusate se non ho usato il termine “location”), far precedere “square” dall’aggettivo “little”, sono comunque rimasto sconcertato! Siamo davvero all’assurdo!
Giovanni Fratini