Domenica mattina, da anzianotto quale ormai sono, alle 8 ero già sveglio e non senza stupore mi accorgo che non esce una goccia d’acqua dal rubinetto. Strano, penso, in più di 20 anni che abito in questo quartiere non era mai successo! Abituato come sono a bere acqua del Sindaco non ho una scorta di bottiglie di plastica; dopo aver dato fondo alle salviette puzzolenti raccolte in aerei e alberghi decido di scendere a prendere un caffè al bar, consapevole che mettere il succo di frutta nella moka non fosse una buona idea; esco quindi accompagnato da una sensazione tra il fastidio e la nostalgia di quando, negli anni ’70, era d’obbligo tenere sotto l’acquaio un paio di taniche di scorta.
Percorro i 100 passi che mi separano dal bar e incrocio 2 pattuglie della Polizia Municipale a gestire il poco traffico e le tante lamentele, e una nutrita squadra di operai dell’acquedotto intenti evidentemente a riparare una perdita. Non c’è luogo migliore del bar per raccogliere informazioni, notizie, retroscena e ipotesi di complotto sull’accaduto; e puntualmente mi viene spiegato che alle 7 è stato visto uno zampillo uscire dall’asfalto e dalle 8 hanno dovuto interromepere la distribuzione dell’acqua per fare una riparazione urgente.
Ancora un po’ malinconico per il ricordo delle taniche sotto l’acquaio e delle piccole emergenze che costituivano un diversivo nelle noiose domeniche in città, la mia prima reazione è di stupore perché in meno di un’ora c’erano sul luogo del “disastro” tutte le attrezzature e il personale necessario a far fronte al problema. Mi godo il caffè (il bar è sull’altro lato della strada e aveva acqua a profusione) compiaciuto per cotanta efficienza: vedi te che non è tutto come ci raccontiamo su facebook! Ma come presumibile non tutti gli avventori la pensano così: “ora chissà quanto staremo senz’acqua”, “proprio di domenica dovevano chiudere la strada”, “e secondo loro da dove si passa per andare in centro?”, “qui ogni poco siamo senz’acqua”, “e secondo loro oggi come facciamo a cucinare?”, “potevano almeno avvertire” (e a questa ultima perla di saggezza non può non tornarmi alla mente un regolamento di Danville – Pennsylvania – che prescriveva l’obbligo di controllare gli idranti almeno un’ora prima dell’incendio!).
Pago il mio caffè, scambio uno sguardo di complicità col barista che dalle 8 si sorbisce le lamentele di annoiati umarell e me ne vado.
Quelle frasi, pregne di luoghi comuni, così impersonali con quei “loro” sparsi a casaccio, sono assolutamente “normali” e frequenti tra umarell e leoni da tastiera (i webeti come li ha efficacemente definiti Enrico Mentana) ma non per questo meno fastidiose; io ho visto vigili presidiare una improvvisa interruzione stradale, operai intenti a manovrare una ruspa (una ruspa, non una “RUSPAAA!11!!”). Nessun eroe ma persone pagate per fare un lavoro che stavano facendo.
Fine del prologo.
Mi faccio poi un giretto sui social e sulle testate che frequento più assiduamente tra le quali, ovviamente, Elbareport, con una attenzione particolare per le vicende cavesi.
E la mia piacevole malinconia per il ricordo di mamma (cavese di nascita) che ogni due settimane sostituiva l’acqua delle taniche viene definitivamente travolta dal lamentificio del web.
Sorvolo sul fatto che la discussione sulle terme di Cavo sembra ormai relegata a commenti, peraltro di respiro internazionale, su facebook; per fortuna siamo ancora in uno Stato di diritto e le decisioni (più o meno condivise) vengono (ancora) assunte nelle sedi istituzionali deputate, elette proprio per questo. Va da sé che la delega democratica non sia incondizionata e debba nutrirsi di un altrettanto democratico controllo e stimolo; ma certi toni da tuttologi che spesso rasentano il dileggio delle istituzioni e degli uomini e delle donne che le rappresentano, non avranno mai il mio apprezzamento, neanche se rivolti al mio peggior avversario politico.
Sorvolo anche sul fatto che la “filiera” della pianificazione territoriale sia ormai al collasso al punto che il “combinato disposto” sia ormai in grado di consentire interventi che rasentano la follia e vietarne di virtuosi (come peraltro sosteneva già un certo Franco in questo articolo su elbareport: http://www.elbareport.it/corsivo/item/10135-a-sciambere-del-disegno-della-citt%C3%A0-e-dei-water-a-doppia-pulsantiera).
Sorvolo ancora sulle prese di posizione, sempre rigorosamente categoriche e pregne di certezze assolute, nei confronti dei casotti di legno comparsi sulle spiagge cavesi; c’è ovviamente chi minaccia di ricorrere all’intervento di chissà quale esercito interplanetario (notoriamente pronto a intervenire a chiamata del commentatore di turno), guardandosi bene dal fare la fatica di cercare di capire quale processo decisionale ci sia stato a monte, e chi invece le ritiene le costruzioni più belle mai realizzate da quando l’uomo si è eretto su due dei quattro arti di cui dispone. Ed è assai probabile che alla prima categoria di dispensatori di saggezza appartengano anche coloro che, fino al giorno prima, si lamentavano per l’assenza totale di servizi su quella spiaggia!
Ah la coerenza! A chi non viene in mente la fantastica canzone di Elio e le Storie Tese in cui un lui e una lei si confrontano sulla loro relazione:
Io sono come sono.
Cerca di cambiare.
Sono cambiato.
Non sei più quello di una volta.
E in effetti questo scambio di opinioni tra il lui e la lei di Elio e le Storie Tese calza a pennello anche per l’ultima delle vicende cavesi: il campo boe al Frugoso.
Quando le taniche di scorta da tenere sotto l’acquaio erano la norma c’era una spiaggia bella e selvaggia, spesso coperta di posidonia spiaggiata (“che sporca i teli e rende spiacevole fare il bagno” come puntualmente rileva un acuto recensore su Tripadvisor) che aveva (già negli anni ’70) un unico difetto: alle 10 del mattino si riempiva di barche a non più di 30 metri dalla battigia, ognuna con la propria ancora ben incastrata tra la posidonia, e col proprio tender rigorosamente con motore a due tempi con cui raggiungere, rigorosamente a motore freddo e fumante, la spiaggia.
Risale a pochi anni fa, se non ricordo male, l’iniziativa di istituire un campo boe col doppio scopo di evitare i danni delle ancore e di tenere le barche a debita distanza dalla battigia. Il cacio sui maccheroni pensai!
Anche io preferirei una spiaggia del tutto selvaggia, senza barche, ma anche senza bagnanti (con la sola eccezione del sottoscritto ovviamente), senza spazi in concessione, senza “profumo” di cocco e chiazze iridescenti di creme solari, senza navi né bianche né, soprattutto, gialle che portano gente all’Elba, e magari col passaggio dei tonni e degli squali tra la costa e l’isolotto dei Topi come mamma raccontava della sua infanzia. E infatti la mia stagione “turistica” inizia a Settembre e finisce a Giugno dell’anno successivo!
E invece no! “Loro” hanno deciso (complici anche “loro” di big-qualcosa?) che i primi 100 metri siano per i bagnanti (e solo per loro) e che solo oltre possano starci le barche. E no, non va bene neanche questa!
Per Legambiente impedire alle barche (la cui presenza prescinde dalle volontà sia di Legambiente che del Comune di Rio Marina che della Capitaneria di Porto) di calare ognuna la propria ancora e di avvicinarsi alla spiaggia tanto da rendere pericolosa la balneazione significa “privatizzare i beni comuni”.
In effetti lo è, almeno quanto decidere che per non fare parcheggiare le auto dentro la Fontana di Trevi le si debbano/possano lasciare al parcheggio pubblico. Lo è quanto riservare una importante area del Comune di Fiumicino solo agli Airbus A380 e ai Boeing 747 impedendone la fruizione collettiva. Pensate che bello sarebbe poter passeggiare sulla pista di Fiumicino (si, anche a costo di far atterrare un 747 davanti a casa). Lo è come il divieto di fare tuffi dalla banchina dell’alto fondale a Portoferraio!
Si poteva fare diversamente? Non sono esperto in materia ma non ho motivo per dubitarne. Ci sono tecniche (ancora) meno impattanti? Benvengano! Ma ormai per il prossimo anno. A meno che non si decida che sia opportuno e lecito che la complessa (fin troppo) filiera decisionale si possa e si debba poi sottoporre al giudizio popolare istantaneo (rigorosamente ex post) misurabile in click; e, permettetemi, nonostante tutto io preferisco che a esprimere un giudizio siano ancora enti locali, ministeri e capitanerie. Si costruisce un ospedale ma, prima di dichiararne l’agibilità si chiede il parere della ggente; se i like superano i pollici versi bene, altrimenti lo si abbatte per aprire, subito dopo, una petizione contro lo spreco di denaro pubblico.
Io temo molto più la “elezione” di candidati sindaci con 17 click (come nel caso di Monza) che un parere tecnico o una decisione politica, magari non condivisi, espressi nelle opportune sedi.
Sia chiaro, non voto a Rio Marina, non nutro particolare simpatia per le politiche (soprattutto in materia di pianificazione territoriale) delle Amministrazioni riesi (né dell’attuale né, tanto meno, delle precedenti), non ho perso occasione per esprimere le mie critiche sia pubblicamente che nelle opportune sedi istituzionali ereditando degnamente il ruolo di bastian contrario per il quale era noto mio nonno Aurelio. Ma a forza di al lupo al lupo si rischia davvero di non capire più quando il lupo c’è davvero!
E sinceramente io all’anarchia di barche e tender al Frugoso, preferisco avere la certezza che almeno nei primi 100 metri potrò nuotare tranquillo e beato (nonostante la “fastidiosa” posidonia oceanica)!
Ah, se qualcuno avesse una pertinente risposta al signore che al bar si chiedeva come mai non avessero avvisato del guasto all’acquedotto mi faccia sapere!
Franco Filippini