Già in passato mi è capitato di narrare un episodio accaduto in tempi lontani, quando ancora vigeva la precedente legge elettorale per gli enti locali, e le maggioranze si formavano in consiglio comunale dove si eleggevano i sindaci.
Ero all’epoca segretario della sezione del PCI un ruolo che mi imponeva di trascorrere la maggior parte del tempo libero tra quelle mura, anche solo per “tenere aperta la sezione” a disposizione di qualsiasi iscritto o cittadino volesse chiedere notizie, protestare o confrontarsi sui temi della politica soprattutto locale.
Ogni sera verso le otto chiudevo e quasi sempre mi trovavo a scambiare due battute con il Geometra Angiolino Vai che aveva studio sullo stesso pianerottolo. Anzi quell’incontro di fine giornata diventò così rituale che se Angiolino si trovava a chiudere un po’ prima, non mancava di entrare lui, di fede democristiana, nella tana del lupo per spettegolare un poco degli ultimi fatti della politica prima di cena.
Il mio interlocutore, marcianese di origine, aveva un eloquio fortemente paesano, divertente, ed una acuta capacità di valutare le persone e di capire le diverse “manovre” in atto.
Eravamo una sera all’immediato domani delle elezioni, con le urne che ci avevano regalato una specie di rompicapo: la consistenza dei diversi gruppi e la vocazione a fare la politica dei due forni dei soliti socialisti, che nel caso non si decidevano da che parte buttarsi, rendevano possibili due diverse compagini di governo cittadino e almeno 3 sindaci, e quindi assai incerto l'esito delle trattative.
Saputo quello che voleva da me Angiolino, come riflettendo e contando mentre parlava disse: se fanno la maggioranza di centro hanno tot. Consiglieri… se la fanno la maggioranza di sinistra ne hanno tot … pelo-pelo ma.. – e qui disse dopo essersi guardato ai lati, facendo gli occhi furbi ed abbassando la voce come per assicurarsi che nessuno sentisse – se fanno la maggioranza de li tonti sbancheno!”
Orbene c’è da tener presente che in quel consiglio così sciagattato dalla critica di Angiolino, nel giro di un due o tre legislature si erano affacciati a sinistra gli allora giovani Fratini, Scelza, Alessi, Volpini, i già maturi Paolo Locatelli, Franco Gasparri e Sauro Giusti, ed ancora Giampiero Berti, Uberto Lupi, Daniela Calafuri, e i “ragazzini” come Zini, e sul fronte DC: Sangalli, Bolano, Del Tredici, Provenzali Sr, Benelli, Umbertino Ridi …
Come dire che in quella Portoferraio assai meno scolarizzata e più popolare, nelle elezioni dei trenta (allora tanti erano) consiglieri, si tendeva a selezionare una rappresentanza dei cervelli più nutriti e funzionanti in circolo tra le mura della citta di Cosimo e nei suoi contadi.
E comunque la plebe, democrista o comunarda che fosse, cercava di farsi governare da gente preparata e capace di aprire bocca senza sparare discorsi a cazzo in nome del popolo ferajese, e pure di scrivere un’interpellanza senza compiere delitti ortografici, sintattici e stilistici.
Orbene è quanto meno inquietante notare che pur quel consiglio, che Angiolino crocefiggeva atrocemente con il suo “la maggioranza de li tonti”, in un impietoso confronto con gli ultimi che ci siamo scelti, optando per una metafora calcistica sarebbe sempre un Barcellona Vs Navacchio.
Ma ogni fenomeno ha una causa, e l’obbiettivo scadimento in termini qualitativi della classe degli amministratori è figlio diretto (e forse pure diletto) della crisi dei partiti, del loro contrarsi da organizzazioni di massa (ad esempio: il PCI allora aveva più iscritti a Portoferraio di quanti elettori hanno partecipato al secondo turno delle primarie) dove si formavano politicamente amministratori e dirigenti, quando va bene, in oligarchici clubbini (investiti di onnipotenza propositiva, ma incapaci di avere sufficienti orecchie per ascoltare tutte le persone e sufficienti lingue per parlare con loro).
Perché e come ciò si sia determinato è discorso complesso, che ci condurrebbe assai lontano; mi interessa di più come uscire dal processo di decadenza, e nelle ultime settimane un’idea me la sono fatta, stabilendo un’equazione inversa con il noto aforisma di Francis Bacon “se Maometto non va alla montagna sia essa ad andare da Maometto”, cioè: se i cittadini non vanno più ai partiti siano i partiti ad andare tra i cittadini. Ed in linea con ciò vorrei enunciare un personalissimo slogan: “MAI PIU’ UN’ALLEANZA DI CENTROSINISTRA SENZA PRIMARIE”.
Da oggi in poi, la risposta fornita dall’elettorato nelle ultime due domeniche obbliga chi a diverso titolo ha voce in capitolo, a far sì che non siano i partiti, ma l’area potenzialmente elettorale investita, a determinare le candidature alla rappresentanza in tutti i gradi di elezione.
Mi augurerei di convincere chi sta, come me, a sinistra, così come saluterei l’avvio di un simile processo sull’altra sponda.
Atteso anche che credo che il popolo della sinistra sia molto più unito di quanto risultino i suoi più o meno autorizzati vertici, ed atteso che ciò mi pare di riscontrare anche nell’elettorato moderato, penso che potrebbe essere questa una strada per farci diventare un paese normale, dove si riesca a realizzare una condizione che a prima vista potrebbe apparire una contraddizione in termini: quello del pluralismo bipolare garantito dal voto dei cittadini, ovverosia di una democrazia finalmente compiuta