Settimana pesante: Nino, Pietro e Gigi, nel giro di poche ore sono partite per l'ultimo viaggio tre brave e oneste persone che avevano in comune molti tratti, a far capo dalla vivace intelligenza, la gentilezza d'animo, la curiosità verso il mutare del mondo.
Su Pietro ho scritto qualche troppo frettolosa riga, di Nino a cui mi legavano vincoli di parentela ho preferito lasciar parlare altri, su Luigi Villani spenderò un po' della mia notte, incominciando a tagliare le decine e decine di spunti che mi arriverebbero dall'Epopea del Bar Roma, un luogo dove ho trascorso un tempo infinito, uno dei posti dove sono cresciuto ed ho imparato a rapportarmi col resto di quella un po' ruvida ma genuina umanità ferajese che vi albergava.
"Giovanottino - fui apostrofato mentre, sedicenne o giù di lì, cercavo di entrare nel sancta sanctorum della sala giochi (carte e biliardo) - di là lei non può andare...". A tuonare la diffida era stato il vecchio Sor Umberto ancora "dominus" del bar; restai fermo e impacciato nei miei vestiti "beat" e sotto la "ceppata di capelli" che dovevano provocare profonda repulsione e sospetto nel quasi asburgico proprietario, ma vidi che Gigi si avvicinò al padre soffiandogli qualche parola nell'orecchio."Beh per questa volta vada..." anche se il tono era lo stesso, niente affatto amichevole, ero stato graziato, per sicura intercessione di Gigi, che forse mi aveva identificato come figlio di Beppe detto Tardò, abituale cliente del Bar, e quindi per jus sanguinis persona abbastanza corretta ed affidabile.
Fu il primo dei miei numerosissimi impatti con Gigi, che non mi chiamò mai "giovanottino" ma sempre per cognome pur dandomi del tu, e prendendosi del rispettoso "lei"; non so perché, ma gli stavo simpatico pur da ragazzotto parecchio comunista e un poco scapestrato, non mi snnobbava, mi poneva domande mostrando interesse a quel che dicevo, sollecitandomi perfino a parlare nelle discussioni - non sempre solo "da bar" - che fiorivano, specie nel pomeriggio, nella sala tv, dominata dalla cassa sulla quale Gigi restava per ore appollaiato.
Ricordo un memorabile "triello" sui diritti degli omosessuali (parliamo di mezzo secolo fa) con chi scrive a spalleggiare le aperte opinioni di Gigi, e Teodolindo che ribatteva prendendoci ferocemente per il culo entrambi.
Era un uomo "avanti sui tempi", cattolico ma non bigotto, democristiano ma capace di uscire con Giampiero Berti dalla DC (come più tardi avrebbero fatto proprio Pietro Monfardini, Fratini gli Scelza ed altri) quando sentì che la proposta politica dello scudo crociato si era fatta indecente.
Più che leggere pareva nutrirsi del Corriere della Sera che campeggiava ogni giorno aperto sulla cassa, e dal quale traeva spunti per osservazioni mai banali.
Aveva, in tempi nei quali pochissimi conoscevano il significato del termine "ecologia", maturato una straordinaria sensibilità ambientale.
Ed all'amore del paesaggio è legato l'ultimo ricordo che ho di Gigi che trovai tempo fa alle Ghiaie arrabbiatissimo, indignato.
Avevano costruito quella brutta cancellata-incannucciata che oltre a blindare definitivamente la Cala dei Frati, precludeva un magnifico scorcio, la vista del mare che un tempo accompagnava chi saliva verso la Padulella o ne discendeva.
"Che diritto hanno - diceva - questi prepotenti, di non farci vedere più il mare?"
Ciao (anzi arrivederla) Gigi, la lascio con l'augurio che un giorno, almeno i suoi ed i miei posteri, accorgendosi di che bestialità, che impunita violenza è mettere in gabbia il mare, che crudeltà è una tale cecità forzata, siano colti da un ravvedimento operoso, e consentano nuovamente agli sguardi degli umani di perdersi, da là, fin dove il mare e il cielo si impastano.