Caro Franco
ancor più che triste comincio ad essere un po’ incazzato a dover scrivere un altro pezzo su qualcuno che è stato parte della mia vita e che viene a mancare.
Si lo so, dovrei razionalmente pensare che gli anni passano ed un evento come questo diventa sempre più probabile con lo scorrere del tempo, il fatto è che la nostra esistenza, la nostra personale esperienza non la viviamo mai con lo stesso distacco con il quale siamo capaci di leggere la storia.
Sai Franco, appena qualche giorno fa, pensavo alla nostra memoria auditiva, al meccanismo che ci stampa nel cervello il suono unico ed inconfondibile delle voci di chi conosciamo, e che resta molto più nitido di quanto una eventuale riproduzione tecnica riesca a ricordarcelo.
E, quando tua figlia mi ha detto, da migliaia di chilometri di distanza, quello che era accaduto a tre passi da casa mia, cioè che avevi chiuso, appena prima di transitare per la ottantunesima primavera, la tua parabola, è la tua voce che ho risentito.
La tua voce in un’occasione precisa: un’assemblea del PCI di Portoferraio, in una sala zeppa di gente così attenta che tra una e l’altra delle tue parole si sentiva il lievissimo rumore dei tubi al neon.
Non sto ad annoiare gli altri che leggeranno queste righe, raccontando il dettaglio, quello che era l’oggetto del contendere, ma si trattava di un passaggio importante, di un cambio di linea politica e di “strattegia” come dicevi tu, con due “t”, perché eri un po’ naif, e secondo me ci marciavi pure sul tuo “non aver fatto le scuole alte”.
Ricordo che quel cambiamento lo avevamo caldeggiato anche Danilo ed io (strano e non accaduto molte altre volte che ci trovassimo tutti e tre in sintonia), ma tu riuscisti a convincere anche i più recalcitranti, senza citare per titoli come avevo fatto io Vladimir Illic Ulianov: “Estremismo malattia infantile del comunismo”, con una “volgata” efficacissima la cui sintesi poteva essere: “Bisogna essere rivoluzionari cambiando le cose sul serio, no a discorsi”.
Il senso della concretezza ti riusciva bene trasmetterlo: eri stato un po’ tutto nella vita: operaio sindacalista in miniera, segretario dei comunisti dell’isola, albergatore, amministratore e poi imprenditore di conclamato successo.
Abbiamo litigato “spesso e volentieri” in quegli esaltanti anni ‘70 Franco, per trovare comunque poi sempre una composizione, in un partito dove avevano dignità di esistere i riformisti come Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano (che erano tuoi ottimi amici anche personalmente), i “radicali” come Pietro Ingrao, i mediatori di valori come Berlinguer, grandi personaggi del pensiero dei quali, a livello locale, per tornare alla riunione di cui parlavo all’inizio, cercavamo modestamente di essere interpreti tu, io e Danilo.
E fa riflettere il fatto che allora tu non avevi compiuto quaranta anni, Danilo ne aveva poco più di trenta ed io una ventina. E’ davvero impietoso il confronto con i partiti di oggi “a guida bambocciona” dove è grasso che cola se ci trovi truccato da giovane uno che avresti definito “omo fatto”, quando non degli attempati coglioni mascherati da giovani leoni.
Ci siamo scontrati, ripeto, ma credo senza mai perdere la reciproca stima, quella stima che mi ha sempre radicato nella convinzione che tu fossi l’uomo del P.C.I. più “creativo” si direbbe oggi, più capace di “inventare la politica”.
Se chiudo gli occhi ti vedo ancora con i “pizzini” sui quali prendevi i tuoi appunti e infilavi, curiosamente arrotolati nel bracciale dell’orologio, o nell’anello con la pietra rossa che portavi al dito, con quella pettinatura anni 50 per la quale Patrizia ti prendeva sempre in giro.
Ti vedo seduto alla rovescia sulla sedia, con le braccia appoggiate allo schienale seguire attento, con gli occhi puntati, qualsiasi intervento, anche il più sgangherato, e poi partire con la testa incassata tra le spalle con uno dei tuoi martellanti ragionamenti.
Si Franco, la tristezza non ti si addice perché è troppo contigua alla sconfitta alla resa, sono incazzato perché non ci sei più, e perché per continuare a combattere in nome di quelli che erano e sono i nostri comuni valori, essere incazzati aiuta.
Ciao
Sergio