Sono passati 35 anni, 35 lunghi anni.
Avevo appena dato il primo esame all’Università. Partimmo per la finale, per quella Coppa che ancora ci mancava. Ci bruciava ancora la sconfitta di Atene, quel goal, che delusione. Nonostante Atene, i 40.000 italiani, la mia prima volta in aereo.
Partimmo in autobus, dovevamo cominciare a soffrire presto, anche questa volta. Ne valeva la pena. Avevamo già battuto il Liverpool in una fredda, bianca notte di gennaio. Potevamo farcela, almeno così speravamo.
Quando ti metti in viaggio per una partita, per divertirti non pensi mai, neanche di fronte all’evidenza che possa andare diversamente, che possa succedere qualcosa di diverso.
Lo stadio era fatiscente, bastava un calcio del mio sandalo misura 36 per sbriciolare un gradone. Quei cavalli poi cosa ci stavano a fare in mezzo a migliaia di spettatori. Ma giocava la Juve, andava bene lo stesso. Gli inglesi avevano bevuto, erano ubriachi, ma state tranquilli non succede niente, deve giocare la Juve. E poi due anni fa ad Atene non potevamo neanche alzarci in piedi allo stadio che dei solerti gendarmi ci invitavano subito a sederci.
Abbiamo viaggiato ininterrottamente per due giorni, arriviamo a Bruxelles nel pomeriggio. Che ci interessa del centro, andiamo subito allo stadio, gioca la Juve…
Il mio vicino allo stadio mi chiede se ho fame, mi offre un panino, estrae dalla sua borsa il pane, un salame e comincia ad affettarlo con un grande coltello. Ma come allo stadio con un coltello, si ma ho fame, mangiamoci questo panino, aspettando la Juve…
La partita non comincia, dall’altra parte c’è confusione, gli inglesi sembrano invadere la zona degli italiani, qualcuno scappa, arriva un signore e piange. Ma che succede? Niente, andiamo deve giocare la Juve…
E dopo la partita, il rigore, il giro del campo. Usciamo, speriamo che gli inglesi siano ancora dentro. Un inglese piange e ci dice “Sorry”, ma che fa, ha bevuto, si scusa, ma di cosa?
Saliamo sul nostro autobus e dalla radio veniamo a sapere che la Juve ha vinto la Coppa, quella Coppa stregata, ma ci sono oltre 30 morti dentro lo stadio, però…
Non avevamo voluto crederci, doveva giocare la Juve, per quella Coppa. Invece era vero. C’era stata una strage.
Conservo ancora il biglietto della partita, zona N, siamo stati fortunati. Conservo ancora quel brandello di maglia di Tardelli, la sua ultima partita in bianconero. Ha ragione lui, che vergogna festeggiare, che vergogna il giro del campo, che vergogna lanciare la maglia. Ma c’era la Juve, c’era la Coppa chi poteva immaginare…..
Solo durante la notte riuscimmo a comunicare con le nostre famiglie e far sapere loro che noi stavamo tutti bene, noi, solo noi, però.
Sono tornata a Bruxelles, ci sono tornata qualche anno fa. Per lavoro, con una classe di giovani elbani. Abbiamo incontrato dirigenti dell’U.E., abbiamo parlato di sviluppo e finanziamenti, ma ho voluto portarli anche all’Heisel, volevo che capissero. Peccato che non c’è più. C’è il “Baldovino”. Una piccola targa ricorda il 29 maggio del 1985. La solerte Addetta al Marketing, dopo aver sentito la mia storia, ci fa entrare, ci fa calpestare l’erbetta. Mi regala un libro sulla storia dello stadio. Una paginetta sola per quel 29 maggio. Vergogna, civile Belgio, vergogna.
Dopo trentacinque tra qualche giorno, forse ricomincia il campionato, in un anno incredibile che ha visto cambiare le sorti del mondo, un passo verso una normalità che però da quel giorno per molte famiglie non c’è più stata.
Ho continuato a seguire la Juve, ovunque, con il mio babbo ed oggi con mamma ed i miei cuginetti, ai quali trasmetto la passione per la Juve ed il rispetto per l’avversario, come per il prossimo.
Per quelli che erano lì con noi ed oggi non ci sono più, per continuare a sperare che una partita di pallone rimanga sempre una partita di pallone, anche se è una finale, anche quando gioca la Juve e tu sei un avversario.
Camilla Bonelli
Juventus Club Isola d’Elba