Dobbiamo arrenderci alla privatizzazione della memoria?
In altre epoche, forse in altri paesi e comunque, come dovrebbe essere, la memoria era patrimonio e privilegio pubblico, era l’essenza di un popolo, di uno Stato e della democrazia, erano la ragion d’essere e la ricchezza dell’uno e dell’altro; erano la storia, la storia che si tramanda di padre in figlio e via via si arricchisce. La memoria era pubblica.
La necessità di memoria della shoah e dell’olocausto, la memoria dell’antifascismo e dei suoi valori fondanti, la memoria delle inutili grandi stragi civili, la memoria degli atti e delle vittime del terrorismo e delle mafie, la memoria dei Falcone e dei Borsellino, dei Rossa e di Bologna, di Brescia e dei La Torre, dei Puglisi e dei Moro, dei tanti Carabinieri e poliziotti morti in servizio senza un perché e di Ustica, memorie, memorie, memorie.
Cosa sta rimanendo di tutto questo? Poco e nulla, potenziali memorie travolte ed offuscate dalle ignoranze, dai depistaggi, da collusioni strane ed innaturali, dalla rinuncia a cercare la verità, da indagini volutamente raffazzonate e rinunciatarie, quasi paurose di oltrepassare limiti non scritti, ma non paurose di offendere le dignità.
Solo i testimoni superstiti di quei fatti, solo i figli ed i parenti delle vittime , solo alcuni meravigliosi personaggi rimangono a cercare ostinatamente e lungamente le verità oltre le carte processuali, a delineare i reali profili degli involontari protagonisti per cercare una ragione profonda o semplicemente vera.
Si sta così creando un insieme, una rete, di singole “memorie private” che, drammaticamente e quasi sempre, contrastano con gli atteggiamenti ufficiali e con le indagini e con le sentenze dettate dalle ragion di stato o dalle compromissioni imbarazzanti.
Memorie private che restano tali perché è difficile, e fino ad oggi impossibile, farle emergere per farle diventare pubbliche e manifeste; che restano patrimonio, socialmente infruttifero, dei parenti e dei figli delle vittime
Perché lo Stato ci propina una targa, un santino, una medaglia, ma non la verità e non la memoria.
Cosa possiamo fare per rendere pubbliche le memorie private e farle uscire dagli ambiti ristretti dei singoli o delle pochissime associazioni di testimoni e di vittime che se ne occupano ?
O dobbiamo arrenderci a questa particolare “privatizzazione” della memoria ?