Mi sono sempre piaciute le pagine bianche, quelle fisiche di un tempo, che odoravano forte di carta e che attendevano pazientemente i graffi della mia stilografica rigorosamente vergati in blu, perché il nero comunque mi ha sempre infastidito.
Allora, se dovevo scrivere qualcosa che reputavo importante, lo buttavo giù sempre a mano, prima di copiarlo con la Lettera 22 dell’Olivetti verde, e prima di iniziare mi soffermavo sempre qualche secondo davanti al foglio ancora candido, sempre pensando (e sempre provando un po’ di stupido stupore) che quel foglio “vergine” potenzialmente avrebbe potuto raccogliere qualsiasi ragionamento trasformatosi in lettere, ricavandone pure un sottile piacere.
Certo stare davanti ad un foglio elettronico bianco, un foglio virtuale “finto” simulato da uno schermo è del tutto diverso: quello spazio da riempire, asettico, inodore, intoccabile, sa un poco di ospedale, genera perfino un po’ d’ansia, incombe quasi.
Oggi davanti allo schermo bianco ci sono rimasto per un lunghissimo tempo, più che in ogni altra occasione in cui ho avuto la necessità di scrivere un pezzo “dovuto”, forzato dagli eventi.
Nel caso di specie quello che mi obbligava a scrivere era il dovere di spiegare, più che di raccontare, ai miei lettori i perché di un nauseante pomeriggio, trascorso a collezionare insulti, i peggiori che mi fossero mai stati rivolti.
Sì, perché quando in risposta ad una presa di culo, che tale resta, si registra una assolutamente immotivata reazione di pura violenza verbale, che mira a colpire quanto hai di più caro: i tuoi “valori”, quelli a cui hai informato tutta la tua vita, per quanto freddo provi a rimanere, per quanto l’attacco sia un diffamante castello di parole senza senso reale, costruito sul travisare sull’ignorare e sul mentire, e soprattutto per quanto sia “discutibile” e "socialmente poco considerato" chi te le rivolge, è impossibile non provare un’acuta sofferenza.
Sono un animale sociale e comunista che si riconosce pienamente dell’articolo 1 di una Costituzione promulgata sei mesi e dodici giorni prima che nascessi, il diritto/dovere al lavoro (ed all’impegno sociale che a mio parere ne deriva) è stata la mia Stella Polare, non ho mai cercato di arricchirmi, non ho mai scritto per la pagnotta, non sono mai stato servile, ho spesso esercitato la professione "scomodamente" smusandomi coi potenti di turno, non ho mai cercato il “potere”, ma soprattutto tra i momenti di più intensa soddisfazione della mia vita c’è stato sempre il trasmettere quello che avevo imparato, il vedermi crescere intorno (ormai tanti) ragazzi, anche professionalmente, ma soprattutto come cittadini coscienti e attivi e veder prendere loro strade, pure molto diverse dalla mia.
Alle miei figlie, ed ai figli degli altri a cui mi sono dedicato, da “educatore non autorizzato”, ho cercato di dimostrare che il rispetto di loro stessi lo raggiungevano riuscendo ad incazzarsi contro le ingiustizie piccole e grandi, essendo intelligenti e non furbi, a chiacchierare, divertirsi ed a sognare ma anche a fare, sudare, lavorare produrre concretezze, rispettando i punti di vista altrui ma non chinando mai la testa davanti ai prepotenti, non cercando vantaggi personali a discapito degli interessi di una comunità, non pensando mai che essere onesti, leali e anche un poco coraggiosi, fosse una “dote”, un “pregio” di cui gloriarsi, bensì considerandola la condizione della “normalità sociale”.
Volevo dirvi, cari amici, che dopo aver a lungo riflettuto davanti al foglio bianco che (anche se non so per quanto ancora mi sarà consentito di lavorare, di essere presente attivamente in una comunità come la nostra, dove sono cresciuto ed ho scelto di vivere), non cambierò, non mi tapperà la bocca il grillesco principino dell’insulto in salsa elbana, né ci riusciranno i suoi eventuali sodali e/o seguaci.
Rispondo e chiudo definitivamente questa sgradevolissima querelle con il rammarico di non avere raccolto per tempo il suggerimento in forma di proverbio di una mia amica abruzzese che cito sperando di non sbagliare: “a arlava’ la cocc a l'asn ci s'arfonn temb e sapon” (a lavare la testa al ciuco ci si spreca tempo e sapone).
E prometto di considerare, d’ora in poi e per sempre, il mio “interlocutore” per quello che merita, come una vacua pagina bianca su cui non c’è scritto proprio niente di serio da leggere, e men che mai a cui rispondere.