Non abbiamo mai capito perché le autorità ecclesiastiche decisero a suo tempo di dismettere la piccola e deliziosa chiesetta originaria di San Giuseppe (ora sede di un ristorante), per costruire quella pacchianata di baraccone cementizio che è l’attuale Chiesa della Sghinghetta, appena un po’ ingentilita dalla ceramica di Italo Bolano che campeggia sulla facciata, ma finita di assassinare da un orripilante campanile “a vista” e sciagattata da una serie di scombicchierate superfetazioni appiccicate, a mentula di veltro, sul lato monte, almeno prima celate dalla vegetazione, ma ora offerte senza carità cristiana di sorta agli sguardi più sensibili.
Orbene se quel complesso si limitasse a fare architettonicamente schifo, sopporteremmo il suo insistere nel nostro quotidiano campo visivo con laica rassegnazione, ma se il feroce attacco viene condotto oltre che al senso della vista anche a quello dell’udito, la musica – e il caso di dire – cambia.
Già anni fa ci trovammo in aspra polemica con un parroco “scampanatore” che ci allietava i mattini della domenica con dei festevoli din don a partire dalle ore 7.30 fino alle 8, che ci fecero segnalare per iscritto a chi di dovere, che il sottofondo del coro dei moccoli provenienti dal vicinato tutto che ben si udiva a fine scampanio, dimostrava che molte più anime per quell’insopportabile rumore si stavano dannando di quante una messa ne avrebbe potute salvare.
Una domenica che ci eravamo più inquietati del solito, ci portammo sul sagrato ed attendemmo che terminata la funzione i fedeli sciamassero (si fa per dire) e quando l’officiante ci si parò innanzi gli facemmo cortesemente notare:
a) che alla cerimonia religiosa avevano preso parte 17 persone lui compreso;
b) che una buona metà dei partecipanti, per quanto ci era noto, giungeva da (fortunate) zone in cui non si udiva lo scampanare;
c) se riteneva “cristiano”, nell’unico giorno per molti dedicato al riposo, rompere i coglioni (minimo) a 6/700 persone per avvertirne una decina scarsa,
E, per dimostrare la nostra volontà di collaborare al mantenimento dell’esercizio della libertà religiosa, ci proponemmo di finanziare personalmente, in cambio del silenzio mattutino, l’acquisto di 17 radiosveglie da sintonizzare su Radio Maria o altra stazione a piacere, da destinare agli orbati dell’avviso campanario.
Non sappiamo se i nostri interventi incisero, comunque di lì a poco almeno la perniciosa abitudine dei garruli rintocchi a tanto presta ora dei giorni di festa, fu abbandonata con sollievo nostro e di molti altri condomini, casigliani e vicini.
Negli anni e nelle diverse reggenze si alternarono evidentemente parroci più o meno scampanatori, tutti ugualmente odiati dal cane della nostra vicina Sandra al quale, come a molte altre povere bestie, il suono delle campane provoca un acuto dolore fisico, e più o meno tollerati dai bipedi dimoranti in zona.
Ma da qualche giorno a questa parte i “companeros campaneros” della Sghinghetta hanno una nuova micidiale arma: al suono bronzeo (rompicazzo come ognora, ma almeno genuino) delle tradizionali campane, ne è stato accoppiato “uno sintetico” diffuso da amplificatori, che probabilmente vorrebbe farsi intendere come una frase musicale, ma che risulta di una tale stonatissima bruttura e sgradevolezza, da apparire come l’opera scritta sotto tortura da un maestro di banda tirolese completamente ubriaco.
A questo punto cominciamo a pensare seriamente ad una ritorsione, ed attrezzarci (siamo stati del mestiere) in modo da controinondare la valle, in occasione delle scampanate sintetiche con pezzi del repertorio anticlericale anche più becero: dal classico “E quando more un prete” a “Libera nos Domine” da “Che bella Cappella” al nostrale “Vorrei che il Vaticano andesse in fiamme”.
“à la guerre comme à la guerre!”