Riassunto delle puntate precedenti. Un detective (invero scarsino, ma questo passa il convento) sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. Gli indiziati massimi sono per ora tre. Ma non sono i soli.
Il pucinco non si è sforzato tanto nel dare il nome a casa sua: di Poggio in Italia se ne contano in abbondanza, e uno è diventato famoso in tutto il mondo grazie alla ciclistica Milano Sanremo. Ma sul suo nome personale ha mostrato acume. Poteva chiamarsi poggese, poggiano o poggino, e invece si è chiamato pucinco. Con quel suffisso di derivazione antica e colta, dal latino “incola”, ovvero abitante.
Il suo pur interessante passato ha pochi guizzi, denotandone il carattere placido. Coltivava alcuni distinti titoli nobiliari quali contadino, pastore e carbonaio. Detesta senza strafare il fratello marcianese, invidia senza troppa acredine l'intraprendente fratellino marinese. Ma la sua disgrazia è stata il cugino ferajese.
Nel giardino del pucinco infatti sgorga un'acqua di prim'ordine, invidiata da tutto il parentame. Così il nostro la portava a vendere agli altri, soprattutto il ferajese, che ha sempre tribolato per avere l'acqua corrente in casa. E quando alla porta del ferajese si presentava questo ometto di vago sembiante, dall'aria rubizza del montanaro, sempre di umore giocondo; il cuginetto si macerava di invidia. Perché lui aveva l'aspetto smunto ed emaciato di chi, per togliersi lo sfizio di avere la ferriera in casa, ci rimette in salute.
Ora, un altro parente, mettiamo il longonese o il capoliverese, a vedere il pucinco, gli avrebbe detto: “Ma come ti trovo bene! Ogni anno migliori! Ci dovrei venì più spesso a casa tua!” Ma il ferajese no. Come abbiamo visto dal suo identikit, lui è capriccioso, pesta i piedi e pretende. E così esclama: “Voglio Poggio, santo diavolone!”
Ebbene, a un certo punto, al tranquillo pucinco è toccato sopportare ogni estate l'invadente cugino, che nella casa del nostro spadroneggiava come se fosse nella sua. Ma la disgrazia non finisce qui. Il ferajese gli costruisce un villone da borghese di alto bordo, proprio accanto alla sua umile dimora. Voi direte: si è fermato qui. No, perché il ferajese (anche questo lo abbiamo acclarato) è vanesio.
Gli cambia pure i nomi del giardino. E va a chiamare Paolina uno scoglio e Napoleone una sorgente. Il pucinco timidamente gli fa notare: “Ferajè, lo scoglio si chiamava Castiglioncello e la sorgente Acquaviva. 'Un saranno un granché come nomi, ma io l'ho sempre chiamati così. E poi Paolina all'Elba c'è venuta d'inverno. Mica si metteva a fa' al bagno a gennaio. E Napoleone? Diciamoci la verità: se la intendeva più col marcianese che co' me.” E il ferajese: “Pucì, lascia andà. Che coi Bonaparte attiriamo turisti”.
Altra alzata d'ingegno. Gli cambia pure il nome di casa in Poggio Terme. “Ferajè, vabbè che la mi' acqua è bona, ma mica termale!” E il vanesio: “Pucì, i turisti so' boccaloni, gli dai a d'intende' tutto!”
E ormai al culmine dell'egomania, trasforma pure la suddetta villona in grand hotel royal/imperial/kolossal. E l'umile pucinco: “Ferajè, ma 'unn'è meglio fa' una pensione alla bona, come si dice oggi, a conduzione familiare?”. “Pucì, ti porto le belle topone nordiche in casa e c'hai pure da ridì? Sai che c'è? Ora m'hai anco un po' rotto i 'oglioni!” E come al solito, da permaloso qual è, piglia e se na va, bofonchiando: “E io che mi ci 'onfondo co' 'sti trogloditi di parenti!”
E così dopo una sbornia di turismo, oggi tutte quelle attività turistiche sovradimensionate per una casa così piccola e umile, il pucinco le ha perse in un amen. Però almeno si è ritrovato con la dimora meno chiassosa di quella tanti suoi cuginetti. Adesso il turismo lo fa in maniera più discreta e ai suoi ritmi. Perché il pucinco, il meglio di sé lo dà quando è fedele alla sua tradizione.
E il pucinco alla tradizione ci tiene. Dove, se non a casa sua, tutto trasuda di genuini costumi? Solo il pucinco poteva fondare un'accademia del bello. Prendete i nomi di vie e piazze. Solo il pucinco poteva spintonare in un canto i personaggi famosi per mantenere gli aviti appellativi: “O Umbè, sarai stato anco re, ma qui è piazza del Reciso! Fatti da parte!”.
E così quando il pucinco dà una festa, si gode il merito, enfiando il petto, di farlo nel rispetto del suo costume e della rustica genuinità della sua schiatta. Non come lo spocchioso capoliverese, con le sue feste mirabolanti, inquinate da dozzinali “dress code”, “world edition”, “welcome to” e via stonando.
Il pucinco si è costruito una casa a misura perfetta, sfruttando bene ogni centimetro di quel gradino di roccia. Per cui fin dalla nascita sa che in casa sua i passi e i movimenti vanno calcolati bene. Un passo più lungo della gamba, uno scatto improvviso, e capitomboli giù dalle greppe delle Pente o del Rimercoio. O vai a sbattere la faccia sulla pettata di Montecristo (la località, non l'isola). Le strade che portano alla sua magione non sono mai dritte, ma sembrano avere sempre un tornante in più di quelle dei cugini, e la salita sembra interminabile, anche se la sua casa sembra sopra la tua testa. È per questo che mostra di sapere meglio dei parenti che il territorio è meglio non violentarlo, o ti si ritorce contro. Ecco perché casa sua si conserva più intatta di tutte le altre.
Il pucinco è uno dei più devoti di famiglia. Ha una grande considerazione per i propri santi. Non c'è nessun altro parente che si sforza di farli stare il più al loro agio possibile. Per esempio poteva costruirsi la dimora un po' più in basso, su una piccola piana. Invece ha preferito lasciare tutto quello spazio per la bella casa di Lorenzo. Per far stare comodo Niccolaio ha quasi fatto a spintoni con le mura di casa. A Defendente ha regalato una casa anche troppo spaziosa per le sue umili risorse, ma l'importante è che qui ci si trovi bene. A Cerbone ha detto: “Sor Cerbò, 'un vi gelate l'ossa