Il rimpianto “del bel tempo che fu” è un classico vezzo dei più anziani, che spesso confondono il loro lontano benessere, derivante dall’essere giovani e almeno forti (anche se non proprio bellocci), con un “benessere oggettivo”.
In realtà molto spesso i “bei tempi che furono” ad analizzarli con il necessario distacco, furono per molti versi dei tempi di merda, in cui c’erano maggiori ingiustizie sociali, meno diffusa cultura, meno pubblica salute, e trionfava pure un’etica pretigna ed oscurantista che trasformava gli individui in represse pentole a pressione piene di pulsioni.
Non parlo di epoche storiche così distanti nel tempo, ma di giorni che furono anche miei e di una generazione come la mia, che ha avuto la ventura di vivere rivolgimenti e stravolgimenti, straordinarie conquiste e “Due passi avanti un passo indietro” ad assistere al sistematico gioco dell’onda e della risacca della storia, chi facendo il tifo perché l’onda si alzasse ed allungasse, e spaccasse altre pietre necessarie a costruire i litorali del futuro, chi sperando che smorzandosi quanto prima ricostituisse la quiete.
10 Agosto 1968 notte di San Lorenzo – quarantacinque anni esatti da oggi – in ristretta compagnia, nei numeri giusti per parlarsi ed ascoltarsi, andammo a fare una gara di caccia alle stelle cadenti sdraiati sulla spiaggia delle Ghiaie, con gli occhi a settentrione affondati nel buio, rotto di tanto in tanto da una fulminea striscia, le allora modeste luci artificiali della costa non creavano poi tanto disturbo, ci fu chi riuscì a contarne tredici prima di cadere, ultimo della compagnia, nel sonno, sulle Ghiaie, dove solo i ferajesi, con quel tanto di fachiresco che hanno, riescono a camminare spediti e pure a dormirci.
Ancor prima si era verificata una incredibile congiunzione, non astrale ma fonico-musicale; da un vicino juke-box venivano le note di “Sittin' on the Dock of the Bay” ed il suono delle lente onde di San Francisco (Frisco Bay) riprodotto nel disco, si accordava perfettamente per tono e ritmo con quello che in diretta ci mandava il mare un po’ lungo di “gobbione” di quella notte.
Bene, cara Assunta e lettori subordinati, limitatamente a questo caso credo che quello che fu, fu tempo più bello dell’odierno vissuto, e non solo per le contingenti deiezioni idrodiluite, che ieri hanno fatto notare ad un bello spirito: “Potremmo sempre dire che le macchie blu che screziano le Ghiaie sono il prodotto del “Sudore degli Argonauti” e l’odore che si sente lo storico retaggio delle “Cacate degli Argonauiti”.
Su quella spiaggia gabbiani fieri e non ancora “gallinizzati” non si avvicinavano a meno di venti passi da una persona, in particolare sotto i muretti c’erano le Ghiaie più belle e più grosse che negli anni, generazioni di indisturbate “mardole” (ladri per gli italiani) più che altro foreste, si son portate via a secchiate e anche a camionate, per guarnire giardinetti ed aiuole private, lasciandoci in pratica solo “lo spezzatino” di ghiaia. Nella parte ad ovest c’era una contigua deliziosa caletta divisa dalle Ghiaie da un separè di roccia, del tutto distrutta da una schifosa cementificazione gradonante degli scogli che in qualsiasi paese civile sarebbe già stata demolita e rimossa e riaffidando al mare il compito di “rinaturalizzare la costa”, che è il suo mestiere.
In quella spiaggia si respirava davvero l’odore di una libertà per centinaia di metri senza concessioni e concessioni mascherate, senza sedie e poltrone, ombrellini e ombrelloni, lettini e lettonzoli allineati e coperti come soldatini, che l’hanno snaturata e violentata quella che fu la Spiaggia delle Ghiaie.
I moderni emuli di Giasone non sono più alla ricerca del Vello d’Oro ma del LiVello tollerabile di presenza dei colibatteri fecali, siamo caduti molto in basso.