Non è facile vincere la mia natura pigra e ursina, per farmi abbandonare la confortante e fresca magione di val di denari, e per immergermi nei turbinii delle accaldate serate estive, ma ogni tanto mi capita di uscire, di norma con l’obiettivo di mettere i piedi sotto il tavolo, magari per mangiare qualcosa di sfizioso, senza l’incombenza di averlo dovuto cucinare.
Orbene, in una di queste uscite sono capitato in un esercizio che non conoscevo, che mi ha colpito subito in positivo per la cura degli arredi (magari di una un po’ troppa ostentata “tipicità locale”), e la disposizione del “coperto” con fini stoviglie.
Gentile, rilevavo, pure il personale e interessante la carta che proponeva alcuni elementi di semplice gastronomia isolana a prezzi "decenti".
Avendo anche una certa premura di recarmi con la gentile commensale, ad uno spettacolo programmato nei pressi, concordavamo di non eccedere nell’ordinazione, per non appesantirci, limitandoci ad un solo piatto ed in luogo della usuale bottiglia di vino chiedevamo un calice di bianco e una birra piccola. Entrambi sceglievamo un piatto “isolano”: filetti di acciughe con burro e pane tostato lei, tonnina e cipolla con pomodorini io.
Orbene, visto che in questo angolo di giornale si impartiscono anche delle incidentali lezioni di costumanze elbane, si chiarisce ai non adepti che la tonnina è il tonno in salamoia da consumare crudo dopo che lo si è dissalato e tagliato a fettine: essa è rosacea, ha un sapore particolare ed un “odore di mare” persistente.
Giova quivi ricordare però che con “tonnina”, in queste plaghe, si indica talaltra cosa (una femminea porzione anatomica che Diderot avrebbe definito “un gioiello indiscreto”), tanto che ad esempio è sconsigliabile rivolgersi ad una banconista di un supermercato (come mi capitò) e chiederle “Mi dai un po’ di tonnina?”. A me risposero: “Come, subito qui a battiscarpa ?” “spanciandosi” dalle risate.
Dopo qualche minuto vedevamo la cameriera venire verso di noi con due posacenere rettangolari di circa cm 15X10 che appoggiava sul nostro tavolo, che però constatavamo con un misto di sorpresa, fame e sgomento trattarsi dei nostri “piatti”.
La nostra compagna di sventura vedeva giacere sul suo: n. 4 filetti di acciuga anoressica, 1 nocciolina di burro, 3 “crostini” (proprio “ini”) di pane di cm 4x4xO,5, dalla mia parte 3 “tranci” chiurgici di tonnina (peraltro troppo dissalata, quasi gelatinosa) che ad essere generosi potevano sommare 10 grammi, 1 pomodorino di Pachino spaccato in quattro, una rotellina di cipolla di Tropea del diametro di cm 3.
Ovviamente passati i 45 secondi necessari per masticare il tutto, pensavamo di liberare il tavolo, per eventuali altri clienti arrivati da Lilliput, rinunciando ad ordinare frutta (ci avrebbero portato forse una mora e un chicco d’uva), il caffè di cui avremmo sorbito un generoso ditale da cucito e la probabile caramella al rabarbaro del dessert.
22 euro, di “legnate” ne ho prese certo di peggiori, ma se ci si può incazzare nel ricevere un conto troppo salato o per aver mangiato male, devo ammettere che riuscire a far pagare la gente, che esce con più fame di quando è entrata, è geniale.
Come farsi pagare per fartela solo annusare, la tonnina (quella in salamoia al supermercato eh! .. e che avevate pensato, sudicioni?)