Anch’io, come credo chiunque altro, se fossi stato il capo avrei fatto la sua stessa scelta. Voglio dire levarmi di torno Bondi e promuovere Verdini come braccio destro e gran leccasuole di corte. Il primo tristanzuolo, ansioso, schivo e schiavo, impacciato e maldestro, ridicolo ai tempi di pompei, quando era ministro, quanto poeta da baci perugina nel tempo concesso. Non dico tempo libero perché la parola provoca all’interno del vuoto contorno di Bondi una ulteriore rarefazione.
Il secondo rubizzo, vitalista, arraffone, ultimamente anche evasore confesso (tanto è tutto prescritto), si vede da lontano che l’uomo è d’appetito illimitato, soffre di fame forse atavica, in ogni caso compulsiva. Fame vera di soldi, di potere in quanto funzionale all’accumulazione patrimoniale senza ipocritamente nascondersi dietro princìpi o ideali del piffero. Un vero squalo (mi perdonino i pesci) con file quadruple o quintuple di denti affilatissimi, dotato di mandibole in grado di triturare la ghisa e di un apparato digerente evoluto, capace di metabolizzare oro, cartamoneta, cementarmato, banche, metalli di tutti i generi e qualsiasi cosa sia in grado di produrre ricchezza personale. Insomma, per il capo, oltre che un abile scaldapiedi anche un valido e affamato sottoposto con il quale poter ricordare episodi esilaranti della propria carriera (come quando costrinse mezzo parlamento a dichiarare di credere che Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak) fra grandi risate e luccicar di canini.
Immagino una foto di famiglia con il pregiudicato circondato dai suoi uomini, diciamo così, migliori:
Previti Cesare, Dell’Utri Marcello, ora Verdini Denis. Sullo sfondo, in secondo piano, Lavitola Antonio, Scilipoti Domenico, Santanchè Daniela, Razzi Antonio. Dietro ancora, fra altre ombre, a decine gli Alfano, i Brunetta, i Casini, i Cicchitto, gli Schifani e si potrebbe continuare per pagine, plaudenti e postulanti.
Qualcuno ancora si ostina a definirli un partito, loro stessi, per primi, sono orgogliosi di essere una banda.
il mitile ignoto