A Rio, in quegli anni era in uso che la veglia funebre fosse fatta dai giovani parenti e amici del defunto che (quasi in riminiscenza di ataviche costumanze pagane) per trascorrere le ore di veglia in compagnia, organizzassero, se non proprio un banchetto funebre, una sorta di "merenda notturna".
Chi portava il pane, chi il salame, chi la mortadella, chi i frutti di stagione, però, quello che era sempre presente, era il fiasco del vino.
S’iniziava col rammentare gli episodi di vita del morto, ma poi, fra un assaggio e l’altro, immancabilmente si finiva col narrare fatti di paura con morti e fantasmi.
Quella notte, fra l’altro, soffiava un freddo vento di grecale e la luce andò via, ma poco male: accesero le candele e il narratore proseguì, imperterrito, nel suo racconto.
Quando tutto a un tratto dal fondo della sala si spalancò una porta e si udì una voce che proveniva da una figura di bianco-vestita: "Mario, Mario, dove sei?".
Era la sorella del morto che rimasta senza luce, cercava l'aiuto del nipote Mario il quale aveva lo stesso nome del nonno defunto.
I veglianti-commensali, però, col coraggio di un branco di conigli, recuperate però salsicce e vino in un baleno furono in strada dove, occupata una panchina, tanto per farsi coraggio, ripresero a mangiare… e bere.
Di lì passò il dottor D’Ambrosio che era il medico del paese, il quale ignaro dell'accaduto e mirando tutto quel ben di Dio esposto sulla panchina, disse: "Se tutti fossero in salute come voi, io sarei disoccupato".
Lorenzo M.