Il “maggiolino” color carta da zucchero, viaggiava da Roma a Tarquinia nelle prime ore di un lunedì di fine novembre, sarebbe stata una bella giornata autunnale, ma la nebbia mattutina non si era ancora diradata, su quella già vecchia auto eravamo in quattro: sui sedili anteriori io e Patrizia, gli sposi, dietro i due testimoni, che più diversi tra di loro non avrebbero potuto essere: la settantenne zia Virginia, con la sua acconciatura anni ’40, sordomuta rieducata perfettamente, che non smetteva per un attimo di parlare e leggere sugli specchietti retrovisori le nostre labbra e Stefano appena ragioniere e appena maggiorenne, rockettaro così silente al quale, con una formidabile autoironia, la zia “Giggi” ad un certo punto chiese scherzosamente: “Ma sei sordomuto?” Strappandogli un sorriso pieno
Aveva dieci anni meno di me, lo avevo visto crescere Stefano, era un bimbo quando con suo fratello Ernesto, Alessandro Canestrelli e Lamberto Guerra facevano la nostra “rivoluzione” beat in salsa ferajese (cioè ascoltando Dylan e i Provò … direbbe Guccini, ma anche leggendo Ginsberg e Ferlinghetti).
Mi ritrovai poi a lavorare in segreteria nella scuola superiore che frequentava, mi ritrovai ad organizzare il suo debutto come musicista in pubblico (al basso con Pino Annarella, Marcello Rossi e Paolo Citi) in uno spettacolo costruito da insegnanti e studenti portoferraiesi celebrativo del trentennale della Resistenza, mi ritrovai poi a guidare negli anni ’80, quell’irripetibile cantiere culturale lungo sette anni, che fu la Compagnia degli Alfredini, a cui Stefano (con Riccardo Santini) partecipava con sorprendente duttilità, passando dalle sue elettive corde incazzate e metallare dei pezzi dei Dire Straits di Van Halen che suonava con i “Tabula Rasa”, a supportare le quiete melodie delle canzoni popolari tradizionali della gente dell’Isola.
Su lui, si poteva sempre contare come su Riccardo, Daniele Palmieri, Franco Gialdinelli, Alessandro Beneforti, Francesco Cimino, Gian Mario Gentini, e sulle “bimbe”: Francesca ed Elisabetta Ria, Carla e Raffaella del Torto, Anna e Maria Diversi, Alessandra Mazzei e Daniela Soria, e molte altri/e. Stefano era un’anima di gentile acciaio, una delle nervature che tenevano insieme un gruppo di bei cervelli, di voglia di stare insieme per una creatività a misura d’Isola, una squadra che, anche dopo essersi naturalmente sciolta, doveva continuare a “figliare” musica, eventi, cultura che avrebbero nutrito l’Elba e non solo.
E dopo molti anni ancora un altro periodo di intensa frequentazione al Circolo di Sinistra Ecologia e Libertà intitolato a Patrizia, dove Stefano si era assunto il più ingrato dei compiti, quello di gestire le sue traballanti finanze, con lo scrupolo e la dedizione che lo caratterizzavano, con la stima e la fiducia che lo avevano fatto diventare sul suo lavoro di tassista, il rappresentante dei suoi colleghi.
Perché ovunque Stefano, che continuava a centellinare le parole, riusciva a guadagnarsi, con la dolcezza del suo carattere e con la ferrea onestà, l’affetto e l'approvazione di chi gli stava intorno.
E questo risparmiarsi, quasi proverbiale, nelle esternazioni dirette, faceva sì che ci fosse ancor più grande attenzione alle rare sue parole, mai scontate, mai banali, mai fuori luogo, mai offensive, sempre prodromo di un concreto “fare”.
L’ho visto solo qualche settimana fa, era venuto qui in questa stanza dove sto a scrivere, ancora per parlare di un problema economico e organizzativo di SEL, ci eravamo lasciati con un appuntamento a breve che non ci sarebbe mai stato, per un assurdo incredibile precipitare degli eventi, le notizie del suo stato di salute sempre più gravi, fino alla mazzata di questa mattina: Stefano Castells aveva cessato di vivere a 55 anni, a Brescia lontano dalla sua isola.
Là tra qualche ora le spoglie di Stefano saranno cremate prima di tornare all’Isola, mi impone di scriverlo il dovere di cronista, ma lo scrivo di sfuggita e passo oltre.
In un articolo che non mi sogno neanche di far apparire “di maniera” voglio terminare parlando direttamente con Stefano.
Certo Stefano la tua sfortuna è stata atroce, lo spezzarsi di una vita non compiuta è comunque difficile da accettare, ma sono sicuro che ci hai lasciato con la consapevolezza dell’affetto dei tuoi concittadini, che si riverserà anche sui tuoi cari, su quella grande donna che è Celeste, su Alice ed Elisa che, oltre ad essere belle come il sole, cantano bene, e sono generose nel farci ascoltare le loro belle voci, per quanto tu eri parsimonioso nel tirare fuori la tua.
Caro Stefano, ormai di quel quartetto che viaggiava sul “Maggiolino”, da questa parte ci son rimasto solo io, ma pensa se avesse avuto ragione la Zia Giggi, unica convinta dell’aldilà in quella macchinata di miscredenti, e si potesse ritrovarci a rifarlo quel viaggio, e ancora una volta lei ti prendesse per il culo alla stessa maniera. Ti suggerirei stavolta di risponderle come facesti proprio con me, pochi giorni dopo, nella casa di Vie delle Conserve, dopo aver passato una intera serata da soli ad ascoltare musica. “Cazzo Stefano – ti dissi – in tre ore hai detto un ciao, quattro sì e due no!”
“ Eh –rispondesti ridendo – vuol dire che te hai parlato anche per me, e io so stato zitto anche per te!”
Ciao grande, amico e compagno, Stefano