Mi paiono utili alcune riflessioni su quanto osservato da Andrea Sponza nell’‘A sciambere’ dell’11 gennaio scorso. Il problema che pone, in forma molto garbata, è uno dei grandi problemi di ogni tempo: il concetto di “male minore”, che è il fondamento di ogni compromesso di etica personale, sociale, politica.
A cominciare dall’apparente afferenza al ‘buon senso’, simile ad altrettanto apparenti manifestazioni di buon senso, dalle quali è magari opportuno tenersi a debita distanza: penso al ricordato caso di Montanelli –per curiosa sorte divenuto un paladino della coerenza e della moralità, quasi un ‘compagno’; ma con una storia alle spalle affollata di armadi pieni di scheletri- che nella sua vita pubblica e privata il naso se lo è tappato anche troppe volte; e del resto nel caso più citato se lo tappò poi per votare DC...
Ma veniamo al centro del discorso. Personalmente non ho a portata di mano nessun “signore che costituisca un’alternativa” a Renzi; ma ho l’impressione che presto presto “a mettere a ceccia la cosiddetta Destra”, “a smuovere le acque putride dell’inconcludente politica italiana” ci penserà la povertà montante dei cittadini, la disperazione di fronte all’insormontabile difficoltà di sopravvivere agli impegni dissennati che i nostri governi si sono assunti con l’Unione Europea.
D’altro canto la ragione per la quale non ho nessuno a portata di mano risiede proprio nella sistematica scelta operata dal PD, nelle sue precedenti vite e nell’attuale, di optare per il conseguimento di un presunto bene in alternativa al meglio: perché a mangiare sempre l’‘uovo oggi’, di necessità ‘galline’ non ce ne saranno mai. Anche nella selezione dei suoi uomini il Partito ha sempre scelto il compromesso, e ha divorato (o buttato via) tutte le eccellenze che ha incontrato, perché davano ombra a chi eccellenza non era. Ovviamente questo ha prodotto solo politiche di mediocrità –la gestione dell’ordinaria amministrazione, talvolta con qualche vantaggio personale o di gruppo, ma senza guardare lontano, oltre la siepe “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” con l’intelligenza e la capacità immaginativa che pur fece fiorire il genio di Leopardi nientemeno che a Recanati (il “natio borgo selvaggio”).
Noi stessi, popolo, ci siamo abituati ormai a giudicare secondo il metro della capacità di comunicazione, del carisma da leader, dei sondaggi di opinione modulati sulle apparizioni televisive; e a chiamare ‘democrazia partecipata’ l’alzare o l’abbassare il pollice come faceva il glorioso popolo romano nelle arene, dove comunque combattevano e morivano altri. Lo stesso termine “squadra” di governo o di collaboratori “deve” evocare il “tifo” agonistico, che è ‘attività sportiva partecipata’ da seduti, appunto mentre giocano e gareggiano altri che osserviamo nelle arene televisive. E’ molto difficile che fra gli spettatori nasca un gladiatore, o un campione, o un leader, o una “gallina domani”. E i gladiatori, i campioni, i ‘leader trascinatori’ di sempre, quando aprono bocca, dicono sempre banalità, fanno proclami, promesse da sirena; tanto a pagare non tocca quasi mai a loro.
Della risposta del Direttore vorrei sottolineare due aspetti (a parte il significato del termine fiorentino “pissero”, che significa “tutto perbenino, precisino, ordinatino”, che mal si adatta a Renzi per il qual le malelingue del Capoluogo toscano userebbero piuttosto il termine di significato opposto, cioè “cialtrone”). Dice Sergio: «“Siccome non c’è di meglio votiamo per il meno peggio”. Il problema è che con questo meno peggio segretario del PD, <…>, a parte fare il tifo (molto moderato il mio) per la Fiorentina, non ho niente in comune. La realtà è che Renzi non ha niente a che vedere con la storia i valori e gli intendimenti della sinistra, né italiana, né tantomeno europea; è un moderato, usando la più bonaria delle definizioni…”. Questo punto è assolutamente rilevante. Fino a quando è possibile, ma anche moralmente tollerabile, inseguire il miraggio del “male minore”? Non si finisce per livellare tutta la realtà al minimo comune multiplo della banalità?
E infatti Sergio prosegue: “è quello che vuole guidare il PD e il paese, ma non rinuncia, anzi si ricandida al cadreghino fiorentino”. Già, l’idea omnivora di essere dappertutto, di non voler lasciare niente perché si può fare tutto insieme, di saltare le distinzioni istituzionali perché ciò che conta è la persona del Capo, del Leader; questo è il ‘già visto’ di ogni tentativo ‘decisionista’, laddove la forma è sacrificata all’azione e l’azione giustifica ogni forma. Col risultato che la poltrona di Sindaco di Firenze finisce davvero per diventare un “cadreghino”, se a rappresentare una delle città più ricche di gloria, di prestigio, di storia e d’arte del mondo è un giovanotto che l’amministra (anche bene, secondo me) come se fosse un grande condominio.
Del resto il tema del “male minore” è assai antico. Osserva Eyal Weizman: «Il problema ha origine nella filosofia morale classica e nella prima teologia cristiana. In quest’ultima il problema è stato articolato attraverso il concetto del ‘peccato tollerato’. Ma la questione ha ancora le sue ripercussioni sul presente. Infatti, nella nostra postutopica cultura politica contemporanea, il termine è così profondamente naturalizzato e invocato in una serie di contesti incredibilmente diversi tra loro –dalla morale individuale situazionale alle relazioni internazionali, passando dai tentativi di governare le economie della violenza nel contesto della ‘guerra al terrore’ a quelli degli attivisti umanitari e dei diritti umani di destreggiarsi in mezzo ai paradossi dell’assistenza- che esso sembra aver completamente preso il posto che precedentemente era riservato al termine ‘bene’. <…> Nel contesto della collaborazione dei tedeschi qualunque, soprattutto quelli impegnati nel servizio civile, Arendt ha cercato di mostrare come “l’argomento del male minore” fosse diventato il più importante “armamentario terrorista e criminale”, e come esso fosse stato usato “per abituare i funzionari e la popolazione ad accettare il generale il male in sé” a un punto tale per cui “chi sceglie il male minore dimentica rapidamente di aver scelto ‘a favore’ di un male”» (Eyal Weizman, “Il male minore”, Ed. Nottetempo, Roma, 2009, che si iscrive nella prospettiva a suo tempo delineata dal celebre “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” di Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano, 2007, pubblicato nel 1963).
Di fronte alle scelte rilevanti, la tolleranza del ‘male minore’ –peggio, la ‘scelta’ del ‘male minore’- produce di fatto il pernicioso effetto di distogliere le intelligenze da ogni prospettiva di speranza. Pensiamoci un po’ su.
Luigi Totaro