Non conosco bene Andrea Galassi, ma le poche volte che ci ho avuto a che fare mi ha dato l’idea di una persona intelligente, onesta e di sinistra, tre cose che messe insieme all’Elba rischiano di marchiarti come “strano” o “rompicoglioni”, oppure entrambe le cose. Spero, anzi sono certo, che Andrea consideri Legambiente tra i “quasi nessuno” di quelli che chiedono conto dei loro danni agli stupratori dell’ambiente, ma la sua lettera è l’amara conclusione alla quale sono giunti in molti, in troppi, è l’angolo nel quale vogliono spingerci e ci auto-spingiamo, a volte riuscendoci.
Il primo maggio ero alla festa alle Fortezze di Portoferraio e guardavo la gente intorno a me: un po’ di (ex) sinistra istituzionale che ormai si ricorda del rosso solo per le feste comandate, molto popolo alla riscoperta delle sue radici e della splendente bellezza di una delle più affascinanti città del Mediterraneo, stesa sul mare nel sole caldo di maggio, un po’ di giovani “alternativi” ad ascoltare la musica… Era come doveva essere, ma mancava qualcosa, mancava quel non espresso che ho trovato nella lettera di Andrea, mancava il protagonista collettivo, l’appartenenza ad un progetto. Eravamo (e siamo) tanti atomi che non si attraggono più, un universo di persone che legge gli stessi libri, ascolta la stessa musica, guarda gli stessi programmi televisivi, ha gli stessi eroi e le stesse antipatie, ma fatica a riconoscersi e parlare anche sotto il sole del primo maggio, ognuno con la sua tribù sempre più piccola, ognuno con il suo autismo politico che a volte è il disprezzo per una politica mai conosciuta. Il problema è che in troppi pensiamo di risolvere la questione della nostra solitudine politica postando le nostre idee su Facebook, Twitter o su un blog, ma quelli sono mezzi che stiamo scambiando per fini e che alla fine diventano un mezzo per soddisfare e tacitare la nostra coscienza progressista con un po’ di indignazione ed un’invettiva spiritosa.
Io faccio parte di un miracoloso organismo collettivo, Legambiente, che riesce a far stare insieme le persone più disparate dietro ad un progetto, convinte ancora che un mondo migliore è possibile, ma Legambiente è una parte che guarda la realtà da un’angolazione precisa, l’ambiente, una piccola parte che, con meno di un centinaio di soci nell’Arcipelago, troppo spesso si è caricata sulle spalle il peso di una rappresentanza politica che spettava ad altri esercitare. Ma non può (e non deve) essere Legambiente quell’attore collettivo, non è compito nostro dipingere il quadro dell’alternativa, al massimo possiamo dare qualche pennellata di verde e giallo. Molti in Legambiente si considerano di Sinistra, ma Legambiente, come l’ambiente, non è di Sinistra, non si presenta alle elezioni, non chiede voti, rappresenta una parte dei cittadini, probabilmente una di quelle più informate e determinate. Come abbiamo scritto in una vignetta pubblicata sulla pagina Facebook di Legambiente, «Ma guarda un po’ quanta gente che non voleva aver niente a che fare con Legambiente perché "Fa politica ed è di parte” che si è candidata alle elezioni comunali...».
L’attore collettivo, che disegna il quadro e fa la necessaria sintesi non può essere che la politica e siccome alla destra non interessa per principio una comunità coesa e solidale, ma punta (e ci è riuscita con successo nel ventennio Berlusconiano) alla scomposizione della società in corporazioni, potentati e gerarchie, l’unico protagonista collettivo può essere un partito del lavoro e dell’ambiente, cioè la sinistra.
Quel che manca, il non detto di Andrea, è quello ed è li che sta la solitudine dei nostri tempi e la sconfitta culturale dei progressisti che somiglia ad un karakiri, perché avvenuta in mancanza di un’egemonia culturale diversa che non fosse quella di Emilio Fede e delle sgallettate in televisione e nella tavernetta di Arcore. Ci siamo arresi al nulla che avanza, sembra di essere nella “Storia infinita” di Michael Ende, ma senza nessun Atreiu a combattere e nessun Bastiano a rileggere il mondo da salvare.
Basta guardare le liste di queste elezioni dove la confusione e la frammentazione hanno raggiunto i limiti impensabili dell’autolesionismo, dove pezzi di “sinistra” passano a destra e pezzi di destra si alleano con la “sinistra”, dove il capoluogo dell’Elba ha subito un diktat colonialista da parte di chi urlava “l’Elba agli Elbani” ed ora ha in lista (era questa la sorpresa?) chi organizza blitz motorizzati a pagamento per distruggere i sentieri dell’Elba. Mentre si continua ad urlare al colonialismo fiorentino e piombinese, le liste vengono fatte e disfatte con le pesanti intromissioni di onorevoli ed ex onorevoli fiorentini, cecinesi ed europei che risolvono i problemi di chi li accoglie come liberatori dai loro stessi pasticci.
Dall’altra parte c’è l’atomizzazione e lo sconcerto di opposizioni che rispuntano fuori qualche mese prima delle elezioni e poi sprofondano in un letargo quinquennale, spesso infastidite perché quei rompicoglioni di Legambiente tirano fuori grane che forse si preferiva restassero sepolte… C’è l’ulteriore frammentazione, l’incapacità di agire collettivamente, di rinunciare al protagonismo in nome dell’interesse comune, di mettersi al servizio di un’idea che è sfumata nell’adulta delusione di Andrea, che è la cosa che più dovrebbe preoccupare una sinistra degna di tale nome.
Il successo innegabile del berlusconismo e delle forze economiche che lo hanno sostenuto è proprio in questo: essere riuscito a spappolare una società, l’essere riuscito a rinchiuderci nel “chi me lo fa fare”, facendo assurgere a slogan politico vincente l’eterno “senti a me, fatti i cazzi tuoi” di Razzi.
Per questo il problema della Sinistra non è il “democristiano” Renzi, interprete mirabile dei tempi che corrono, ma la Sinistra che non riesce a fare la Sinistra, come invece è riuscito a fare Tsipras in Grecia con Syriza, federando un gruppo di ex nemici e trasformandoli in una speranza nuova ed unita.
Nessuno si salverà da solo, ma sembra che siamo diventati troppo soli per rinunciare al nostro particolare per costruire qualcosa insieme, per far rinascere la speranza dalla frammentazione, per rimettere insieme un quadro che non potrà che essere nuovo e dipinto da nuovi pittori. Ma dovranno farlo altri, perché anch’io come pittore sono ormai vecchio e fuori servizio da anni. La nuova solidarietà la potranno costruire solo i giovani, a noi spetta solo il compito di dare una mano di essere parte del mastice di una nuova possibile unità della Sinistra. Spero solo che intanto, mentre aspettiamo la scintilla, non si radano al suolo anche le poche fondamenta rimaste della nostra democrazia, che affiorano ogni tanto il 25 aprile e il primo maggio.
Umberto Mazzantini