In occasione di diverse tornate elettorali (stimo almeno una quindicina tra politiche, referendarie, amministrative), tra gli anni 70 e 90, quando ero un “milite noto” del PCI (poi PDS) ho fatto “l’uomo dei conti”, quello che predisponeva i grandi tabelloni, che in tempo rapido (per i tempi) venivano riempiti con i dati provenienti dai seggi cittadini ed insulari e sui quali, sistematicamente prima dell’uscita dei dati ufficiali dei comuni, a mano venivano riempiti di numeri e confronti percentuali. Per questo, la sede di Piazza della Repubblica 4, in quei pomeriggi e quelle nottate era sempre gremita di gente (iscritti e simpatizzanti ma non solo) che, in un indescrivibile casino e vociare, venivano a vedere “come stava andando a finire”.
Immancabilmente, visto che a quei tempi non c’erano, come oggi, i moderni strumenti che aiutano a fare previsioni scientificamente e perfettamente sballate come i sondaggi, forse perché “davo i numeri” per professione, c’era sempre chi a qualche settimana dal voto mi chiedeva di fare delle previsioni, e la mia risposta era sempre la stessa: “Prevedo che alla fine spazzerò la sezione”.
Già, perché alla fine di ore (pomeridiane o più spesso notturne) concitate. punteggiate da trionfanti esclamazioni di giubilo o mugugni di delusione, quando lo stanzone e gli uffici annessi restavano vuoti di persone e pieni di spazzatura, chili di carta su cui erano stati appuntati numeri, metri e metri di strisce sputate dalle rumorose calcolatrici, montagne di cicche nei portacenere, pacchi di materiale di propaganda non distribuiti, lattine e bottiglie di bibite sparse in ogni dove, incarti e residui di panini , normalmente con l’ausilio di chi mi aveva aiutato a tirare le fatidiche somme, ma talvolta pure da solo, mi mettevo a raccogliere, scopare dal pavimento, insaccare, e buttare nei cassonetti tutti i residui della gioia o del lutto politico.
Forse, a ripensarci, era una sorta di catartico rito, per togliersi pure le scorie mentali della campagna elettorale, e sottolineare che il gioco della democrazia era infinito, e che la vittoria, la sconfitta o il pareggio erano sempre provvisori, che il giorno successivo si ricominciava da capo.
Oggi privato (fortunatamente) del ruolo di contatore, surclassato dall’efficienza dei mezzi e delle istituzioni deputate ai computi, e colto (sfortunatamente) a mezza campagna elettorale da una indisposizione, che mi ha tenuto al palo per una settimana, obbligandomi più a leggere e riflettere che ad agire e scrivere, alla solita domanda del come andrà a finire, che mi è stata posta da un interessato, ho fornito una risposta diversa, ma contigua in linea concettuale con l’apparente “nonsense” dell’antico “prevedo che spazzerò la sezione”, ed essa è stata: “prevedo che avete rotto i coglioni”.
Al mio interdetto interlocutore ho poi spiegato come avevo maturato il mio “punto di vista”, l’elemento che mi portava a quella conclusione, e cioè l’attenta, quotidiana, osservazione dei flussi di interesse di un campione di cittadini sicuramente non scientificamente determinato, ma numericamente di tutto rispetto: i frequentatori di queste pagine elettroniche.
La disattenzione verso questa campagna elettorale è tangibile quando si analizzano i numeri di lettori delle singole pagine, e l’incrocio delle diverse rilevazioni (Plesk, Google, Facebook) fornisce uno spietato verdetto che può essere così sintetizzato:
le visite quotidiane al giornale si contano in migliaia (in questa prima decade di maggio tra 6000 e 9000), i singoli articoli di cronaca, costume, i corsivi, lo sport “viaggiano” nell’ordine delle centinaia di consultazioni, gli “epocali” articoli di cui “le liste” subissano le redazioni (salvo eccezioni come nei casi delle diverse ”presentazioni”) quando arrivano a quota 100 lettori è grasso che cola. Gli articoli di politica forse interpretati come (inaffidabile) propaganda, raccolgono meno successo perfino di quelli “culturali” e di quelli che trattano più ostici argomenti. E non si creda che il fenomeno sia circoscritto alle forze tradizionali, perché la musica è tutt’altro che diversa se si ragiona dei nuovi soggetti, che in particolare nella rete e nei suoi strumenti comunicativi dovrebbero trovare il loro punto di forza.
E’ probabile che almeno una parte di questo palpabile disinteresse si trasformi in tendenza all’astensione, al non voto, mentre è certo, quasi palmare, che il lotto dei candidati in campo abbia un “appeal” personale mediamente basso. Lo scarso ricambio delle classi dirigenti elbane (politiche ma non solo) che risultano logore e la scarsa consistenza delle proposte (nuove o lavate con perlana) è ugualmente davanti agli occhi di tutti..
E, drammaticamente a mio avviso, il “che fare” nel ristrettissimo tempo che ci separa dal voto, può limitarsi a suggerire a coloro che sono in campo di puntare a chiedere un voto “per”, in luogo di un voto “contro”, parlare di cose concrete, fare più proposte percorribili che critiche rissose, perché buttarla in caciara, come promettere ciò che non si può dare, non fa gioco per gli interessi della cittadinanza.
Poi come si dice qui, per fare presto è tardi, ed in politica si semina sempre oggi per raccogliere dopodomani, nel migliore dei casi.
Spero quindi che termini presto la campagna elettorale più cattiva e al tempo medesimo più scialba, e pure più qualitativamente povera tra quante ne ho vissute (da protagonista o comunque da cronista) e spero che, passata la sbornia, si ricominci presto a ragionare per produrre quell’humus culturale sul quale può nascere una buona nuova politica, depurata tanto dal vecchiume che dalle scorciatoie proposte dai venditori di fumo locali e nazionali (ma forse il termine “cazzari” di Crozza è più calzante) di ogni razza e colore.
Mi limiterò a spazzare la redazione