Questa volta prendo spunto per i miei paragoni, probabili o improbabili, azzardati o complici, tra l’Elba e il mondo, da un articolo appena pubblicato su “Internazionale”, una rivista di attualità, che riporta un’indagine svolta in Francia per rispondere alla domanda: ci sono differenze tra la scuola francese e quella giapponese?
In Giappone, si legge, la prima giornata di scuola è dedicata a conoscersi tra professori e alunni di tutta la scuola, a capire quali sono gli obiettivi dell’anno.
In Giappone, dice una studentessa giapponese, la scuola è un luogo dove si ama andare, e non solo si deve andare, e ci si intrattiene volentieri oltre le ore di lezione.
Tra le altre cose, manutenzione e pulizia sono affidate agli studenti, che alle tre di pomeriggio per mezz’ora rassettano e puliscono tutto, toilettes comprese. In Giappone si educano i ragazzi alla conoscenza e coesione di tutti.
Differenze scolastiche in poche parole, ma che alla lunga formano popoli diversi.
Negli Stati Uniti nelle scuole, sia pubbliche che private, si fa in buona parte affidamento sul volontariato dei genitori, a cui si richiede di impegnarsi con varie iniziative per supplire ad alcune lacune che, anche per motivi di bilancio, sarebbero altrimenti difficili da colmare. Le iniziative possono essere di semplice volontariato, oppure di raccolta di fondi, talmente strutturate e ben organizzate che alcune volte diventano cruciali per il buon funzionamento della scuola stessa. Il coinvolgimento dei genitori è dato per scontato, come un impegno civile tramite il quale partecipare alla crescita dei propri figli.
Tutti gli ambienti sono importanti: in America l’area esterna di una scuola ha la stessa importanza degli interni. Non si tratta mai di interni o esterni complicati, di alto design, anzi, spesso le scuole sono spartane. Gli esterni sono il luogo dove i ragazzi interagiscono e passano i momenti di intervallo preziosi per ricaricarsi tra una lezione e l’altra. Ricordo i miei figli, piccoli alle elementari: portarli via da scuola (americana) era tutti i giorni un affare lungo e complesso, non erano mai pronti, perché l’esterno delle scuole spesso è assimilabile a un parco cittadino, con zone verdi e campi gioco, protetti dal traffico.
Non voglio giudicare le scuole dell’Elba, voglio solo immaginare, adesso che si parla di creare una nuova scuola da zero, che criteri come questi verranno presi in considerazione, e che il benessere dei nostri figli durante le ore di lezione e di intervallo non debba confrontarsi ed essere distratto dai problemi in cui si dibatte la situazione attuale. La programmazione di una nuova scuola deve fondarsi su basi che vanno oltre la mera scelta di un luogo piuttosto che un altro, di una zona piuttosto che un’altra.
Si tratta di concepire un ambiente valido, accettabile, a lungo respiro, di grande investimento. La Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 2000, "si applica a tutto il territorio delle Parti: sugli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Riconosce pertanto in ugual misura i paesaggi che possono essere considerati come eccezionali, i paesaggi del quotidiano e i paesaggi degradati”… “il Consiglio d’Europa, nello sviluppare una nuova cultura del territorio, persegue la promozione della qualità di vita e del benessere delle popolazioni”. Approfittiamo allora di questa fase di limbo della nostra scuola, cerchiamo di vederne solo il lato positivo, perché tra poco la Convenzione, ormai ratificata dai 32 stati, sarà presto una realtà molto prossima anche all’Elba, e potrebbe essere anticipata soprattutto in situazioni di questo genere: investire sui giovani, sui figli, equivale a garantire una qualità e un rispetto del nostro mondo, forse di oggi, sicuramente di domani.
Cecilia Pacini