E' in discussione al Senato la legge che introdurrà i reati ambientali nel nostro codice penale conformemente anche alle disposizioni comunitarie già in vigore. Nell'attesa di dedicare al tema una spazio del nostro sito specifico sule sentenze pubblichiamo questo articolo che rende bene l'idea di cosa bolle in pentola
Renzo Moschini
Per comprendere al meglio il fenomeno della criminalità ambientale, o per meglio dire, dei così detti reati contro l’ambiente, non si può prescindere da un’analisi storica della normativa italiana e soprattutto europea, in modo tale da circoscrivere i casi ed individuare le linee guida utilizzate dal legislatore italiano negli ultimi anni.
L’analisi delle sentenze più rilevanti (intento di questa nuova e utile sezione all’interno del gruppo di San Rossore) apparirà sicuramente più agevole se preceduta da un breve excursus sullo stato attuale del sistema sanzionatorio italiano in materia di reati ambientali.
Prima di ripercorrere sinteticamente l’origine della tutela dell’ambiente, è da rilevare che la camera, da poco, ha licenziato all’unanimità (dalla Commissione Giustizia), il 18.12.2013, un disegno di legge che promette l’inserimento nel codice penale, nel libro II, di un nuovo titolo (VI-bis), dedicato ai “delitti contro l’ambiente”.[1]
La Costituzione italiana non si pronuncia espressamente sulla tutela dell’ambiente, interesse a quell’epoca evidentemente non ritenuto prioritario.
I giuristi italiani, quindi, hanno fatto notevoli sforzi ermeneutici nel corso degli anni per individuare specifiche norme a supporto della tutela dell’ambiente. La stessa definizione di ‘diritto all’ambiente’, in carenza di una definizione normativa, è stata frutto dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che ha trovato iniziale conforto in due fondamentali sentenze della Corte Costituzionale del 1987 (nn. 210 e 641) e nella sentenza n. 439/1994 della Corte di Cassazione.
Si è fatto così ricorso, di volta in volta, alle norme costituzionali che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), il pieno sviluppo della persona umana (art. 3), il paesaggio (art. 9), la salute (art. 32), l’utilità sociale (art. 41).
Solo con la riforma del 2001 il termine ‘ambiente’ è entrato nella Costituzione italiana, con il novellato art. 117, riguardante il riparto delle competenze normative, che ha riservato la ‘tutela dell’ambiente’ alla legislazione esclusiva dello Stato, mentre la ‘valorizzazione dei beni ambientali’ alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, sempre però nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Attualmente il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ha precisato che in materia ambientale l’ Unione ha competenza concorrente con quella degli Stati membri (art. 4), e dedica all’ambiente un Titolo autonomo (il XX della Parte III - artt. 191, 192, 193), nel quale si evidenzia che l’Unione persegue la salvaguardia ed il miglioramento dell’ambiente, anche per proteggere la salute umana, ponendosi l’obiettivo di uno sfruttamento accorto e razionale delle risorse naturali.
Allo stato attuale quindi, è pacifica l’esistenza di un vero e proprio diritto dell’ambiente, come autonoma disciplina giuridica, comprensivo di tutte le norme nazionali, comunitarie e internazionali che disciplinano, nei vari settori, la materia ambientale.
Determinante in questo senso è stata l’emanazione della direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008 (sulla tutela penale dell’ambiente) del Parlamento europeo e del Consiglio, che imponeva ai legislatori nazionali di prevedere, in materia ambientale, sanzioni “efficaci, proporzionali e dissuasive”.[2] Secondo la direttiva, nove condotte ‘illecite’ dovevano necessariamente essere previste come reati (di ‘danno’ o di ‘pericolo concreto’), se poste in essere intenzionalmente o per grave negligenza.
Le condotte illecite previste riguardavano: i rifiuti, le sostanze o radiazioni ionizzanti, gli impianti in cui si svolgono attività pericolose, i materiali nucleari o altre sostanze radioattive pericolose, le sostanze che riducono lo strato di ozono, le specie animali o vegetali selvatiche, i siti protetti.
Naturalmente si tratta di norme base, nel senso che gli Stati membri ben possono adottare misure più severe per assicurare un’efficace tutela dell’ambiente, purché compatibili con la normativa europea.
L’Italia ha recepito tale direttiva con il decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121.
Nonostante successive modifiche del Testo unico ambientale del 2006 (decreti legislativi 128/2010, 205/2010, 219/2010), la direttiva non è stata recepita in maniera adeguata. Invero, sono rimasti sempre e solo sei i “delitti” ambientali previsti dal nostro ordinamento, e tutti relativi ai rifiuti. La maggior parte delle condotte illecite indicate dalla direttiva non sono state disciplinate.[3]
Attualmente, ad eccezione delle sei ipotesi delittuose relative alla materie dei rifiuti, tutte le altre violazioni previste dalla normativa ambientale nazionale hanno natura contravvenzionale o semplicemente amministrativa.
In questo senso il disegno di legge approvato alla Camera (ed al vaglio del Senato), si pone in controtendenza rispetto alle scelte legislative passate, orientandosi più verso un vero recepimento della Direttiva 2008/99.
Si prevede l’inserimento di due delitti (inquinamento ambientale e disastro ambientale), costruiti come reati di danno, sul modello delle figure criminose contenute nella Direttiva 2008/99 CE disattesa, a suo tempo, dalla legge italiana di recepimento (d.lgs. n. 121/2011).
Compaiono nel nuovo titolo i delitti dolosi di “inquinamento ambientale”(art. 452-bis), punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro, e di disastro ambientale (art. 452-ter), punito con la reclusione da quattro a venti anni; le rispettive ipotesi colpose sono punite con pene diminuite da un terzo alle metà (art. 452-quater).
Il delitto di inquinamento ambientale rappresenta, come vedremo subito, l’unica incriminazione davvero nuova.
L’art. 452-bis c.p., si distacca dal modello del reato di pericolo, per diventare un delitto di evento.
Si tratta di un delitto di danno, rappresentato dalla “compromissione o dal deterioramento rilevante della qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria, ovvero dell’ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna selvatica.”
Gli eventi offensivi al bene “ambiente”, devono essere causati con “violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale”.
La condotta di inquinamento può consistere in ogni violazione di normative inerenti la materia ambienatle.
Delitto di evento e non di pericolo, in cui l’evento di compromissione o deterioramento rilevante dell’ambiente deve essere conseguenza di una condotta costituente di per sé illecito amministrativo o penale.
Vi saranno dunque “compromissione” e “deterioramento rilevante” qualora l’alterazione dell’ambiente sia reversibile o qualora gli effetti dell’inquinamento siano eliminabili con operazioni non particolarmente complesse sotto il profilo tecnico o non particolarmente onerose o con provvedimenti non eccezionale.
L’art. 452-ter invece, rubricato “disastro ambientale”, costituisce l’ipotesi più grave, che dovrebbe andare a colmare la lacuna normativa attuale.
In giurisprudenza il disastro ambientale viene definito come “accadimento di dimensioni straordinarie atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi, idoneo a causare pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.”[4]
Rispetto all’attuale figura di disastro ambientale plasmata dal diritto vivente sull’art. 434 del codice penale si registrano varie novità:il reato diviene a forma vincolata, consistente nella violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e autonomamente costituenti illeciti amministrativi o penali.
Si intende incriminare inoltre la realizzazione del disastro, e non (anche) la commissione di un fatto diretto a tale evento, come previsto dall’art. 434, co. 1 c.p..
L’evento di danno ambientale propriamente inteso è rappresentato dalla “alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema” o, in alternativa, “dall’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente complessa sotto il profilo tecnico o particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”.
La vera novità del disegno di legge è quella di configurare per la prima volta alcuni reati ambientali come reati di “danno” e non reati di “pericolo”.
Brevemente, nei reati di pericolo non si punisce l’aver cagionato un danno ad un bene giuridico protetto dall’ordinamento, ma il solo fatto di averlo messo in pericolo; si anticipa perciò la soglia di punibilità.
In materia ambientale ha quasi sempre funzionato così, si punisce il soggetto che supera un determinato limite tassativo, oltre il quale si presume che stia arrecando un danno all’ambiente. Tutto ciò in ossequio al principio di precauzione (sancito in primis dall’Unione Europea anni fa) secondo il quale, per una tutela effettiva di determinati beni (quale l’ambiente), è necessario giocare in anticipo, e sanzionare condotte anche solo potenzialmente lesive. E’ meglio punire un soggetto che ha rischiato di inquinare rispetto al punirne uno che ormai ha cagionato un danno ingente od addirittura irreversibile al territorio.
I reati di danno invece, molto banalmente, presuppongono l’avvenuto danneggiamento del bene protetto dalla norma incriminatrice (vedi fra tutti, l’omicidio); è necessario cioè che si verifichi un evento lesivo e che sia riscontrabile sul piano naturalistico.
Sennonché la “provabilità” in giudizio di eventi quali la “compromissione o deterioramento rilevante della qualità del suolo” o la “alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema” appare tutt’altro che agevole.
La nuova tipologia di reati prevista dal legislatore esige un’effettiva compromissione delle risorse ambientali o dell’integrità fisica delle persone, mentre le contravvenzioni attualmente previste dall’ordinamento sanzionano generalmente violazioni formali, norme comportamentali (quali, ad esempio, il superamento di valori limite per determinate emissioni o l’esercizio di un’attività senza autorizzazione) spesso sganciate da un danno, poste dall’ordinamento proprio per evitare eventi dannosi. Sarà pertanto, in concreto, molto più ardua per la giustizia la dimostrazione della sussistenza dei delitti ambientali, così come configurati dalla direttiva, dovendo sempre essere provato il nesso causale tra la condotta dell’agente e l’evento. Soprattutto perché l’offesa ad alcuni beni si realizza per effetto di condotte ripetute nel tempo e non di un singolo comportamento, che potrebbe in ipotesi anche non essere dannoso o pericoloso.[5] In definitiva si potrebbe correre il rischio di disporre di un sistema sanzionatorio più rigoroso, ma di essere in concreto meno efficaci, e dunque meno dissuasivi, potendosi accertare più difficilmente la colpevolezza dei trasgressori ed affermarne la penale responsabilità.
In conclusione, appare opportuno menzionare la volontà del legislatore italiano di inasprire la disciplina della prescrizione, i cui termini vengono raddoppiati rispetto a quelli ordinari previsti dall’art. 157, co. 6 c.p. (art. 452- septies, co. 5); inoltre, all’art. 452-quinquies c.p., vengono inserite circostanze aggravanti applicabili al reato di associazione per delinquere, qualora diretta in via esclusiva o concorrente alla realizzazione di taluno dei nuovi delitti ambientali) ovvero, in relazione all’art. 416-bis, a commettere taluno dei nuovi delitti ambientali o alla acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti ecc. in materia ambientale.
In ultimo, la responsabilità amministrativa degli enti viene estesa ai due nuovi delitti dolosi di inquinamento (sanzione pecuniaria da 250 a 600 quote) e di disastro ambientale (sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote), nonché, con riduzione della sanzione pecuniaria di un terzo, alle corrispondenti fattispecie colpose.
Complessivamente, l’intento della normativa sembra quello di adeguarsi il più possibile alla linea dettata dall’Ue, creando una nuova tipologia di reati che si discostano da quelli precedentemente tipizzati.
In questo modo si pone la criminalità ambientale tra i reati di fascia medio alta, fornendo, sul piano penalprocessualistico, alla magistratura, un ampio ventaglio di strumenti, assia incisivi durante le indagini preliminari.
Resta da valutare la concreta possibilità che in sede di giudizio il giudice si trovi di fronte all’obbiettiva difficoltà di valutare se una determinata condotta sia stata effettivamente lesiva per l’ambiente, e quindi, secondo il principio dell’in dubio pro reo, assolvere l’imputato.
Sotto tale aspetto le norme risultano sicuramente più rispettose del principio di offensività e personalità della legge penale, ma rischiano di aprire spazi di impunità per quelle condotte “al limite della legalità”, sicuramente pericolose per l’ambiente, ma difficili da provare sul piano processuale.
Non resta che attendere l’esame del Senato per eventuali emendamenti sul punto.
Niccolò Censi
Note:
[1]Il testo unificato delle proposte di legge A.C. 957 (Micillo), A.C. 342 (Realacci) e A.C. 1814 (Pellegrino), approvato dalla Camera dei deputati e ora all'esame del Senato (AS. 1345), conferma le contravvenzioni previste dal Codice dell'ambiente, che non vengono novellate, ma aggiunge nuove fattispecie delittuose, incentrate sulla produzione di un danno all'ambiente. I nuovi delitti vengono inseriti in un apposito nuovo titolo del codice penale.
[2] Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:328:0028:0037:IT:PDF .
[3] Per una lista completa dei reati concernenti la tutela dell’ambiente, vedi: http://www.portale231.com/index.php?option=com_content&task=view&id=140&Itemid=1 .
Da ricordare in ultimo che il D.L. 10 dicembre 2013, n. 136 “Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate” (G.U. n. 289 del 10/12/2013), ha introdotto il nuovo delitto di “combustione illecita di rifiuti”, probabilmente grazie anche alle forti pressioni mediatiche degli ultimi periodi (basti pensare alla Terra dei fuochi campana).
[4] Corte Costituzionale, sentenza 1.08.2008 n. 327.
[5] Se un soggetto scarica abusivamente, ma una sola volta, sostanze inquinanti in mare, sicuramente compie un’attività illecita, ma difficilmente si potrà provare che una sola condotta abbia arrecato un danno importante (a meno che naturalmente non sia un evento di importanti dimensioni). La condotta potrebbe quindi risultare penalmente rilevante ma in concreto non offensiva del bene giuridico ambiente.