Il dibattito sulle province non è certo una novità come dovrebbero sapere anche molti di quelli che ne parlano oggi in più d’un caso un po’ a vanvera. Senza prenderla troppo ariosa al punto di risalire alla Costituente ma anche a tempi un po’ meno lontani quando se ne occuparono La Malfa, Berlinguer che lo fecero chiedendosi se dopo l’avvio del governo regionale esse avessero ancora un ruolo e quale. Non è certo questo l’interrogativo da cui hanno preso le mosse i recenti provvedimenti che Di Pietro considera tuttavia al pari di Bonanni un regalo ai partiti perché dovevano essere semplicemente abrogate senza tanti riguardi. E chi se ne frega di quel che fanno o possono fare. E in effetti del loro ruolo e di quello che le altre istituzioni dovrebbero e dovranno svolgere se le togliamo o le accorpiamo sulla base di criteri legati unicamente ai costi e non alle funzioni proprie e della loro connessione con quelle degli altri livelli istituzionali non sembra che preoccupi più di tanto. Oggi la proposta di soppressione delle province come d’altronde sta succedendo per altre proposte di abrogazione ruota unicamente intorno ai costi. Su cosa dovrebbero fare, infatti, le nuove province non più elettive da quel che ho letto dovrebbero occuparsi di ‘strade e ambiente’. Accoppiata singolare nel primo caso per la specificità nel secondo per la genericità considerato che nell’ambiente si trova tutto e di più. Ho visto che il consiglio dei ministri ha specificato che ambiente significa soprattutto discariche. Insomma il nuovo titolo V della costituzione che aveva riconosciuto a regioni, province e comuni un ruolo costituzionale nel governo è andato anche in questo caso a farsi benedire.
Che imboccata questa strada sia arduo trovare soluzioni ‘ragionevoli’ non può sorprendere. E se per aree metropolitane qualche ipotesi si può azzardare –vedi l’ultimo numero de ‘le Province’- più complicato è l’accorpamento che si ipotizza per ridurle più o meno alla metà.
Se prendiamo, ad esempio, le ipotesi che hanno cominciato a girare in Toscana si vede subito quanto rifarsi solo a criteri quantitativi ;popolazione e superfice non sia di grandissimo aiuto.
La provincia che dovrebbe comprendere anche Pisa e Livorno su cui si farà in quattro il Vernacoliere ha già fatto parlare qualcuno di Livorno maxiprovincia della costa ‘come un unico grande porto governato da una sola autorità portuale. Ma un punto chiave , anche se lacunoso, del PIT toscano in attesa di revisione e correzione guardava proprio ad una rapporto costa entroterra dove la sicurezza del nostro suolo oltre che paesaggio dipende una ridefinizione dei ruoli e dei livelli istituzionali elettivi e non.
Si parla un po’ all’ingrosso di scioglimento di un sacco di enti inutili che comunque svolgono delle funzioni quasi sempre settoriali e specifiche. Chi provvederà a quei compiti?
Quali saranno i livelli di ‘giustezza’ e ‘adeguatezza’ a cui dovrebbero rispondere i soggetti istituzionali elettivi e non di cui parla la legge. Se già gli attuali confini amministrativi non riescono a garantire quei livelli indispensabili a politiche serie di pianificazione e programmazione specie in ambito ambientale, figuriamoci ora dove si ipotizzano accorpamenti di due, tre, quattro delle vecchie province con una smisurata dilatazione dei confini amministrativi.
Ecco perché il dibattito sul futuro delle province se continua a rimanere isolato dal resto salvo gli entusiasmi balordi di chi crede di avere dato finalmente un colpo micidiale alla casta, non aiuterà a rendere più definiti i diversi ruoli che resta anche nella nostra regione un problema aperto.
Renzo Moschini