Con riferimento alla lettera di Gina Magnani pubblicata in data odierna sulla rubrica “Dite la vostra” del giornale on-line GiglioNews, ritengo opportuno precisare ed integrare alcuni aspetti della vicenda che ha condotto l'isola del Giglio all'autonomia idrica.
A onore della verità storica occorre infatti ricordare che l'attuale dissalatore non fu il primo: era esistito un precedente impianto al Campese gestito dalla ditta STILMAS di Milano in cui erano occupate quattro unità lavorative gigliesi; tale impianto aveva però comportato un enorme costo di esercizio soprattutto per l'approvvigionamento energetico. Il costo dell'energia elettrica occorsa (numerosi miliardi di vecchie lire dell'epoca) e le conseguenti difficoltà di pagamento, costrinsero la ditta Stilmas a ipotecare vari beni del Comune (fra cui lo stesso Palazzo Municipale, se non ricordo male). Fu solo grazie a un provvidenziale intervento di Beppino Ulivi che, attraverso l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), riusci a ripianare il debito con un intervento dell'allora Cassa del Mezzogiorno.
E' ancora a Beppino Ulivi, rieletto sindaco nel 1988, che si deve l'inizio del progetto che porterà all'autonomia idrica del Giglio, realizzato con un primo finanziamento a fondo perduto delle politiche comunitarie europee. Beppino Ulivi realizzò il nuovo impianto di sollevamento dell'acqua del Bonsere (per l'approvvigionamento del Castello-Campese) e cominciò, intelligentemente, ad affrontare il problema della carenza idrica dalle consistenti perdite della rete, sostituendo le principali condotte di adduzione dell'acqua dai depositi ai centri abitati.
Nel 1990, con l'entrata della nuova amministrazione, si riuscì fortunosamente a riottenere un nuovo finanziamento a fondo perduto per la realizzazione di un deposito sul poggio della Chiusa (per aumentare la capacità di stoccaggio idrica) e di un nuovo dissalatore, decisione politica difficilissima e contestatissima alla luce della precedente esperienza sulla dissalazione. Per ovviare al problema del relativo rifornimento energetico si ottenne un ulteriore finanziamento per un aerogeneratore che si sarebbe dovuto posizionare nella zona della discarica, uno dei punti più ventilati dell'isola.
Le procedure del “piano idrico”, come lo chiamavamo, non furono né facili né indolori. Significativa la vicenda dei pozzi del Campese: molte attività turistiche di quella frazione si erano arrangiate ed emungevano acqua da pozzi privati. Il 90% dell'acqua erogata dal Comune sembrava dispersa da falle della rete idrica e non si riusciva a capire che fine facesse. Si scoprì così che la causa delle perdite erano le valvole di non ritorno dei pozzi che, se si bloccavano, disperdevano nei pozzi l'acqua erogata dal Comune (quando arrivava); quando invece non c'era e si pompava acqua dai pozzi, si provocava un ulteriore doppio danno: economico (i contatori giravano alla rovescia) e sanitario, immettendo in rete acqua inquinata. Nell'ottica di una produzione onerosa dell'acqua anche questo problema doveva essere eliminato e le conseguenti ordinanze sindacali in materia, impopolari e dolorose perché emesse in periodo estivo, provocarono non poche proteste: ma anche questo fu necessario per la risoluzione definitiva del problema idrico.
La procedura per la realizzazione del piano idrico comportava inoltre un'attenzione e un impegno continuo, fino alle virgole degli atti. Tale affermazione, apparentemente metaforica, trova ampia spiegazione in un'altra vicenda ai limiti dell'incredibile (era riportato nel bando di concorso del dissalatore “possono partecipare solo ditte che abbiano come capitale sociale 1,50 volte il prezzo di base d'asta” ecc. Per un motivo mai accertato (distrazione? Boicottaggio?) nel bando non comparve la virgola e 1,50 divenne 150 con conseguente mancanza del necessario requisito da parte delle ditte interessate all'appalto, oltre allo spreco di trenta milioni di vecchie lire spese per la errata pubblicazione del bando sui principali quotidiani italiani dell'epoca. Si era ormai alla fine della estenuante procedura e si corse concretamente il rischio di perdere l'intero finanziamento. Fu allora che il sottoscritto, nella sua qualità di sindaco, e incurante della valenza di incapacità amministrativa che aveva tale decisione, con un gesto di umiltà chiese alla Regione Toscana la nomina di un commissario ad acta (il dr. Piccinini) che a forza di decreti portò rapidamente a termine il farraginoso ma ormai praticamente quasi concluso iter burocratico. Le successive normative in materia comportarono soltanto che le amministrazioni comunali venute dopo trasferissero competenze e impianti all'Acquedotto del Fiora, da allora gestore del servizio. Nell'occasione fu trasferita anche il capannone-cella frigorifera dell'Allume, che la Giunta uscente, a termine mandato, aveva acquistato dall' ENEA a favore del Comune per il prezzo simbolico di mille lire e su cui gli amministratori venuti dopo dissero che avrebbero perorato la costruzione di un secondo dissalatore che ancora stiamo aspettando.
La parte rimasta incompiuta del piano idrico riguarda notoriamente la mancata realizzazione dell'aerogeneratore. Tale struttura avrebbe consentito, con le tecnologie dell'epoca, la produzione gratuita di circa 520 tonnellate d'acqua al giorno (e non 350 come banalmente ed erroneamente calcolammo sui dati delle temperature dell'acqua di marea d'inverno e non nel periodo estivo, quando maggiormente serve). Fu invece realizzato con un altro contributo regionale il potenziamento e l'interramento della linea elettrica da dove doveva sorgere l'aerogeneratore all'area del dissalatore.
Ho affermato all'inizio che la puntualizzazione di tali fatti fosse opportuna, se non altro per rispetto della realtà storica. Ma non avrei mai scritto questa pur breve memoria se non avessi invece ritenuto doveroso, come cittadino e come ex sindaco, portare alla pubblica attenzione le considerazioni che seguono.
Tenendo conto che nella pubblica amministrazione gli effetti delle scelte politiche (nel bene e nel male) si possono vedere anche dopo vari anni, gli amministratori attuali, che in tema di autonomia idrica incautamente si ascrivono meriti che non hanno e che non hanno mai avuto (basta consultare gli atti amministrativi) rischiano in realtà di passare alla storia come I RESPONSABILI DELLA PERDITA DELL'AUTONOMIA IDRICA DELL'ISOLA. Sarebbe infatti opportuno che:
1° Verificassero presso l'attuale ente gestore le condizioni tecniche attuali dell'impianto di dissalazione e richiedessero per scritto ampie assicurazioni sulle opportune opere di manutenzione ordinaria e di eventuali programmi e/o necessità di opere di programmazione o manutenzione straordinaria.
2° Considerati gli alti costi di gestione sostenuti dall'Acquedotto del Fiora per la sola utenza dell'isola del Giglio (con particolare riferimento ai costi dell'energia elettrica) che in caso di possibili momenti di crisi economica creerebbero situazioni difficili da gestire, sarebbe opportuno che l'amministrazione comunale richiedesse se siano state programmate iniziative “concrete” per l'utilizzo di energie alternative con la produzione e l'utilizzazione in loco di energia elettrica finalizzata alla dissalazione.
Si è usato di proposito il termine “concrete” per sottolineare, una volta per tutte, la necessità di una verifica politica di quanto l'attuale normativa di integrazione tariffaria della produzione di energia elettrica nelle piccole isole con gasolio (già criticata a livello parlamentare con interrogazioni praticamente cadute nel vuoto) non possa confliggere con la vera attuazione di nuove e necessarie politiche ambientali in tema di energie alternative.
Non può infatti non generare ulteriore e pesante perplessità non solo l'esistenza in pieno Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano delle vetuste centrali termoelettriche del passato, ma anche la relativamente recente costruzione nell'isola di Giannutri di un generatore di corrente elettrica alimentato a gasolio.
E chi ha orecchi per intendere, intenda.
Armando Schiaffino, ex sindaco Comune di Isola del Giglio