“Chi semina vento coglie tempesta”. Così un antico proverbio. E’ l’ora della tempesta? Non so se sia davvero questa, ma c’è da riflettere, e parecchio.
Quando Berlusconi presidente del Consiglio cominciò a disertare le celebrazioni del 25 Aprile sembrò solo uno sgarbo di chi aveva poca confidenza con la Storia e considerava le sofferenze di tanti come ricordi sorpassati, da trascurare. Quando Renzi cominciò a snobbare i Partigiani, considerandoli essi pure come rottamabili, sembrò un’infelice fuga dal ricordo della sanguinosa fondazione della democrazia repubblicana: la Resistenza non era disconosciuta, ma ormai vivevamo in altri tempi, e insistere a rievocarla era “divisivo”.
Il punto forte del potere berlusconiano è stata la Scuola. Il Ministero dell’Istruzione (significativamente non più chiamata “pubblica”) affidato a Letizia Moratti divenne il vettore principale della nuova ideologia: “insegnare a fare”, “imparare a fare”; più “competenze” e meno “conoscenze”. Il che significa: ciò che conta è la “performance”, il risultato spendibile nella competizione per il successo (e magari la crescita economica e il prestigio sociale personali), la crescita “su” gli altri e non con gli altri. Come nello sport, dove c’è anche la squadra che consente di emergere ma alla fine chi brilla è sempre l’individuo. E tutto questo è ora passato nella “Buona scuola” di Renzi. Perché è “moderno”, è popolare, è facile.
Crescere tutti insieme è difficile, faticoso, impegnativo. Bisogna stare al passo con gli altri, non si può essere zavorra. Invece se a emergere è “quello bravo”, gli altri tutti possono riposare sulla propria indolenza, sulla propria mediocrità, all’ombra appunto di quello bravo. Il riconoscimento del valore della sua “performance” diviene una forma di partecipazione al suo successo. Il rito religioso del Calcio (la più diffusa religione del mondo in tutti i tempi) ne è l’esempio più evidente: vinco standomene seduto al bar o sdraiato sul divano di casa, se i miei Campioni, la “mia” squadra, vincono. Lo stesso vale anche negli altri sport, dall’automobilismo all’atletica: come si ripete spesso, è lì che il popolo riscopre la bandiera, e la sventola insieme alla propria frustrazione individuale.
Per questo Berlusconi “è sceso in campo”. Per questo ha formato la “squadra di governo”. E dopo di lui tutti gli altri: così è scomparsa l’idea dei Ministri come “servitori” (significato originale latino) per essere sostituita da un termine che ha come referente il “collettivo” e il leader.
Per ottenere la “performance” non c’è prezzo troppo alto: gli arresti di oggi per doping nel mondo dei ciclisti dilettanti stanno a testimoniarlo. La frustrazione della mancata “performance” personale si sfoga nei cortei dopo partita, nel corteo per il corteo, nel girare a vuoto, così, tanto per “fare” qualcosa. Tanto più se nel “qualcosa” si possono coinvolgere gli istinti primari: la violenza, il sesso selvaggio, l’urlo -come spiega Nietzsche nell’“Origine della tragedia”-. Tanto più se si riesce a trovare un competitore debole, in difficoltà, solo.
Chi sa, chi è capace di ragionare, si può anche concedere il lusso di una frustrazione “controllata”, il “tifo” praticato ed esibito nei salotti casalinghi o televisivi, ammiccando a una trasgressione più o meno consapevolmente vagheggiata. Chi è capace solo di “fare”, fa. Spacca, corre, picchia, uccide. Non si contenta di rappresentarsi il nemico, lo vuole davvero davanti: e si immagina che anche il nemico voglia vincere, e pertanto metta in pericolo la sua sicurezza, la sua pace, il suo benessere perché è più insicuro, più sconvolto, più povero. Più solo di lui.
Non è possibile spostare l’azione del branco verso la conoscenza dei fatti e dei problemi. Prima picchia, poi pensa (se pensa). Bastone e olio di ricino e “me ne frego”. Ci sono voluti vent’anni ai nostri padri e ai nostri nonni per “Liberarsi” dalla “squadracce” pezzenti che così cercavano (e trovarono) riscatto alla loro sconfitta. Altri cinquanta sono serviti per dimenticarsi quanto costò quella Liberazione. Per questo dopo altri venticinque siamo a confrontarci con un nuovo squadrismo desideroso di punizioni e di giustizia sommaria; incapace di conoscere, pensare, capire, ma ansioso di fare, di agire.
Solo la scuola delle conoscenze ci salverà.
Luigi Totaro