La notizia di oggi è il progetto di Barack Obama per dotare l’intero territorio degli Stati Uniti di una rete Wifi veloce e totalmente gratuita, attraverso l’utilizzo di alcune frequenze radio distolte dal mercato. Internet per tutti e ad alta velocità, dunque, nella certezza che ne deriverebbe una forte accelerazione della ricerca tecnologica, delle comunicazioni economiche e sociali, dell’efficienza amministrativa degli Stati e delle imprese. Naturalmente il progetto è avversato –e presto sarà oggetto di una guerra durissima- dalle grandi imprese delle Comunicazioni telefoniche, che ad oggi vendono le connessioni internet e le comunicazioni: con il super Wimax di Obama, infatti, tutte le comunicazioni potrebbero avvenire tramite l’Internet, mandando in pensione i telefoni tradizionali (comunque destinati a sparire).
Vengono in mente due considerazioni: la prima è che un’operazione del genere può essere condotta in porto solamente dallo Stato (federale, nel caso degli USA), che ha la forza di fronteggiare i concorrenti privati con l’arma straordinaria della gratuità: senza costi e senza profitti. Già a suo tempo si è visto come il “dono” dell’Internet alla comunità scientifica mondiale e dopo poco all’intera comunità mondiale ha prodotto in un tempo brevissimo –il World Wide Web, l’internet che noi usiamo quotidianamente, non ha ancora vent’anni- una rivoluzione tecnologica clamorosa, se pensiamo solo agli smart phone; e una ancor più clamorosa rivoluzione delle comunicazioni, se pensiamo ai miliardi di SMS che ogni giorno si scambiano nel mondo. Non è difficile immaginare cosa potrà mai produrre la disponibilità di un medium velocissimo, gratuito, e diffuso veramente sull’intero territorio. Le imprese private delle Comunicazioni si inseriranno prestissimo nei nuovi spazi aperti all’innovazione tecnologica, come è appunto già avvenuto; e recupereranno l’immediata perdita di utili che l’introduzione della “grande rete” provocherà: ancora una volta con vantaggio di tutti.
La seconda considerazione è che in Italia si parla da anni di banda larga, di reti Wimax, di alta velocità dell’Internet. E da qualche tempo anche di frequenze radio da vendere o da dare in concessione gratuita: il governo Monti aveva fra i suoi impegni anche quello di procedere alla vendita delle frequenze liberatesi con il passaggio al digitale terrestre, e erano già iniziate grandi manovre e grandi polemiche. Lo Stato ha dunque disponibili gli stessi strumenti di Obama, e si accinge a compiere una scelta strategica che può avere positivi effetti epocali, ponendo l’Italia all’avanguardia –con gli USA- nella distribuzione delle informazioni e nell’incentivazione della ricerca tecnologica. Senza costi e senza profitti, ma dotando tutti e singoli i cittadini, la pubblica amministrazione, la scuola e gli Istituti di ricerca, il mondo dell’impresa, le reti dei servizi, la sanità, i trasporti, tutta la realtà insomma, di uno strumento straordinario. Obama agirà sulla base di un progetto già elaborato e pronto, di un progetto che parrebbe esecutivo. Non credo sarebbe difficile condividerlo. E in ogni caso conviene pensarci, visto che l’operazione costa poco e rende molto.
A queste due considerazioni se ne collega un’altra: l’analisi svolta dalla Corte dei Conti sulle cosiddette “dismissioni” operate dallo Stato nei quindici anni fra il 1993 e il 2008, valutate come operazioni volte esclusivamente a fare cassa immediatamente rinunciando a prospettive economiche che il loro mantenimento nella proprietà pubblica avrebbe aperto. Si parla di STET, SEAT, TELECOM, ENEL, AUTOSTRADE, AEROPORTI DI ROMA, ENTE TABACCHI ITALIANI. Nel senso che la politica dell’“uovo oggi” ha come effetto necessario e ampliamente prevedibile la rinuncia sempiterna a mangiare galline, e quindi anche altre uova. Che poi non sia possibile gestire bene imprese se sono pubbliche, è una evidente sciocchezza: basta trovare i manager giusti. Ma per “asset” di importanza strategica nazionale mantenere la possibilità di indirizzo verso evoluzioni e sviluppi più ampi della mera logica del profitto aziendale può essere –come nel caso delle comunicazioni informatiche- essenziale per la crescita sociale.
Un ultimo pensiero –solo apparentemente esterno alle considerazioni fatte- riguarda il Monte de’ Paschi. Come era ovvio, la campagna elettorale si è avventata sopra la vicenda come su una facile preda. Il Monte è diventato immediatamente la banca del PD. Ora, il Monte de’ Paschi di Siena è banca antichissima, e ha una storia documentata di oltre mezzo millennio; ma è stata a lungo una banca di Siena, nel senso più forte di questa espressione. Radicata nella città e nella realtà senese, stretta da un legame biunivoco con gli assetti di potere locali, con tutti gli assetti di potere locali. Siena è conosciuta nel mondo come la città del Palio, e a Siena l’appartenenza alla città, alla Contrada ancor più, è tratto identificativo assolutamente prevalente. Il Monte è stato a lungo, molto più di quanto sia immaginabile (e forse sensato), in quella logica localissima, e la sua “Governance” è apparsa assolutamente atipica per un’istituzione bancaria che era terza in Italia (prima delle attuali gravissime difficoltà). Non ho alcuna competenza per entrare nel merito delle questioni tecniche della vicenda. Ma quando si evocano “i rapporti fra banca e politica”, e si attribuiscono a un partito politico delle responsabilità oggettive nella gestione della banca, si compie in questo caso un errore macroscopico. Altro è dire che i “governanti” della banca ¬-il “top-management”, come si dice- era gradito, favorito, promosso dal PD senese, e forse anche iscritto al PD senese; ma l’enfasi va posta molto più su “senese” che su “PD”.
Si può anche dire, e a suo tempo “Report” di Milena Gabanelli vi fece ampio cenno, che i “governanti” della banca erano graditi, favoriti, promossi dalla Massoneria senese, e forse anche appartenenti a essa; come che erano graditi alla Chiesa senese e alla “società civile” senese. Ma da questo ad attribuire tout court alla Massoneria –stranamente assente nelle polemiche di questi giorni…- o alla Chiesa delle responsabilità oggettive ce ne passa. Poi le cose sono cambiate, come è noto; e anche l’attenzione del PDS-DS-PD per “le banche” –COOP/BNL, Monte de Paschi- si è fatta più marcata, quasi vagheggiando e rincorrendo la consolidata tradizione di rapporto del mondo cattolico con gli istituti bancari e quella altrettanto tradizionale del mondo ‘laico’ liberale con l’universo bancario e finanziario. A Siena ne è derivata una forte frizione con Roma –che ha comunque modernizzato e sprovincializzato la “governance” del Monte- vedendo contrapposti organi di partito a livello centrale e a livello locale riguardo alla visione e alla funzione della banca: ma non si è trattato di scontri fra “buoni” e “cattivi”. Il Monte veniva gestito come lo era sempre stato, ed è diventato una realtà economica ricca e importante: dovremmo allora benedire il PD (nelle sue storiche denominazioni) per i buoni risultati a suo tempo ottenuti?
Credo che i risultati buoni siano comunque frutto di una buona gestione e di un personale efficiente, al di là degli sponsor politici. I risultati negativi, invece, sono tutti figli di una cattiva gestione, anche perché il personale è per lo più lo stesso e continua a essere ugualmente efficiente. E allora il nodo è quello, e lì mi pare si stia giustamente appuntando l’attenzione della magistratura, oltre ogni strumentalizzazione.
Poi le banche sono banche, la finanza è la finanza, e i partiti sono i partiti. Se ognuno facesse il suo mestiere, e lo facesse bene, problemi ce ne sarebbero meno. Se i partiti, in particolare, si occupassero più dei progetti che delle gestioni; se si lasciassero affascinare meno dal potere e si dedicassero di più a capire dove sta andando la società –e magari a “e-ducarla”, a “pro-muoverla”-, allora sarebbe tutto un altro discorso. E anche a Siena il PD, lasciando che la banca faccia la banca, potrebbe lavorare per promuovere l’idea che oltre le “contrade” c’è il mondo.
Luigi Totaro